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martedì 28 aprile 2015

E' bello camminare in una valle verde

Circa a metà aprile iniziano a comparire, sulle montagne intorno a Locana,   ampie strisce continue di un bel verde chiaro:è la fogliazione primaverile dei boschi di faggio.  Tale fogliazione precede quella del castagno più in basso e quella di larici ed arbusti più in alto, come la stella del mattino che accarezza il cielo all'alba mentre l'oscurità progressivamente scompare, come il nastro su un pacco regalo. 
Balmella inferiore
Ammirando il paesaggio circostante ho pensato che, parafrasando un vecchio slogan pubblicitario, sarebbe stato molto bello camminare in una valle verde, magari a due passi da casa. E qual è la zona più verde e più densa di boschi di faggio nelle vicinanze? Ma la "Valfredda", naturalmente! Bisogna assolutamente andarci e subito: contatto l'amico Guido ed organizziamo l'uscita. 
La "Valfredda" è un'importante vallata laterale, posta sulla sponda destra idrografica del torrente Orco, all'interno del territorio del comune di Locana, che si estende lungo il corso del Rio Vallungo, dalle Foere fino alle pendici del Monte Croass, al confine con la Valgrande di Lanzo toccando importanti borgate quali Chironio e Balmella. Forse non è la valle più bella del mondo , ma nella mia classifica personale di certo se la gioca per il podio o per una medaglia di legno, che non ho mai capito perchè un quarto posto faccia poi così tanto schifo rispetto al terzo. Ma non divaghiamo.
valle verde
 Alle 8,30 di una mattinata limpida e serena lasciamo l'automobile a Balmella ed imbocchiamo la buona mulattiera che sale  sulla sinistra idrografica del vallone, conducendoci prima ad attraversare il rio Leitosa su una passerella di legno, poi in breve alle alpi Medan  1085 m. 
Il toponimo "Medan" significa appunto località posta "nel mezzo", ovvero la "terra di mezzo" posta tra  la Valfredda ed il vallone del Rio Leitosa, suo principale affluente, proprio laddove comincia la cresta spartiacque tra i due bacini. 
Tutte le nostre aspettative sono soddisfatte: due ali di  faggete delimitano il nostro percorso, che la primavera ha cosparso di fiori di ogni colore e di verdi velluti d'erba sui quali posare i nostri scarponi. Siamo forse degli imperatori? Questo non lo so, ma di certo siamo in una valle verde. Ma non divaghiamo. 
La parte media ed alta della "Valfredda" è ricca di verdi pascoli, punteggiati da numerosi rustici, stalle ed abitazioni ;  alcune decine di anni fa ne era addirittura ricchissima. Ma le vestigia degli antichi fasti, per nostra fortuna, sono ancora ben presenti, così che noi possiamo ammirarle. Certo, perchè a queste quote la vegetazione naturale sarebbe costituita da boschi e, se continuerà l'attuale dinamica di abbandono del territorio alpino, certamente avranno la loro rivincita sull'opera dell'uomo.
salita nella faggeta
 Proseguendo oltre il Medan, sempre su ottima traccia, raggiungiamo un altro importante alpeggio: il Pian del Pari 1188 m. E' qui che il Vallungo riceve altri due affluenti minori: il rio del Pari sulla sinistra ed il rio del Lupo sulla destra. Di fronte a noi ora sono ben visibili il Monte Cimeron e la testata del vallone . Ancora un tratto di salita nel bosco, ed eccoci all'alpe Casette 1300 m. Arrivati a questo punto abbandoniamo il percorso principale per addentrarci nel bosco di faggi. Ora la traccia è più incerta, il terreno più ripido ma l'ambiente è sempre affascinante, come sanno esserlo i boschi di faggio, ma noi sappiamo bene dov'è la nostra meta. E' lo Sprot. 
Guido, alla  prima uscita stagionale dopo il suo ritorno in Canavese, non sembra così convinto di abbandonare il buon sentiero dalle dolci pendenze, ma la promessa di panoramiche vedute e di un percorso tutto sommato facile lo convincono a fidarsi del Varda.
Lo Sprot, toponimo che deriva molto probabilmente dal cognome "Perotti", molto diffuso  nel comune di Locana, è un curioso alpeggio posto a cavalcioni tra la Valfredda ed il Vallone del Rio Leitosa, in una posizione al contempo molto panoramica  e molto "coraggiosa". 
finalmente lo Sprot
Saliamo così sulla destra idrografica del rio del Pari, risalendo la dorsale boscosa che ne delimita l'impluvio. Il colore dei faggi addolcisce l'erto percorso, ma allo stesso tempo lo rende misterioso, impedendoci di capire dove sia la spartiacque Valfredda-Leitosa e di vedere "in anteprima" il luogo d'arrivo.
 "Ecco che i faggi si diradano, forse ci siamo!". E invece no. "Ecco ormai la cresta è lì". No. Infine alla cresta ci arriviamo, ma non allo Sprot: in questo punto è costellata da tante paretine rocciose, come i biscotti che a volte mettono per guarnire i gelati artigianali.  Ma non divaghiamo.
Dove siamo? Fuori la cartina: stiamo andando bene, ma dobbiamo spostarci più a sinistra prendendo ancora un pò di quota: e così tosto usciamo dalla faggeta e vediamo la nostra meta. 
nella stalla con volta piena in pietra c'è ancora una gomma per l'acqua
Peccato che per raggiungerla sia necessario attraversare una zona ormai prevalentemente arbustiva , ma più che altro ripida e con al suolo ancora quel buon mezzo metro di neve marcia di fine stagione. Occorre quindi calzare le ghette per non bagnarsi e procedere con calma e concentrazione, saggiando bene la neve per evitare di finire in qualche buco ( anche se a prima vista pare che non dovrebbero essercene, visto che siamo ormai nella zona dell'alpeggio). 
Primula a fiore rosso allo Sprot
Così con un ultimo sforzo raggiungiamo i ruderi dell'Alpe Sprot: una stalla, un'abitazione ed un crutin, posti in corrispondenza di una caratteristica zona rocciosa della cresta che sembra farle da scudo. Qui la vegetazione è ancora indietro: ci sono fiori di crocus, genziane e veratri che cominciano a spuntare e, sul versante Leitosa, proprio sulla zona rocciosa, delle bellissime primule a fiore rosso. Un magnifico regalo che ci compensa di un'escursione non così ricca di incontri animali come pensavamo: si ok, 4 caprioli, 1 cervo e qualche camoscio, ma è una zona che può dare molte soddisfazioni in più.
Sprot - costruzione in cresta.
 Il panorama che da qui si gode è davvero vasto, e va dal Gran Paradiso alla Quinzeina, mentre davanti a noi la vista è chiusa dal monte Cimeron. Da qui possiamo vedere bene, sull'altra sponda della valle, anche l'Alpe Ussel e l'Alpe Quart, poste lungo il sentiero che raggiunge il col Croce d'Intror, dove passa l'Alta Via Canavesana. Anche la vista sul vallone di Leitosa è davvero ottima e possiamo ammirare le alpi Gaschi, Leitosa, Pian Marmotte, Cialma ( non quella, un'altra) e Colla...
In corrispondenza del "crottino di cresta" parte inoltre il sentiero ( ormai inesistente) che scende verso Piandemma andando a raggiungere l'alpe Carel. 
Svizzera? No, Valfredda!
Soddisfatti del buon pranzo al sacco, cominciamo la discesa, questa volta però optando per la zona sgombra da neve ( che poi è anche quella dove arriva la traccia di sentiero ), incontrando poi la traccia  proveniente direttamente dal Medan, che scegliamo di prendere perchè ci sembra più battuta. Come   a volte succede, seguire la traccia in discesa è più facile che in salita e, fatto salvo qualche tratto più "imboscato", la discesa nella faggeta è piacevolissima, quando mi rendo conto di trovarmi in un posto conosciuto. Siamo certamente sopra l'Alpe Pian del Pari: perchè non scendere direttamente lì e riprendere la mulattiera del primo pezzo di escursione? E così facciamo. Dopo un tratto più ripido, sbuchiamo infine nei pascoli alti del Pari. La vista sulla Valfredda in questo punto ed in questo periodo dell'anno mi fa venire alla mentre un altro vecchio slogan pubblicitario: "Svizzera?" "No. Novi". No, Valfredda, io direi. Dopo una breve sosta per godere della bella vista, riprendiamo la mulattiera ed in breve arriviamo all'auto lasciata a Balmella inferiore al mattino. E' un caldo ed assolato primo pomeriggio, e Guido approva l'escursione. E' bello camminare in una valle verde!
















domenica 19 aprile 2015

Escursioni non per tutti 2: Rifugio Blessent da Cussalma per la gola del rio Fo.

E' venerdì sera quando Franco mi scrive : " domani io e Blin andiamo a fare un'esplorazione in zona Curlo, vieni ?" "Non so se riesco, perchè al mattino presto devo andare a ritirare uno sciame d'api a Caluso" "Guarda, se cambi idea scrivimi. Noi partiremo alle 8,00 da Cussalma". 
Effettivamente mi sarebbe dispiaciuto molto non partecipare ad un'escursione in progetto da tempo, almeno da quando gli amici Franco e Blin mi avevano parlato di aver trovato al Curlo un "sentiero" dal tracciato abbastanza ben evidente che si inoltrava sul fianco sx idrografico del vallone dell'Eugio, ma che avevano rinunciato alla salita per la presenza di ghiaccio e neve, che rendevano il percorso pericoloso. 
Puntina quota 1481.
Incuriosito da quella "scoperta", mi era poi venuto in mente che un esperto conoscitore della zona mi aveva spesso parlato di "una roggia più in alto di quella di Montepiano", "un altro passaggio per andare su",  senza però mai specificare bene come e dove trovare questo passaggio, nè dove conducesse.  Così domenica scorsa ero partito, in solitaria, per andare a fare un giro da quelle parti. Salito da Cussalma al Bric di Scialva  ( itinerario già descritto su Gulliver proprio dall'amico Franco ),  sono quindi andato al Curlo dove quasi subito ho trovato il famoso "sentiero", le cui vistose opere murarie di sostegno non lasciavano dubbi: il sentiero  altro non è che la "roggia più in alto".  La percorro quindi senza indugio, ma arrivato ad un certo punto anch'io decido di rinunciare per via della presenza di neve residua e per il fatto di essere da solo: meglio tornare più avanti ed in compagnia, quindi faccio dietrofront e mi accontento di raggiungere l'assolata e panoramica puntina quota 1481. 
Così ieri mattina sono partito di buon mattino per Caluso, con la segreta speranza di riuscire ad unire l'utile al dilettevole, cioè ritirare le api, posarle e raggiungere Franco e Blin in tempo per la partenza. Arrivato a Caluso, telefono per capire bene il luogo del ritiro e, sorpresa, per via di un disguido non ero stato avvertito che lo sciame non era ancora arrivato. Passato l'iniziale momento di delusione penso: "sono da poco passate le 7,00, posso farcela!", ed immediatamente scrivo a Franco di aspettarmi direttamente a Cussalma.
Franco e Blin al Bric di Scialva
Pronti, partenza, via! Da Cussalma (650 m ) saliamo ad attraversare l'Eugio alla passerella di quota 741 m  ( localmente chiamato "punt pera dla gorge" o "dal gorge") ed imbocchiamo la mulattiera che porta alla borgata Trucca 860 m ca , dalla quale parte il sentiero, inizialmente più evidente per poi scomparire quasi del tutto, che porta al Bric di Scialva 1139 m , localmente chiamato "Basetta" o "Bassetta", per via del profilo arrotondato che mostra osservandolo da Cussalma.
Curlo 1275 m
Dal Bric proseguiamo per tracce di sentiero fino alla borgata Curlo 1275 m, dove ci concediamo una breve pausa per fare uno spuntino in vista del prossimo tratto dell'escursione, che sappiamo essere impegnativo. 
Dal Curlo prendiamo quindi il sentiero - roggia. E' un sentiero, è una roggia? L'esperto Blin dissipa immediatamente i nostri dubbi sulla questione: "le rogge avevano comunque bisogno di manutenzione, per cui è normale che molto spesso ad una roggia di questo tipo fosse affiancato, anche solo a tratti, un sentiero". Proseguendo ci rendiamo conto che le cose stanno esattamente così. Si tratta di un percorso davvero avvincente, con tratti molto esposti e che provoca in noi l'ammirazione per l'ingegno umano, che ha saputo ricavare tra cenge e pareti a strapiombo un sistema di canalizzazione dell'acqua ed un sentiero abbastanza agevole per il passaggio dell'uomo, seppur facendo molta attenzione per via dei tratti esposti e degli strapiombi a cui accennavo poco sopra.
La roggia.
Una piccola scalinata
La roggia costeggia la gola
La gola del rio Fo
Arriviamo così ad affacciarci nella profonda gola incisa dal Rio Fo: da qui si vede chiaramente come la roggia la costeggi con un fedele quanto obbligato semicerchio, fino a raggiungere il rio dal quale evidentemente era alimentata. Osservando l'opera dell'uomo da questo punto, oltre all'ammirazione per l'ingegno umano sorge in noi  il profondo rispetto per l'inimmaginabile fatica che il realizzare tutte quelle opere a secco in un luogo così impervio deve aver comportato per gli abitanti del luogo. Inoltre vediamo subito come, una volta superata la gola del rio Fo, ci aspetti una salita mica da ridere su un pendio ripidissimo e che si presenta parecchio roccioso. Percorrendo in parte la roggia (  poichè in alcuni tratti è franata ) ed in parte il sentiero, la cui traccia rimane comunque sempre piuttosto evidente , arriviamo quindi al rio Fo, che dobbiamo attraversare per proseguire la salita. Prima di continuare la descrizione dell'itinerario è doveroso un pensiero, una dedica ad una persona che conosceva questi luoghi come le sue tasche e proprio in questo tratto del percorso, per una disgrazia, è andato avanti. La nostra escursione la dedichiamo alla sua memoria. Comincia quindi il tratto più duro del percorso: dapprima molto roccioso ed a tratti un po' umido, per cui occorre ancora mantenere la massima concentrazione , poi più facile ma sempre ripidissimo, fino ad incrociare la mulattiera che appena più in basso dell'Alpe Pian del Prete ( localmente chiamata "Fo sut" ) attraversa a mezza costa per raggiungere l'alpe Forcetta, ed in particolare le due costruzioni che si trovano nei pressi del colletto 1469 m dove passa la mulattiera che sale da Barelli passando per  Scialva. Questo tratto di salita, dall'attraversamento del rio Fo al Pian del Prete , si svolge in un ambiente davvero selvaggio ed affascinante ( non che prima non lo fosse altrettanto: ma la presenza della roggia e del sentiero, opere dell'uomo, in qualche modo contribuiva a mitigarlo), tanto che mi viene da pensare come fosse possibile la presenza di un luogo così selvaggio e roccioso ad una quota di appena 1400 m.   Arrivati al "Fo sut", l'escursione diventa più facile e da qui fino al Rifugio Blessent si svolge sulla panoramica dorsale pascoliva culminante con il Monte Arzola.  Dalle alpi  "Fo Sut" saliamo direttamente  prima all'alpe Fo Superiore 1745 m , poi   all'alpe Dreja 1816 m  ( dove troviamo un'ottima fontana con una discreta portata) e quindi da questa cominciamo a salire traversando verso destra in direzione del pian Camusol o Chermisù, dal quale in pochi minuti si raggiungono il rifugio e la statua del Redentore 1965 m , lasciando in alto a sinistra l'alpe Force 1980 m.
Attraversato il Rio Fo, ci aspetta una ripida salita.


Mentre saliamo, la dorsale si trasforma in un grande luna park per camosci: camosci, camosci ovunque, in alto,in basso,  a destra , a sinistra. Io ne ho contati almeno una cinquantina e vi assicuro che è una somma per difetto! In lontananza osserviamo anche la folle corsa di un paio di enormi cinghiali, sopra di noi comincia a volteggiare un'aquila, qua e là spuntano marmotte ed il loro richiamo.  Quasi quasi si potrebbe organizzare in zona un bel safari alpino!
Camosci, camosci

Pian Camusol
Consumato il nostro pranzo presso il rifugio Blessent, cominciamo la discesa, che effettueremo per il sentiero normale, cioè passando per il Bric del Fo e scendendo a Barelli lungo la mulattiera. Tocchiamo così l'alpe La Croce  1803 m, il rudere quota 1690 , lasciamo alla nostra sinistra il  Fo inferiore  1672 m, per poi salire un momento  sul Bric a dare un'occhiata al panorama.  Molto bella è anche la "muraglia cinese", come la chiama Franco, cioè il lungo sistema di muri a secco ed ometti di pietra che delimitano il confine sud della dorsale pascoliva, eretti  per evitare che il bestiame al pascolo si recasse nella sottostante zona ( in cui la morfologia del terreno cambia radicalmente diventando un'alternarsi di cenge e strapiombi) mettendo a rischio la propria incolumità. Tale complesso di costruzioni a secco è inoltre la testimonianza del certosino lavoro di spietramento effettuato dai montanari per guadagnare quanti più metri quadri di superficie pascoliva possibile. Se poi pensiamo che l'opera di spietramento, vista la bassa quota  ( ci troviamo qui sotto i 1800 m ) , è stata necessariamente preceduto dall'abbattimento dei boschi  ( con tanto di sradicamento dei ceppi - e chi ha avuto a che fare con la legna sa che cosa vuol dire in termini di tempo e fatica) e\o dello sradicamento dei cespuglieti e delle formazioni arbustive originariamente presenti, l'osservazione degli effetti dell'abbandono e\o sottoutilizzo di queste superfici non può che lasciarci la triste impressione di un immane lavoro fatto da molti in un remoto passato e che noi stiamo sprecando, disprezzando. 
La "grande muraglia".
Per carità, è un bene che molti appezzamenti più o meno piccoli e posti su terreni impervi e sfavorevoli tornino alla naturale evoluzione, ma vedere superfici pascolive così estese e potenzialmente pingui abbandonate all'invasione arbustiva ed al ritorno del bosco è un vero peccato.   Dall'etimologia dei luoghi e dall'osservazione delle zone circostanti  possiamo immaginare che un tempo fossero presenti boschi di faggio e, più in alto, boschi di larice ed abete rosso. Salutati da un capriolo , arriviamo quindi al colletto di quota 1469 m, ormai nel bosco di faggi, dal quale in pochi minuti andiamo a visitare le due vicine costruzioni facenti verosimilmente parte del complesso dell'alpe Forcetta 1438 m , posta pochi metri più in basso sul versante Orco. 
Mmm.. mi hanno visto. Ciao!
Continuando la discesa nella faggeta, ora su buona mulattiera, e scongiurato l'investimento di Blin da parte di un grande cinghiale che,  lanciato a folle corsa , travolgeva tronchi ed arbusti stile Ferrari con ruspa, arriviamo alla borgata Scialva 1201 m. Blin osserva come questa mulattiera, vista la presenza di così numerosi alpeggi più in alto, dovesse letteralmente brulicare di vita almeno fino agli anni 50 del secolo scorso, essere il luogo di un continuo viavai quotidiano tra chi scendeva a valle a portare burro e formaggio a vendere, chi saliva  tornando all'alpeggio e chi scendeva per fare fieno da qualche parte.  Da Scialva la mulattiera continua a scendere decisamente attraverso il bosco di castagni e roverelle fino  a Barelli 885 m,  da cui per la strada asfaltata scendiamo ancora un poco fino a raggiungere la pista carrozzabile per la Trucca, raggiunta la quale riprendiamo il sentiero del mattino facendo ritorno a Cussalma. E' stata davvero una bella avventura, ricca di soddisfazioni, ma non me la sento di consigliarvela. Parafrasando lo slogan del wrestling dedicato alla sicurezza, "don't try this at home", nel senso che se volete salire all'Arzola da Cussalma o da Barelli, passate dalla mulattiera.Dico questo senza alcuna presunzione ma semplicemente animato dalla consapevolezza che per intraprendere certi percorsi, dove spesso il sentiero è un'opinione, in ambiente impervio dove non si può sbagliare percorso a pena di rimanere bloccati in qualche cengia o canale senza saper più nè salire nè scendere, spesso con qualche passaggio non banale qua e là è necessario avere una notevole dimestichezza con percorsi di questo tipo, conoscere bene il territorio ed essere in compagnia di persone esperte. Ed in questo caso, essendo  in compagnia di Franco e Blin, io sono andato sul sicuro! Arrivederci a presto con le "Storie di Montagna! 

mercoledì 15 aprile 2015

Pesto all'aglio orsino delle Tiere

Sul web si trovano numerose ricette, ma a tutte ( o quasi) manca un punto fondamentale, il primo punto: dove e quando raccogliere l'aglio orsino. Con questo pezzo ovvieremo finalmente a questa fastidiosa mancanza. 
Vi ricordate che cosa si era detto nell'ultimo post (quello della ciaspolata al Der del Munt ) ? Si, esatto: in primavera i prati ed i boschi delle Tiere si riempiono di aglio ursino, Allium ursinum L., con il quale si può fare un ottimo pesto. Così ho immediatamente raccolto l'invito dell'amico Carlo ( "domenica pomeriggio vado a raccogliere l'aglio dei boschi" ) e mi sono così aggregato ad una simpatica comitiva che comprendeva addirittura un signore belga ed una coppia valdostana, della Valtournenche. Vi rendete conto? Per raccogliere l'aglio orsino a Locana arriva gente anche dall'estero, e noi che viviamo a due passi dovremmo starcene con le mani in mano ? Oltretutto il grande chef di casa Savoia Guidobaldo Carli del Sasso, che seguiva la corte sabauda in quel di Ceresole Reale ( To), nel suo celebre "Ricettario del pastorello  sorridente " ( dato alle stampe nel 1848 ) , citava espressamente l'aglio delle Tiere di Locana come il "migliore" presente nel Regno di Sardegna.
Raggiungo quindi in auto le Praie, frazione del comune di Locana ( To) posta sulla destra idrografica del torrente Orco e, lasciata l'auto nei pressi di una piccola piazzetta, imbocco la mulattiera che tosto attraversa il rio Fassabella su una passerella di ferro e sale con numerose svolte fino alla borgata Tiere 817 m , raggiungibile in mezz'oretta di piacevole cammino tra i boschi. 
La salita è allietata dalla presenza di numerosi bei fiori primaverili: pulmonarie, ranuncoli , sassifraghe, primule. cardamini, epatiche...
Pulmonaria officinalis

Ranunculus ficaria



Saxifraga cuneifolia

Primula vulgaris

Primula veris

Cardamine heptaphilla


Ma, soprattutto, i prati ed i boschi delle vicinanze sono pieni di foglione verdi: sembra quasi un mare d'aglio ( ursino), non ancora fiorito ! Direi che abbiamo pienamente azzeccato tempo e luogo!

Alle Tiere, distese di aglio orsino

Ciascuno estrae dunque ora il suo coltellino e si comincia la raccolta. L'amico Carlo mi spiega immediatamente un trucco per raccogliere più agevolmente la maggior parte della pianta (l'aglio orsino è infatti interamente commestibile ed utilizzabile per la nostra ricetta, con un sentore di aglio man mano più forte , dalle foglie scendendo fino al bulbo): raccoglierla sotto copertura boschiva. Il terreno è qui infatti più soffice e meno compattato e la pianta può essere estratta praticamente senza rimasugli di terra o quasi, il che agevolerà notevolmente le successive operazioni di lavaggio. 

Aglio orsino fiorito

Riempiti i nostri cestini , torniamo alle auto e l'allegra comitiva  dei raccoglitori si divide e ciascuno torna a casa per  cominciare a lavorare alla ricetta: io ho preso spunto dalla ricetta dello  chef sabaudo Guidobaldo Carli del Sasso, del cui ricettario mi pregio di avere una copia, originale autografa, in biblioteca, permettendomi di modificarla con alcune integrazioni. 
Oltrechè come condimento, il pesto di aglio orsino è anche ottimo per le bruschette e da mangiare spalmato sul pane con un pò di burro.
Ps: se proprio non volete venire alle Tiere, cercate l'aglio ursino in " boschi di latifoglie, luoghi ombrosi ed umidi, e particolarmente nelle vallecole umide in colonie numerose su terreni fertili e ricchi di humus, dal piano fino alla fascia submontanda, da 0 a 1500 mt" ( http://www.actaplantarum.org/floraitaliae/viewtopic.php?t=358 ) , preferendo quindi i versanti con esposizione nord nel periodo aprile - maggio. Il risultato sarà comunque ottimo! 

PESTO ALL'AGLIO ORSINO DELLE TIERE

Ingredienti :

Aglio orsino delle Tiere
Olio di oliva
Frutta secca ( noci, mandorle, pinoli)
1 cucchiaino di sale fino

Procedimento :

1) Andate alle Tiere in primavera e raccogliere l'aglio orsino. Se desiderate ottenere un pesto meno forte, raccogliete più parti fogliose e meno fusti; se invece volete un condimento più forte cercate di raccogliere anche la maggior parte dei fusti od addirittura i bulbi.  Per una buona conservazione del raccolto fino a casa utilizzare cesti di vimini o buste di carta. 

2) Selezionate l'aglio e lavatelo in acqua fredda corrente al fine di rimuovere ogni residuo di terra e\o di altri vegetali raccolti accidentalmente. Lasciate quindi scolare per tutta la notte. 

3) Utilizzando uno scolainsalate, completare l'asciugamento dell'aglio. E' consigliabile fin d'ora separare foglie e fusti, spezzando eventualmente quelli molto lunghi. 

4) Utilizzando un frullatore a bicchiere, mettete nel bicchiere la frutta secca nelle proporzioni preferite, riempite di olio fino a coprire le lame e mettete un cucchiaino di sale fino.

5) Cominciate quindi a frullare l'aglio, aggiungendolo via via fino alla capacità massima del frullatore. Ne deve risultare un composto omogeneo.



6) Versate il pesto così ottenuto in un vasetto di vetro  per sott'oli e conserve, senza riempirlo. Aggiungetegli quindi sopra altro olio d'oliva sino a colmarlo. Il vostro pesto è pronto per l'utilizzo e la conservazione, in cantina fresca o frigorifero.