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martedì 29 dicembre 2015

Lago d'Eugio dalla Pezza - via del cinghiale ( Escursioni non per tutti 5).

Raggiungere il lago d'Eugio da Locana, cioè lungo l'omonimo vallone, è ormai da molto tempo una di quelle escursioni "misteriose" che pochi osano affrontare, a causa della sinistra fama che circonda il percorso, fama dovuta al "sentiero sporco e poco visibile"  ed a numerose piccole disavventure occorse a gruppi di intrepidi frequentatori negli anni passati.  
Ciononostante il lago d'Eugio da Locana continua ad essere una meta  molto ambita ed agognata , almeno a livello locale, vuoi per l'alone di mistero che circonda la valle più bella del mondo ,vuoi perchè il pensiero che uno sbarramento artificiale sia così difficilmente raggiungibile costituisce certamente un divertente paradosso. 
Per completezza d'informazione, mi sembra doveroso fornire una precisazione storico-naturalistica: il serbatoio dell'Eugio, avente una capacità di 4,95 milioni di mc, è entrato in servizio nel 1959; prima della costruzione dell'invaso era  presente un lago naturale di dimensioni più ridotte, nei cui pressi si trovava l'Alpe del lago, oggi sommersa e visibile costeggiando il fianco sinistro idrografico del bacino quando vi è poca acqua ( maggiori informazioni sul sito di Iren energia).
Diga Eugio 23-12-2015
A causa della "sinistra fama" di cui parlavamo poco sopra, il lago d'Eugio viene di preferenza raggiunto sul percorso della Gta , quindi partendo dalla borgata Posio attraverso il monte Arzola nel comune di Ribordone  oppure dalla frazione Valsoani di Locana passando per il vallone di Praghetta e l'alpe Colla, sede di un panoramico casotto del Pngp, il che è un vero peccato visto che per risolvere la cosa basterebbe pulire un pò di più il sentiero. Purtroppo, parafrasando  Cosimo de' Medici, i sentieri non si puliscono "con i paternostri".
Elaborazione M.Varda su  cartografia IGM 1:25.000 
Alcuni anni fa avevo descritto la "via normale" da Locana su Gulliver, una descrizione ancora perfettamente valida ma che  necessiterebbe di qualche aggiornamento ( cui spero di poter provvedere al più presto); il mantenimento del sentiero, specialmente per quanto riguarda la parte finale ( cioè dall'Alpe I  Pis fino alla carrozzabile pozzo-diga) , è dovuta all'opera di pulizia svolta dall'allevatore che tutte le estati porta manze ed asciutte a pascolare nel vallone, negli alpeggi  di proprietà della sua famiglia. E' quindi una buona idea, se volete raggiungere il lago d'Eugio da Locana, provare a farlo dopo il passaggio della mandria, ricordandovi di ringraziare, dal più profondo del cuore, chi vi ha fatto strada a vostra insaputa.
Comunque, e dovreste saperlo bene, tutte le strade portano all'Eugio, per cui sono numerosi i percorsi che lo storicamente lo raggiungono\ raggiungevano lungo l'omonimo vallone, variamente intersecati tra loro: 
  • la vera "via normale", descritta sulla mitica guida del Cai\Tci,  che passava dall'Alpe Fioria, posta sul versante sinistro idrografico anzichè dall'alpe I Pis;
  • la "scorciatoia" dal ponte di Uget, con il ripidissimo sentierino che conduceva al rudere di quota 1535 ed il successivo traverso all'alpe Fioria;
  • il sentiero che dalla Pezza saliva alle alpi Montagnè;
  • la mulattiera che dal ponte di Uget raggiungeva Pianfè;
  • il sentiero che dalla Pezza raggiungeva i Pis passando per il Cudrai.
E l'elenco potrebbe continuare!
Inizio del sentiero Pezza dal Bros - Pis
Così, alle porte del Natale , il giorno 23 dicembre 2016, ho deciso di concedermi il gusto di un'esplorazione in solitaria lungo percorsi da tempo abbandonati , approfittando anche di questa strana stagione con assenza di neve e temperature sopra la media. L'obiettivo era quello di salire al lago d'Eugio passando per il sentiero Pezza-Pis, per poi scendere dall'Alpe Fioria.
Vasca acquedotto
Partito da casa non di buon'ora ( ho infatti il privilegio di vivere praticamente alla confluenza dell'Eugio nell'Orco) , dopo aver raggiunto la borgata  Balmetta ho imboccato la  comoda e panoramica mulattiera per la Pezza, oggetto di un ottimo lavoro di ripulitura la scorsa primavera, che ho percorso per intero fino alla località Cappella, lasciando poco prima alla mia sinistra il percorso segnalato che in breve conduce alla frazione Fuet, sede della chiesa dedicata a San Bernardo, San Domenico ed alla Madonna del Carmine e, più indietro nel tempo, sede di una scuola elementare dapprima autonoma e stabile, poi condivisa con quella di Veso ( gli alunni frequentavano metà anno scolastico al Fuet e metà a Veso), infine chiusa, complice la struttura fatiscente e la diminuzione degli alunni, a favore della sede di Veso.  A questo punto occorre fare un'ulteriore precisazione di tipo storico\geografico spicciolo: localmente con il termine "Pezza" vengono indicate tutta una serie di borgate ed alpeggi posti a cavallo tra la valle dell'Orco ed il vallone dell'Eugio; serie nella  quale alcuni includono anche le frazioni Veso e Balmetta ( ma non c'è unanimità al riguardo).
Cappella è una piccolissima borgata ( due case di numero), caratterizzata dalla presenza di una piccola edicola votiva in pietra, ormai ridotta a rudere ( sarebbe interessante riuscire a ricostruirne l'intitolazione), posta al punto di raccordo tra la mulattiera proveniente da Balmetta e la mulattiera che collega tutte le borgate della Pezza poste lungo lo spartiacque Eugio-Orco, e cioè Pianfé, Cappella, Suc e la Pezza "dal Bros", dove "Bros" sta ad indicare il cognome Perucca, localmente molto diffuso.
Tutto in ordine
 Da Cappella, passando per Suc si raggiunge quindi in breve la Pezza "dal Bros"; in questo tratto il percorso è decisamente più "sporco" e facile a smarrirsi, ma arrivare a destinazione non è poi così difficile: basta ricordarsi di seguire la spartiacque Eugio-Orco. 
Un bel bosco di faggi...
Dietro i ruderi della Pezza "dal Bros", una traccia appena visibile ma contrassegnata da bolli rossi si addentra verso destra nel vallone dell'Eugio, sotto la densa copertura di un fitto bosco di abeti: è il sentiero che collega la Pezza ai Pis. I segni rossi ed i muretti a secco che contornano quella che doveva essere una vera e propria mulattiera sono fondamentali per non smarrire la giusta direzione, visto che la mulattiera risulta quasi sempre impercorribile perché invasa dalla vegetazione arbustiva.
Con un po' di attenzione si giunge così in breve alla vasca dell'acquedotto, ancora perfettamente funzionante, come si deduce dal  dal regolare rumore dello scorrimento dell'acqua al suo interno; ciò che non è più funzionante è la tubazione che portava l'acqua alle varie borgate della "Pezza" (affiorante sulla superficie in più parti del percorso ) , ormai rotta in più punti e non più attaccata al rubinetto della vasca.  Anche il quadro che si dipinge di fronte ai miei occhi è estremamente contraddittorio: la porta in ferro della vasca giace a terra, divelta, svelando all'interno della costruzione in cemento la presenza di un rotolo di rete metallica verde e di tubi arancioni in Pvc in ottime condizioni, che nessuno ( per fortuna) si è ancora portato via; la recinzione che circondava la vasca è anch'essa finita in terra lungo quasi tutti i lati, ma la rete verde sembra recente, non arrugginita.
Il percorso si fa più ostico
Chiedendomi se la vasca abbia ancora o no un utilizzo pratico effettivo, riprendo il percorso, ora senza più segni rossi , in direzione dei Pis, sempre sotto una folta copertura boschiva che copre la vista sul vallone, rendendo difficile l'orientamento. Poco oltre la vasca, per fortuna, continuano ad essere visibili per larghi tratti le vestigia di quella che scoprirò poi essere la roggia che dal torrente Eugio portava l'acqua alla Pezza. 
Purtroppo  la roggia continua ad essere impercorribile perché occupata dagli arbusti,  per cui occorre cercare di seguirla alla bell'e meglio districandosi con numerosi saliscendi tra la folta vegetazione. E' affascinante  osservare con quanta cura quest'opera di derivazione assecondi le forme della montagna, mantenendo regolare la sua debole pendenza, attraversando numerosi avvallamenti, salti di roccia e\o grossi massi; purtroppo in corrispondenza di molti di questi punti la struttura è crollata.
Finalmente si torna a godere di una bella vista
Ecco il Cudrai
Un primo saltino di roccia lo si aggira portandosi sulla sua sommità boscosa ( sempre sotto copertura di abeti) ; quindi, superato un primo macchione di noccioli in modalità cinghiale, si giunge in un bel bosco di faggi , dove la progressione si fa più facile e si può rifiatare. Finita la striscia dei faggi infatti,comincia il tratto più infame del percorso, un traverso dove si è costretti a procedere carponi con continui saliscendi per poter riuscire a passare senza perdere di vista le tracce della roggia, con tanto di passaggio obbligato finale ( cengia abbastanza larga tra grandi placconate di roccia liscia).
Usciti dal passaggio finalmente si torna a godere di una bella vista, in particolare sul versante opposto del vallone, per cui mi concedo una meritata pausa per binocolare e, cartina alla mano, studiare il previsto percorso di discesa dall'Alpe Fioria. Dal lago d'Eugio all'alpe Fioria - dove vedo stazionare 5 camosci -  non dovrebbero esserci problemi ( discesa a vista); dall'alpe Fioria all'incrocio con il sentiero proveniente da Uget  sarà necessario prima traversare quasi in piano verso il fondo del vallone fino a guadare i due torrentelli laterali segnati sulla carta della MU edizioni, quindi scendere direttamente fino ad un rado boschetto di betulle ( abbassarsi prima di quel punto sarebbe rischioso per la presenza di numerosi salti di roccia). 
Nella balma-stalla una bella posta semicircolare in pietra

Crottino al Cudrai
Superata la zona delle placche rocciose, si sbuca in una pietraia e si continua il traverso fino a giungere in vista dei ruderi di Cudrai, che sbucano sopra la mia testa all'improvviso. Non era assolutamente scontato, data la fitta vegetazione, riuscire a passare da questo piccolo alpeggio, ragion per cui posso essere più che soddisfatto! Raggiunti i ruderi dell'abitazione, del crutin ( con tanto di "monolite" di copertura) e della stalla ( ricavata sotto una balma, con tanto di posta in pietra a semicerchio), si rinviene nelle vicinanze di quest'ultima costruzione il prosieguo della roggia che, dopo un ultimo tratto "cinghialoso", attraversa una pietraia ( notevole il lavoro di sistemazione delle pietre in questo punto) per poi uscire ( finalmente) dalla zona arbustiva. Arrivati a questo punto occorre percorrere la roggia ( ora è possibile), fino ad incrociare il sentiero nei pressi di un rudere dell'Alpe i Pis posto vicino ad una paretina di roccia liscia. 
Si continua nella roggia
La diga nella nebbia
A proposito degli alpeggi del vallone mi ricordo di un divertente aneddoto capitato ad una famiglia con origini "dla Pessa", credo negli anni 70/80 del secolo scorso. Tale famiglia viveva ormai stabilmente a Locana capoluogo ed  era a quei tempi rappresentata da tre fratelli, di cui uno sposato ( il più assennato) e due da sposare ( un pò meno assennati). Ora accadde  un giorno che  i due fratelli da sposare si recassero all'alpeggio di famiglia, senza fare ritorno a sera, così che il giorno seguente una squadra di persone, tra cui il fratello assennato, partì alla loro ricerca. Mentre risalivano il vallone dell'Eugio incontrarono due escursionisti che stavano scendendo, ai quali chiesero se per caso avessero visto i due uomini. Essi risposero di aver visto due esseri umani, sporchi di terra e ricoperti di foglie, uscire da una balma, e di aver provato a parlargli, ma i due sembravano non capire l'italiano. Il fratello assennato esclamo soltanto: "a sen lur! (sono loro!)" e, una volta rintracciati, fece loro una bella ramanzina. Che cos'era accaduto ai due fratelli? Semplicemente erano stati sorpresi dall'oscurità, per cui si erano acconciati a passare la notte all'addiaccio come meglio potevano.
Da qui arrivare al lago d'Eugio è un gioco da ragazzi e mi sembra quasi di volare, nonostante la ripidezza del percorso, tanto è stato faticoso il tratto precedente! Dopo un breve saluto ai colleghi guardiani in servizio ,  considerata l'ora, decido di posticipare il momento del pranzo al sacco al raggiungimento dell'alpe Fioria, che in montagna non si sa mai come va a finire quando si percorrono nuove "antiche" strade! Vorrei tornare a casa ad un'ora decente, cioè prima che venga buio per non fare la fine di quei due fratelli di cui sopra, visto che anche io sono "da sposare". 
Si scende verso l'alpe Fioria
Una balma...
Imboccata la scalinata in cemento che scende ai piedi della diga mi porto  sul versante sx idrografico del vallone e, abbandonato il percorso del Gta diretto all'Arzola,  comincio a scendere traversando verso sinistra prima per tracce di sentiero, quindi per tracce di camosci , fino a che raggiungo i resti di una balma. Devo dire che sono fortunato: la traccia dei camosci è davvero ottima, una delle migliori e meglio battute che mi sia mai capitato di incontrare, a dimostrazione del fatto che la frequentazione dell'Alpe Fioria osservata poco prima è tutt'altro che casuale e che anche i camosci, se possibile, cercano di passare in punti abbastanza comodi ( chissà, magari proprio su ciò che resta del vecchio sentiero di collegamento Fioria-Eugio). 
Dopo aver attraversato in leggera discesa alcuni valloncelli, raggiungo finalmente i ruderi di questo alpeggio che, almeno a giudicare dal toponimo, un tempo avrebbe dovuto essere un vero spettacolo da osservare nella bella stagione! Anche l'osservazione della roggia della Pezza, della quale dall'Alpe Fioria si può godere uno sguardo d'insieme, lascia pieni d'ammirazione per il duro ed ottimo lavoro svolto dai costruttori "montanari" al fine di realizzare un'infrastruttura essenziale per ricavare di che vivere in queste terre alte, ripide ed avare.
Alpe Fioria
 Non bisogna dimenticare infatti che le borgate  della Pezza un tempo erano abitate tutto l'anno e che i suoi prati ed i suoi  pascoli occupavano superfici molto ampie, che l'abbandono repentino (e, a differenza di altre zone della vallata, definitivo) di questi luoghi nel secondo dopoguerra ha fatto scomparire pressochè totalmente.. Per farvi un'idea della  situazione attuale, e di come essa evolva velocemente a queste quote, pensate che ancora soltanto negli anni 70-80 del secolo scorso chi si recava nella zona in primavera riferiva, nonostante il visibile "imboschimento" , di splendide fioriture di Orchis sambucina , mentre oggi tutto è coperto da estesi ed intricati noccioleti e le fioriture di Orchis sono solo un ricordo.  I prati e pascoli di cui parlavamo erano soggetti, durante la bella stagione ,  quando le poche vacche di ciascuna famiglia venivano date in affido ai margari che si recavano sui pascoli alti, a fienagione. Ed il fatto che la fienagione avvenisse su superfici tutt'altro che trascurabili lo confermano le numerose testimonianze orali di donne locanesi che, da giovani, si recavano a fare il fieno alla Pezza. 
Uno sguardo alla roggia della Pezza...
Di norma esse venivano ospitate all'interno delle stalle e dei fienili, dove dormivano tutte assieme sopra i classici paglioni imbottiti di foglie secche di faggio. La loro paga consisteva appunto nell'alloggio ( e che alloggio, come abbiamo visto) , nel vitto ( una tazza di latte al mattino ed alla sera, una pagnotta a mezzogiorno - oltre a quel  poco che ciascuna poteva portarsi con sè da casa) ed in un sacco di fieno per ogni giornata di lavoro. Solitamente il "soggiorno" durava almeno una settimana, ed il fieno veniva trasportato a valle tramite fili a sbalzo.  Che le condizioni d'ingaggio fossero dure ce lo dicono le stesse fonti quando affermano che "era meglio andare alle fragole" ( la raccolta delle fragole, nda ), "almeno lì se proprio si aveva fame si poteva rubarne di nascosto qualcuna".
Discesa verso il boschetto di betulle
Mangiato il meritato pranzo al sacco e ringraziata la buona sorte per aver evitato a me ed a  quelli della mia generazione di  dover lavorare in condizioni difficili, inizio il percorso di discesa stabilito durante il binocolamento del mattino e, complici l'assenza di arbusti e l'erba ,bassa in questa stagione, raggiungo in breve e senza problemi il sentiero "normale", lungo il quale faccio ritorno a casa.  
E' stata un'esplorazione divertente, di grande interesse e, almeno nella parte in discesa, più agevole del previsto, ragion per cui ho deciso di descriverla a futura memoria ( compresa la mia), benchè del sentiero Pezza- Pis abbia trovato solo poche tracce iniziali. Se mai un domani qualcuno volesse tentare questo percorso alternativo, due avvertenze sono d'obbligo: 
  1. va fatto quando alberi ed arbusti sono privi di foglie, in assenza di neve e\o ghiaccio
  2. se non siete in grado di trasformarvi alla bisogna in cinghiali, lasciate perdere.
Un caro saluto a tutti ed a presto con le storie.
Ps: mi scuso per la scarsa qualità delle foto. Purtroppo alla nulla capacità del fotografo si è aggiunta la dimenticanza della sd card, per cui mi sono arrangiato con il telefonino.
Ps2: si declina ogni responsabilità circa l'uso della cartina da me elaborata e pubblicata in questo post. I percorsi dei sentieri, i punti delle località indicate sono puramente indicativi ed hanno il solo scopo di far comprendere meglio l'assetto geografico\sentieristico del vallone dell'Eugio così come descritto all'inizio dell'articolo.




domenica 15 novembre 2015

Escursioni non per tutti 4 - Punta del Bech da Fenoglia o "via del fol".

Passerella sul torrente Soana
Il vallone di Codebiollo o Verdassa é  diviso amministrativamente tra i comuni di Ingria  e Frassinetto,  da cui derivano  le due diverse denominazioni ( Codebiollo ad Ingria e Verdassa a Frassinetto); dal punto di vista geografico il suo territorio è compreso tra la Valle Sacra, la Valchiusella e la Val Soana. L'unica via di accesso stradale è sfruttando la pista interpoderale che dalla frazione Berchiotto di Frassinetto si addentra nel parte mediana del vallone. Il rio Verdassa è un affluente del torrente Soana, nel quale confluisce nei pressi della frazione Frailino, situata nel comune di Pont Canavese; "Verdassa" è anche il nome con il quale veniva identificata localmente la Quinzeina.
Nascosto alla vista della zona pedemontana dalle elevazioni della Quinzeina e del Verzel, tale vallone risulta difficilmente intuibile anche risalendo la Val Soana, poiché la sua parte bassa è molto stretta ed incassata tra ripidi pendii boscosi e scarpate rocciose; la parte mediana, più aperta, è invece caratterizzata dalla presenza di numerose e caratteristiche borgate alpine, mentre le parti media ed alta sono costellate da numerosi alpeggi, a testimoniare la forte presenza dell'uomo in questa zona.
Mulattiera verso Betassa
A dispetto della sua localizzazione appartata, la parte medio-alta del vallone è infatti caratterizzata da versanti solatii e ben esposti, ideali per  gli insediamenti legati all'economia rurale alpina di un tempo. In questa bella estate di San Martino quale meta migliore di questo vallone per una bella escursione "d'altri tempi" -  cioè lunga ed in ambiente selvaggio ed austero?
La meta scelta è la Cima Carpior, sulla cresta spartiacque tra la val Verdassa ed il vallone di Canaussa, con partenza da Ingria per percorrere il vallone da cima a fondo o quasi.
Lasciata l'auto nei pressi del bar-ristoro "Pont Viei" - dove tra l'altro si mangia anche piuttosto bene - ridiscendo per un tratto la carrozzabile della val Soana fino ad incontrare la mulattiera che scende ad attraversare il rio Soana su una passerella a quota 636 m, per poi cominciare la risalita sul versante dx idrografico del vallone di Codebiollo, sempre su ottima mulattiera, sino a raggiungere la borgata Betassa. Sull'altro lato del vallone fa bella mostra di sé la frazione Fraschietto, raggiungibile in auto da Frassinetto.
Macchina da cucire
Da Betassa in poi proseguo  sulla pista sterrata che con leggera pendenza porta fino alla borgata Beirasso, ove si trova una bella chiesetta, quindi nuovamente su mulattiera raggiungo i ruderi di Fenoglia. dove qualcuno ha dimenticato una macchina da cucire. 
Saranno i ruderi, sarà la macchina da cucire, sarà il sole ormai arrivato, sta di fatto che proprio qui a Fenoglia, cartina alla mano, inizio a pormi i primi interrogativi. Innanzitutto mi rendo conto che la Cima Carpior è ancora piuttosto lontana ed io per il momento ho fatto tanto spostamento ma poco dislivello e, soprattutto, ho iniziato a camminare alle 8.15, cioè troppo tardi visto l'accorciarsi delle giornate.  Questi pensieri - associati al timore di non riuscire a raggiungere la meta designata -  mi rendono piuttosto nervoso ed inquieto; la consapevolezza poi di dover ancora percorrere un buon tratto in falsopiano - fino a Querio passando per Monteu ( dov'era presente una scuola elementare) -  mi manda letteralmente in bestia: è ora di prendere quota!
Salendo lungo la cresta
Mi affretto ad uscire dai ruderi di  Fenoglia ed ecco che, come per magia, non riesco più a trovare il sentiero per Monteu. Nonostante la facilità e banalità del percorso, pur perdendo altri 3 preziosi minuti nell'osservazione dei paraggi, inspiegabilmente la traccia continua a rimanere celata ai miei occhi. Questo è un incantesimo o, forse, un inequivocabile segno del destino: non posso raggiungere Cima Carpior per la normale via di salita da Querio; dovrò farlo risalendo direttamente la cresta da Fenoglia,  raggiungendo prima la punta del Bech e proseguendo lungo lo spartiacque Verdassa- Canaussa fino alla meta designata. 
Appena oltrepassati i ruderi della frazione attacco quindi l'evidente e ripida cresta  che sale verso la punta del Bech, che in questo primo tratto è ricoperta da un bel bosco di faggi, interrotto qua e là da qualche piccola asperità rocciosa facilmente aggirabile ed in alcuni casi direttamente superabile.
Un traverso mica da ridere
Finito il bosco di faggi la cresta prosegue in una zona di noccioli e betulle;  le asperità della cresta diventano via via più importanti, costringendomi ad un primo deciso traverso verso destra fino ad un colletto ( dove faccio volare un gheppio - evidentemente disturbato dall'arrivo di un umano cinghialoide), superato il quale riprendo a salire direttamente, ora su pendio erboso\arbustivo, fino ad un'ulteriore elevazione rocciosa, posta al termine di pendio molto ripido, che mi costringe ad una pausa di studio e riflessione. 
Superare direttamente l'ostacolo non è possibile senza attrezzatura : anche se si trattasse di una facile arrampicata, ci si potrebbe ritrovare bloccati in seguito e costretti a scendere, operazione un po' difficile senza almeno una corda.  Anche il semplice aggiramento non è un'ipotesi praticabile poiché in questo punto la cresta si affila e si restringe. Non mi resta che un'ultima possibilità: raggiungere un colletto erboso posto alla mia destra ed affacciarmici, sperando che da quel punto sia possibile proseguire oltre; in caso contrario sarò costretto a scendere lungo la via di salita e rinunciare alla meta. 
Uno sguardo all'ambiente di salita
Effettuando un traverso mica da ridere ( qui il terreno è davvero ripido ) raggiungo il colletto, posto ad una quota di 1700 m circa,mi affaccio e...evvai! Da questa parte si entra in un valloncello più ampio e  non ci sono più ostacoli di sorta: potrò senz'altro raggiungere la spartiacque Verdassa-Canaussa. 
La salita è ora sempre ripida ma decisamente più agevole e soprattutto panoramica, finalmente commisurata alla bellezza "meteorologica" della giornata: così raggiungo in breve ma non troppo l'alpe Bech.
Alpe Canaveia
Sotto l'alpe del Bech si vedo chiaramente i resti della mulattiera che un tempo saliva qui da Querio; appena sopra di essa si rinviene un'altra traccia di sentiero che, con un lungo traverso in quota, raggiungeva a sx l'alpe Canaveia ( nel l'adiacente vallone di Canaussa) e a  dx  l'alpe Charlemont.   Quando arrivo a punta del Bech è ormai passata la mezza, ed a occhio e croce per arrivare a Cima Carpior ci andrà almeno un'altra ora abbondante, per cui meglio fare tappa qui, mangiare il panino e tornare a valle, senza contare che il mancato raggiungimento della meta prevista è la miglior scusa per tornare a ficcare il naso da queste parti.
Torre Lavina
Il panorama è davvero splendido, dal Monviso alle montagne circostanti. Non sono purtroppo visibili i laghi di Canaussa, la cui conca rimane celata da questo punto di osservazione (  sono invece visibili dalla Cima Carpior) .

Bene, mangiato il panino non resta che prendere la cartina e vedere da che parte effettuare la discesa: ci sono molte possibilità di scelta.

  1. discesa per l'itinerario di salita: no grazie,  ho già dato.
  2. traverso fino a Charlemont e discesa su Querio : no,  allungherei molto il percorso, a quel punto tanto varrebbe andare fino alla Carpior.
  3. discesa diretta su Querio: si potrebbe tentare ma sotto i 1700 m di quota ci sono parecchi salti e di qui non si intravede una via che di sicuro raggiunga il fondovalle senza ulteriori intoppi. No.
  4. discesa dal vallone di Canaussa: il sindaco di Ingria potrebbe disporre un TSO per il sottoscritto e non avrebbe torto. Per il momento è no.
  5. discesa per la dorsale che scende fino al Monte Betassa: già salendo si vedeva che era fattibile, senza contare che dovrebbe farmi risparmiare parecchio tempo. Assolutamente si.
Dorsale verso il monte Betassa
L'aiuto da casa - il solito Carlo - suggerisce e conferma, suggerendomi inoltre, una volta arrivato intorno ai 1300 m di quota  (Pian della Poiana) , di abbandonare la dorsale e scendere sulla borgata Arcavut. Sulla mia cartina il Pian della Poiana non compare, ma grazie all'indicazione della quota, difficile sbagliare.
Camosci pazzi d'amore
Scendo quindi dalla punta e vado ad imboccare l'ampia e panoramica dorsale spartiacque Verdassa - Canaussa; lungo il percorso due camosci pazzi  a più riprese si dirigono verso di me, avvicinandosi ansimanti a pochi metri di distanza per poi fuggire. Stupefacente, anzi no: come mi spiegherà in seguito un amico molto esperto, è un comportamento molto diffuso tra i maschi in amore quello di rincorrere qualunque cosa si muova lungo una cresta od un pendio, salvo poi scappare a gambe levate scoprendo che si tratta del temibile homo sapiens sapiens. Per cui il mio stupore del momento non aveva alcuna ragione di esistere
Torniamo ora all'itinerario di discesa: come già detto in precedenza il toponimo "Pian della Poiana" non compare sulla mia cartina, per cui decido di basarmi sul raggiungimento dell'alpe ( o borgata? ) Bolli , posta sopra ad Arcavut e visibile sulla mia cartografia di giornata. Senza troppe difficoltà arrivo al confine tra la copertura erbacea e quella  arborea, dove si vedono i ruderi di un alpeggio.
Ruderi al limitare del bosco
Masso panoramico.
 Un grosso masso, posto al fondo di quello che doveva essere un signor prato, è il luogo ideale per una piccola sosta "panoramica". Sembra anche il luogo ideale per una postazione di caccia...ed infatti che cosa trovo proprio vicino al masso? Un bell'ometto di pietra: sicuramente segnala qualche passaggio, ma per dove? Tracce di passaggio evidenti non ce ne sono: tocca allora ragionare per decifrare il percorso.  In realtà non c'è neanche da scervellarsi troppo , perchè il l'ometto si trova  sulla sinistra della dorsale, ragion per cui è evidente che non indica di continuare a scendere lungo la dorsale ( altrimenti l'avrebbero costruito in posizione più centrale) e prima del masso, per cui è ovvio che stia ad indicare un bivio verso sinistra, cioè direzione Codebiollo. Ricomincio  quindi a scendere secondo gli ordini dell'uomo di pietra, cercando di traversare in direzione Ingria per accorciare ulteriormente il percorso. Ecco che dopo alcuni metri di discesa inizia a comparire una traccia, che via via si fa più evidente, fino a raggiungere un vasto noccioleto dove si vedono chiaramente qua e là i segni dell'azione di una roncola ed anche sporadici segni rossi. Bingo! Sono su una traccia dei cacciatori: ora è sufficiente non smarrirla e da qualche parte si arriva.
Ed infatti non la smarrisco, grazie ad un pò di intuito e di fortuna nei numerosi punti "dubbi", e dopo aver attraversato un bel bosco di faggi arrivo ai Bolli, dove tra i ruderi vedo nascondersi... una martora!
Dai Bolli in breve arrivo ad Arcavut e quindi a Bettassa, dove trovo due signori intenti a raccogliere castagne lungo la mulattiera. Un salto a visitare la bella chiesetta di Santa Libera e poi di corsa fino alla passerella sul Soana, dove mi aspetta una simpatica risalita fino alla carrozzabile.
Per ingannare la salita provo a contare gli scalini, se non ricordo male sono circa 500 ( sempre che io abbia contato giusto sul momento); raggiunta la provinciale ancora una breve risalita ed arrivo alla macchina. Anche oggi mi sono fatto un bel giretto, non c'è che dire.
La montagna è un pò come la musica jazz: è bello improvvisare, creando nuove melodie, nuove strade. Ma se improvvisi senza criterio, produrrai soltanto stonature: a buon intenditor, poche parole!








giovedì 17 settembre 2015

Escursioni non per tutti 3 - La gita bidone ( Malpensata).

Ore 8 del mattino: "buongiorno senta scusi, siamo in ritardo non ce la facciamo etc etc etc". Bene, cioè male, cioè ormai sono in giro ed è una bella giornata: visto che la meta di oggi erano le Grange Regomb, perché non approfittarne per andare fino a Cima Fer ( è tanto tempo che ci vorrei andare) ? Oggi tappone alpino. Partenza.
Le Grange Ardegal ed Andorina visti dal Regomb.
Con l'auto risalgo quindi la Valle Soana fino a Chiapetto, bella frazione di Valprato Soana, dove lascio l'auto e prendo il sentiero per Andorina, splendido esempio di borgata alpina, un tempo abitata tutto l'anno, a 1453 m di quota. Da qui il sentiero continua a salire ripido fino a raggiungere le Grange Ardegal 1725 m prima e le Grange Regomb 2018 m poi, sulle quali incombe l'aguzza cima Fer.  Qui mi concedo una meritata pausa ( ho sempre fatto io l'andatura ) e, posato per un attimo lo zaino, tiro fuori la cartina e comincio a studiare come raggiungere la vetta.
Ipotesi di partenza: percorrere il ripido canalino NNE  descritto dall'amico Franco su Gulliver. Mentre cerco di individuarlo, ecco che mi viene un'altra idea: perché non andare verso la Malpensata e raggiungere la cima per cresta? Visto che il cellulare prende, decido di ricorrere all'aiuto da casa ( o meglio dal Vallone di  Servino ) e telefono all'amico Carlo, molto pratico della zona, che mi dà una sintetica risposta: "la tua idea di fare la cresta dalla Malpensata non è affatto mal pensata. Inoltre il traverso dal Regomb verso la Malpensata è pieno di bollini rossi, non puoi sbagliare".
Vista sul Regomb
Allora è deciso: a cima Fer per la cresta. Parte la fuga. La bella giornata di sole e la presenza di numerosi camosci rendono il percorso più piacevole ed alleviano il senso di solitudine che permea questi luoghi poco frequentati.
In effetti il traverso per la Malpensata è davvero ben segnalato, anche se non si tratta di un sentiero vero e proprio ma soltanto di una vaga traccia che attraversa ripidi pendi di "erba olina", scavalca piccoli valloncelli pieni di "drose" ed aggira numerosi salti di roccia, per cui lo percorro facendo sempre bene attenzione a dove metto i piedi ed al prossimo segno di vernice, fino a raggiungere il contrafforte che scende dalla punta quotata 2317 m sulla carta Mu, punto dal quale si vedono sia l'ormai vicina Malpensata che la cresta che sale a cima Fer nella sua interezza. 
Decido quindi di raggiungere la cresta a partire da questo punto, ma ecco che le nebbie cominciano ad andare e venire, coprendo a tratti la cima. Non sembrano nebbie così fitte: decido così di avviarmi verso la cresta, riservandomi di valutare l'evoluzione della situazione strada facendo.
Traversando verso la Malpensata.
Ora la nebbia sembra essersi fermata su cima Fer. Continuo a salire fino a raggiungere la puntina rocciosa quota 2317 m  e mi affaccio sul versante di Forzo: nebbia. Lancio un ultimo sguardo verso la cima Fer: è ancora coperta dalla nebbia. 
Visto e considerato che tanto il versante Forzo quanto la parte restante della cresta sono avvolte nella nebbia, giudico inutile andare a mettersi in una situazione potenzialmente ostica ( "e se la nebbia scendesse di più?" )  per godere di un mezzo panorama: la vetta la raggiungerò un'altra volta. 
Arrivo alla Malpensata
Certo è sempre un peccato rinunciare alla meta quando mancano poco più di 300 m di dislivello e la condizione fisica è ottima ma è inutile rimuginare: per fare certe escursioni bisogna partire prima al mattino ( ecco se lo avessi saputo la sera invece del mattino che mi tiravano il bidone...), probabilmente sarebbe bastato partire anche soltanto mezz'ora od un'ora prima ! 
Scendo e torno al contrafforte, da cui in breve raggiungo la Grangia Malpensata. Si perchè la "Malpensata" è una grangia. Posta su un'aerea sella in corrispondenza dello spartiacque Soana- Forzo, circondata da ripidi pendii erbosi in ambo i versanti, la Malpensata deve il suo nome proprio alla sfortunata ubicazione che, a quanto si dice, costrinse ad un repentino abbandono della stessa, forse per mancanza di acqua.
La Malpensata 
Devo dire che questo luogo, in cui non ero mai stato prima, ha comunque un suo fascino, indipendentemente dall'intrigante toponimo che da sempre stuzzica la fantasia degli escursionisti alla ricerca di mete insolite . Mentre faccio una sosta per mangiare qualcosa, cerco di capire dove mai potesse essere l'approvvigionamento d'acqua per questo alpeggio. Appena più in basso dei ruderi c'è una costruzione a secco che ricorda quelle che a volte venivano realizzate in corrispondenza di una captazione d'acqua o dello sgorgare di una sorgente per avere un flusso di maggiore portata, ma nelle vicinanze non vedo traccia dei resti di un crutin; inoltre avere l'acqua più in basso della stalla avrebbe reso alquanto problematiche le operazioni di pulizia e di spandimento del letame. E poi a che pro interrogarsi sull'approvvigionamento idrico di una grangia abbandonata per carenza d'acqua?
Struttura in pietra a secco
Non ha senso: meglio pensare all'itinerario di ritorno! Che fare?
Subito nella mia mente inizia un acceso dibattito tra due opposte personalità, forse il principio di qualche grave disturbo psichico.
Escursionista saggio: -  Ritorno lungo l'itinerario di salita. E' la prima volta che vengo alla Malpensata , sono da solo e quello che ho appena fatto è sicuramente il percorso più agevole, mentre so per certo che gli altri sentieri sono più difficili, anzi praticamente inesistenti.
Escursionista ravanatore: - Beh non è che il traverso dal Regomb a qui sia poi così bello. E' segnato, è vero, ma è pur sempre una traccia tra drose ed uline, ci sono parecchi punti scivolosi. Escludendo di provare a scendere a Puntagliera, perchè il  percorso è molto difficile (da non fare assolutamente da soli)  e poi bisogna tornare fino a Chiapetto a riprendere l'auto, potrei valutare altre soluzioni. 
Escursionista saggio: - Il fatto è che non ci sono più i sentieri! Meglio fare un percorso segnalato e tornare magari in futuro accompagnato da qualcuno. Inoltre non è una buona idea percorrere posti inselvatichiti la prima volta in discesa. Meglio farli prima in salita.
Escursionista ravanatore: - Oggi mi hanno tirato il bidone dei clienti sconosciuti ed a causa della nebbia ho dovuto anche rinunciare alla cima Fer: un piccolo premio di consolazione me lo merito! Se scendessi a Nivolastro, di lì potrei chiudere l'anello tornando a Chiapetto su ottimo sentiero.  E' vero, il sentiero sarà un pò sporco, a tratti inesistente, ma grazie ad un buon uso della cartina ed all'esperienza sarò sicuramente in grado di cavarmela. Alla peggio si fa dietrofront e si torna al Regomb, tanto la gamba c'è, bisogna approfittare dell'allenamento per fare queste esplorazioni.
Come i miei lettori potranno facilmente immaginare, l'escursionista saggio non fu in grado di replicare all'impressionante fuoco di fila di obiezioni messe in campo dal ravanatore: discesa a Nivolastro.
Guardando verso Forzo
Sul colletto a sinistra della Malpensata partono altre due tracce segnalate con bollini rossi ( una in direzione Forzo ed una che segue la cresta): forse sono fortunato. Consultando attentamente la cartina mi rendo però conto che nessuna delle due coincide con il sentiero che scende a Nivolastro: dovrò arrangiarmi.
Nonostante l'assenza della benchè minima traccia di sentiero ( non è un pò sporco: non c'è più), senza troppe difficoltà raggiungo le Grange Tolair 1903 m, cosa che fa aumentare il mio ottimismo ( ed anche la mia autostima). Il seguito prova che avevo torto. Ora bisogna raggiungere le grange Deves 1619 m ma le condizioni del percorso sono sempre peggiori: macchioni di rododendri come se non ci fosse un domani,  drose, erbe ad altezza-uomo, che  poi sarebbero anche il meno:  vero il problema è che ci sono parecchi salti e saltini, lose bagnate, per cui è  assolutamente vietato sbagliare, pena il rischio di farsi male o di rimanere "insengiati" , cioè bloccati senza saper più salire nè scendere.
Il camoscio insegna
Per fortuna ci sono tante tracce di camosci ( ed anche tanti camosci, che non sembra ma fanno compagnia): anche loro, come me, non hanno le ali.  Osservato ben bene il territorio circostante, decido che l'unica è affidarsi alla cartina della Mu, all'altimetro ed alle tracce di camosci  "cum grano salis".
Secondo la cartina ora devo abbassarmi di un 100 m circa ed attraversare il rio sulla mia destra. Fatto. Ora devo scendere di altri 150 m e poi attraversare nuovamente il rio: quel punto dovrei essere a posto e poter scendere direttamente alle Grange Deves.
Grange Tolair
Abbassatomi di 150 m ( agevolato anche dalle tracce animali)  mi rendo amaramente conto che sì, i camosci non volano, ma hanno  una maggiore capacità di salto e maggiori doti su roccia: in questo punto  non si può attraversare il rio. Provo a scendere ancora un pò ed ecco che mi trovo di fronte ad un salto: devo risalire, per forza. Scelgo allora di riattraversare il rio appena possibile   e provare la discesa diretta alle  Deves.  Dopo una faticosa risalita riattraverso il rio e comincio la discesa diretta: dopo  aver aggirato una serie di salti e superato un paio di passaggi disarrampicando tra le uline,  mi trovo nuovamente in un "cul de sac": impossibile continuare la discesa da questa parte.
Comincio allora una cauta risalita, preparandomi mentalmente all'eventualità di un inglorioso e faticosissimo ritorno al Regomb. Ogni tre per due provo a lanciare l'occhio verso valle, caso mai ci fosse un pendio del quale fosse possibile vedere il fondo, ma non c'è niente da fare perchè  questo versante è tutto un susseguirsi di  ripidi pendii e salti di roccia.
A questo punto mi gioco l'ultima carta: lancio lo sguardo verso l'altra parte del rio ed osservo il versante destro idrografico: in questo punto  sembra molto più continuo, con meno salti; una via di discesa si riesce a scorgere, per cui al primo punto favorevole attraverso per la terza volta il rio.
Nivolastro.
La discesa è sempre da cinghiali ma salti ( e quindi risalite con annesse perdite di tempo ) non ce ne sono più; perdendo progressivamente quota arrivo infine in una zona di bosco dove incrocio una traccia più marcata, per cui il mio incedere si fa ora più spedito. C'è anche un segno rosso: sarà mica la traccia che tagliava in cresta ed ho ignorato?  Mi metto praticamente a correre ed ecco che in 5 minuti arrivo nel grande prato dietro Nivolastro: missione compiuta, la fuga è andata a buon fine, ho fatto tappa e maglia. Ora non resta che tornare a Chiapetto, finalmente su buon sentiero all'interno del magnifico bosco di faggio ed abete rosso.
Arrivato a Ronco incontro  un amico guardaparco in giornata di  riposo, il quale mi spiega che le due tracce segnate che ho tralasciato portavano una alla Cial ( direzione Forzo) e l'altra... a Nivolastro per la bocchetta Furchia. Insomma si poteva ravanare anche meno.
Prima di avviarmi in auto verso casa faccio anche a tempo ad incrociare l'amico Carlo, la cui sentenza circa la mia esperienza  è degna di nota: "avresti fatto meglio a salire alla Fer con la nebbia".
Anche se è nata da un inconveniente e si è sviluppata sulla scorta di scelte discutibili, sono soddisfatto di questa gita-bidone. Come  in  quelle fughe di ciclisti composte da corridori non di primo piano, nelle quali  uno di loro,  per  un insieme di circostanze,    riesce addirittura a prendere la maglia rosa (  le cosiddette "fughe bidone") ,  è divertente l'idea di aver raggiunto un risultato non cercato, forse addirittura inutile. Ma mi sono proprio divertito.











martedì 16 giugno 2015

Escursioni estive 2015 - istruzioni per l'uso

Prosegue nel 2015 il programma che ci porta alla scoperta del versante piemontese del Parco Nazionale del Gran Paradiso, della sua fauna selvatica e dei suoi fiori,  di luoghi suggestivi e poco conosciuti,  al di fuori dei circuiti escursionistici più frequentati. 
Quando andiamo in montagna è importante saper valutare le nostre capacità, sia per non affrontare sforzi fisici al di sopra delle nostre possibilità o della nostra condizione fisica attuale, sia per evitare di rinunciare senza motivo ad itinerari che invece saremmo perfettamente in grado di portare a termine. 
Per questo motivo nelle mie escursioni riporto sempre alcune informazioni fondamentali: quota di arrivo, dislivello, difficoltà.
La novità di quest'anno è nella classificazione delle escursioni, divise in rosse (escursioni medie\impegnative)  e blu (facili) .  I due colori esprimono un giudizio sintetico sul percorso,  che tiene conto di tutte le informazioni fondamentali. Così ad esempio un'escursione  con  dislivello di poco  superiore ai 700 m su buon sentiero ( E ) è classificata come blu, facile. Viceversa un'escursione di identico dislivello ma su sentiero meno buono ( EE )  è classificata come rossa, media, così come un itinerario su sentiero facile ( E)  ma con dislivello notevole  è classificata come rossa,  media. Semplice no? 

martedì 5 maggio 2015

Il mistero dei "der canterin".

Sono le 4,00 del mattino di sabato 2 maggio 2015 e sono appena arrivato a casa dopo una giornata intensa: una scappata al Mayday 2015 a Cuorgnè ( quest'anno organizzato presso Villa Filanda ), organizzato dall'associazione Dynamic District 10082 per montare il gazebo dell'Ingria Woodstock Festival e mangiare una buona grigliata, poi subito a Front per caricare impianto e strumenti, che dobbiamo andare a  suonare con i Back to Front  presso il  ristorante - pub NigraHotel di Montjovet ( Ao). Bel locale davvero ed ottima cucina: se passate da quelle parti fateci un salto, se volete mangiare bene ed in abbondanza!
Morale della favola: avendo ancora delle commissioni da fare al mattino, di andare a camminare non se ne parla fino al pomeriggio. Oltretutto la giornata è così così, quindi di fare gli eroi non ne vale proprio la pena, ma anche di perdere il vizio  non mi pare il caso! Che cosa fare però in appena mezza giornata? Ma certo, come ho fatto a non pensarci prima: hanno da poco ripulito il sentiero che va al Fuet. E' d'obbligo andare a "collaudarlo"!
E così, dopo aver consumato un buon pranzo,  prendo bastone, giacca da pioggia e parto lungo il sentiero che risale il vallone dell'Eugio ( stanno ripulendo anche quello). Si tratta, in questo primo tratto, di un'ampia e ripida  mulattiera che, prima costeggiando le gole del torrente e quindi inerpicandosi nel bosco di castagni , raggiunge la borgata Balmetta 1040 m. 
Scalinata in pietra
Proprio all'inizio della borgata parte, sulla sinistra,  il sentiero per "la Pezza", o meglio per il Fuet, Pianfè e le altre borgate della zona, finalmente pulito e segnalato con evidenza: lo imbocco lasciando  il sentiero per il lago d'Eugio, che prosegue invece in direzione della borgata Veso addentrandosi nel vallone.
Si tratta anche in questo caso di un'antica  mulattiera, che percorre per un   tratto la dorsale Eugio \Orco, proseguendo poi sul versante Orco e dalla quale si gode un buon panorama. In particolare è mozzafiato la vista sul fianco sinistro idrografico del basso  vallone dell'Eugio, ripidissimo e caratterizzato da un susseguirsi di pareti rocciose e strapiombi, e sulla gola del rio Fo,  dove sono stato di recente durante un'escursione non per tutti. Immediatamente a monte di Balmetta si passa attraverso un sistema di terrazzamenti realizzato davvero con notevole perizia, così come la mulattiera, che le recenti operazioni di pulizia ci mostrano finalmente in tutto il suo ingegnoso ed utile splendore, tanta è l' eleganza con la quale supera gli ostacoli naturali ( placconi rocciosi, ripidi pendii) a mezzo di regolari rampe di scale in pietra. 

Notevoli opere di terrazzamento
Oggi molto spesso si sentono escursionisti lamentarsi degli scalini che "fanno venire male alle ginocchia", "fanno stancare"; un tempo invece  la presenza di scalini sufficientemente ampi e regolari era un requisito essenziale per uomini ed animali che percorrevano  tali vie di comunicazione, spesso gravati com'erano da pesanti carichi. Immaginatevi che cosa avrebbe potuto voler dire camminare quasi tutti i giorni  carichi su di un ripido pendio erboso o boschivo, lungo pietraie o su placconi di roccia: alla fatica dovuta al peso si sarebbe aggiunta la fatica legata all'irregolarità del percorso. Ed anche da scarichi comunque la progressione risultava più agevole, velocizzando i collegamenti con il fondovalle e\o le borgate vicine. Era quindi molto utile, quasi obbligatorio direi, avere cura nella realizzazione e manutenzione di queste infrastrutture pedonali.
Il versante sx idrografico del basso Eugio
Ed eccomi infine arrivato alla cappelletta rosa, posta proprio nel punto in cui il sentiero "abbandona" la balconata sulla Valle Orco per addentrarsi nel fianco della montagna, continuando a salire in direzione della borgata Fuet, il cui campanile diventa, da questo punto in poi, quasi invisibile a stagione avanzata. Questa cappella è posta in  una posizione davvero strategica, che la rende ben visibile, perfino ad occhio nudo,  sia dall'altro versante della Valle Orco che dalle borgate di fondovalle poste più a monte ( per esempio Casetti e Rosone). Ora i lavori di pulizia del sentiero l'hanno "liberata" dalla vegetazione che tentava di nasconderla ( dico tentava perchè nonostante tutto era rimasta individuabile anche da lontano ad un occhio esperto) .
Nei pressi della cappelletta ed a picco sulla valle Orco  vi è una grossa pietra abbastanza liscia,  un "der" , cosa che mi ha fatto venire in mente un racconto che narrava di un'antica usanza locale, quella dei "der canterin".
La cappelletta rosa

Il "der canterin"

Che cos'erano i "der canterin" ? Erano appunto grosse pietre sulle quali era possibile sedersi in compagnia, situate in luoghi  panoramici  dai quali era possibile entrare in comunicazione, visiva e sonora, con altri "der canterin"  posti su versanti dirimpettai od anche sullo stesso versante ma in posizione diversa lungo l'asta valliva. 
Che cosa accadeva su questi "der"? I racconti locali dicono che nelle lunghe serate primaverili ed estive , gruppi di uomini e donne delle borgate vicine  si radunavano nei pressi  di  queste rocce per cantare, ora alternandosi, ora cantando in coro, un pò come la banda di Pont Canavese durante i famosi "Concert dla Rua", nei quali i musicisti suonano sui balconi che si affacciano in  via Destefanis, solo che in questo caso la sinfonia era eseguita da una parte all'altra della valle!
E se questo è uno dei "der canterin", dove saranno ubicati gli altri ? Forse nella zona della borgata "La Rocca"? A Bertodasco, a Costa Bugni? 
Può darsi  che questi "der" fossero anche punti di belvedere posti lungo o nelle vicinanze dei principali  sentieri ed utilizzati per scambiarsi informazioni con appositi segnali. Provo allora a lanciare una voce per sentire se qualcuno mi risponde o se c'è un eco particolare, ma non ottengo riscontri per cui decido di proseguire: ormai manca poco alla meta. 
Un ultimo ripido tratto di sentiero scalinato,  ora tra i faggi, e poi si prende a sinistra la deviazione per il Fuet, lasciando la traccia precedente che continua a salire ripida verso la borgata Pianfè.
Con qualche piccolo saliscendi ed in pochi minuti si arriva in vista della chiesa "dla Pessa", che secondo la tradizione locale aveva tre intitolazioni: San Bernardo , San Domenico ( a cui era intitolata  la chiesa della sottostante frazione Casetti) e la Madonna del Carmine ( cui dicono fosse dedicata una chiesetta in località Cussalma, poi distrutta per far passare la vecchia strada carrozzabile). 
Il motivo di queste molteplici intitolazioni è probabilmente da ricercarsi nel fatto che molti tra gli abitanti delle borgate, un tempo abitate tutto l'anno, trascorressero l'inverno a fondovalle nelle vicine frazioni di Casetti, Cussalma e Castignè. 
Spunta il Fuet
A breve distanza dal Fuet si incrocia anche la mulattiera ( oggi in cattive condizioni) che saliva alla borgata direttamente dal fondovalle, partendo dalla località Castignè, un tempo classificata come "strada comunale". Un rapido saluto ai ruderi e riprendo il percorso a ritroso, mentre comincia a piovigginare, ed in quattro salti sono di nuovo a Cussalma: quando  la salita è ripida, se non altro la discesa è più veloce. Una mezza giornata ben spesa e ricca di spunti per il futuro.
Ah ecco, dimenticavo la parte più importante, il collaudo del sentiero: direi che è stato fatto un ottimo lavoro, per cui vi consiglio di farvi un giro da quelle parti prima che faccia troppo caldo ( siamo in piena esposizione sud). A presto con le "Storie di Montagna". 


martedì 28 aprile 2015

E' bello camminare in una valle verde

Circa a metà aprile iniziano a comparire, sulle montagne intorno a Locana,   ampie strisce continue di un bel verde chiaro:è la fogliazione primaverile dei boschi di faggio.  Tale fogliazione precede quella del castagno più in basso e quella di larici ed arbusti più in alto, come la stella del mattino che accarezza il cielo all'alba mentre l'oscurità progressivamente scompare, come il nastro su un pacco regalo. 
Balmella inferiore
Ammirando il paesaggio circostante ho pensato che, parafrasando un vecchio slogan pubblicitario, sarebbe stato molto bello camminare in una valle verde, magari a due passi da casa. E qual è la zona più verde e più densa di boschi di faggio nelle vicinanze? Ma la "Valfredda", naturalmente! Bisogna assolutamente andarci e subito: contatto l'amico Guido ed organizziamo l'uscita. 
La "Valfredda" è un'importante vallata laterale, posta sulla sponda destra idrografica del torrente Orco, all'interno del territorio del comune di Locana, che si estende lungo il corso del Rio Vallungo, dalle Foere fino alle pendici del Monte Croass, al confine con la Valgrande di Lanzo toccando importanti borgate quali Chironio e Balmella. Forse non è la valle più bella del mondo , ma nella mia classifica personale di certo se la gioca per il podio o per una medaglia di legno, che non ho mai capito perchè un quarto posto faccia poi così tanto schifo rispetto al terzo. Ma non divaghiamo.
valle verde
 Alle 8,30 di una mattinata limpida e serena lasciamo l'automobile a Balmella ed imbocchiamo la buona mulattiera che sale  sulla sinistra idrografica del vallone, conducendoci prima ad attraversare il rio Leitosa su una passerella di legno, poi in breve alle alpi Medan  1085 m. 
Il toponimo "Medan" significa appunto località posta "nel mezzo", ovvero la "terra di mezzo" posta tra  la Valfredda ed il vallone del Rio Leitosa, suo principale affluente, proprio laddove comincia la cresta spartiacque tra i due bacini. 
Tutte le nostre aspettative sono soddisfatte: due ali di  faggete delimitano il nostro percorso, che la primavera ha cosparso di fiori di ogni colore e di verdi velluti d'erba sui quali posare i nostri scarponi. Siamo forse degli imperatori? Questo non lo so, ma di certo siamo in una valle verde. Ma non divaghiamo. 
La parte media ed alta della "Valfredda" è ricca di verdi pascoli, punteggiati da numerosi rustici, stalle ed abitazioni ;  alcune decine di anni fa ne era addirittura ricchissima. Ma le vestigia degli antichi fasti, per nostra fortuna, sono ancora ben presenti, così che noi possiamo ammirarle. Certo, perchè a queste quote la vegetazione naturale sarebbe costituita da boschi e, se continuerà l'attuale dinamica di abbandono del territorio alpino, certamente avranno la loro rivincita sull'opera dell'uomo.
salita nella faggeta
 Proseguendo oltre il Medan, sempre su ottima traccia, raggiungiamo un altro importante alpeggio: il Pian del Pari 1188 m. E' qui che il Vallungo riceve altri due affluenti minori: il rio del Pari sulla sinistra ed il rio del Lupo sulla destra. Di fronte a noi ora sono ben visibili il Monte Cimeron e la testata del vallone . Ancora un tratto di salita nel bosco, ed eccoci all'alpe Casette 1300 m. Arrivati a questo punto abbandoniamo il percorso principale per addentrarci nel bosco di faggi. Ora la traccia è più incerta, il terreno più ripido ma l'ambiente è sempre affascinante, come sanno esserlo i boschi di faggio, ma noi sappiamo bene dov'è la nostra meta. E' lo Sprot. 
Guido, alla  prima uscita stagionale dopo il suo ritorno in Canavese, non sembra così convinto di abbandonare il buon sentiero dalle dolci pendenze, ma la promessa di panoramiche vedute e di un percorso tutto sommato facile lo convincono a fidarsi del Varda.
Lo Sprot, toponimo che deriva molto probabilmente dal cognome "Perotti", molto diffuso  nel comune di Locana, è un curioso alpeggio posto a cavalcioni tra la Valfredda ed il Vallone del Rio Leitosa, in una posizione al contempo molto panoramica  e molto "coraggiosa". 
finalmente lo Sprot
Saliamo così sulla destra idrografica del rio del Pari, risalendo la dorsale boscosa che ne delimita l'impluvio. Il colore dei faggi addolcisce l'erto percorso, ma allo stesso tempo lo rende misterioso, impedendoci di capire dove sia la spartiacque Valfredda-Leitosa e di vedere "in anteprima" il luogo d'arrivo.
 "Ecco che i faggi si diradano, forse ci siamo!". E invece no. "Ecco ormai la cresta è lì". No. Infine alla cresta ci arriviamo, ma non allo Sprot: in questo punto è costellata da tante paretine rocciose, come i biscotti che a volte mettono per guarnire i gelati artigianali.  Ma non divaghiamo.
Dove siamo? Fuori la cartina: stiamo andando bene, ma dobbiamo spostarci più a sinistra prendendo ancora un pò di quota: e così tosto usciamo dalla faggeta e vediamo la nostra meta. 
nella stalla con volta piena in pietra c'è ancora una gomma per l'acqua
Peccato che per raggiungerla sia necessario attraversare una zona ormai prevalentemente arbustiva , ma più che altro ripida e con al suolo ancora quel buon mezzo metro di neve marcia di fine stagione. Occorre quindi calzare le ghette per non bagnarsi e procedere con calma e concentrazione, saggiando bene la neve per evitare di finire in qualche buco ( anche se a prima vista pare che non dovrebbero essercene, visto che siamo ormai nella zona dell'alpeggio). 
Primula a fiore rosso allo Sprot
Così con un ultimo sforzo raggiungiamo i ruderi dell'Alpe Sprot: una stalla, un'abitazione ed un crutin, posti in corrispondenza di una caratteristica zona rocciosa della cresta che sembra farle da scudo. Qui la vegetazione è ancora indietro: ci sono fiori di crocus, genziane e veratri che cominciano a spuntare e, sul versante Leitosa, proprio sulla zona rocciosa, delle bellissime primule a fiore rosso. Un magnifico regalo che ci compensa di un'escursione non così ricca di incontri animali come pensavamo: si ok, 4 caprioli, 1 cervo e qualche camoscio, ma è una zona che può dare molte soddisfazioni in più.
Sprot - costruzione in cresta.
 Il panorama che da qui si gode è davvero vasto, e va dal Gran Paradiso alla Quinzeina, mentre davanti a noi la vista è chiusa dal monte Cimeron. Da qui possiamo vedere bene, sull'altra sponda della valle, anche l'Alpe Ussel e l'Alpe Quart, poste lungo il sentiero che raggiunge il col Croce d'Intror, dove passa l'Alta Via Canavesana. Anche la vista sul vallone di Leitosa è davvero ottima e possiamo ammirare le alpi Gaschi, Leitosa, Pian Marmotte, Cialma ( non quella, un'altra) e Colla...
In corrispondenza del "crottino di cresta" parte inoltre il sentiero ( ormai inesistente) che scende verso Piandemma andando a raggiungere l'alpe Carel. 
Svizzera? No, Valfredda!
Soddisfatti del buon pranzo al sacco, cominciamo la discesa, questa volta però optando per la zona sgombra da neve ( che poi è anche quella dove arriva la traccia di sentiero ), incontrando poi la traccia  proveniente direttamente dal Medan, che scegliamo di prendere perchè ci sembra più battuta. Come   a volte succede, seguire la traccia in discesa è più facile che in salita e, fatto salvo qualche tratto più "imboscato", la discesa nella faggeta è piacevolissima, quando mi rendo conto di trovarmi in un posto conosciuto. Siamo certamente sopra l'Alpe Pian del Pari: perchè non scendere direttamente lì e riprendere la mulattiera del primo pezzo di escursione? E così facciamo. Dopo un tratto più ripido, sbuchiamo infine nei pascoli alti del Pari. La vista sulla Valfredda in questo punto ed in questo periodo dell'anno mi fa venire alla mentre un altro vecchio slogan pubblicitario: "Svizzera?" "No. Novi". No, Valfredda, io direi. Dopo una breve sosta per godere della bella vista, riprendiamo la mulattiera ed in breve arriviamo all'auto lasciata a Balmella inferiore al mattino. E' un caldo ed assolato primo pomeriggio, e Guido approva l'escursione. E' bello camminare in una valle verde!