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martedì 23 agosto 2016

Guida turistica del vallone di Noaschetta - escursioni obbligatorie n°3

Premessa

Dei tre valloni di Noasca, il vallone di Noaschetta è certamente il più selvaggio e meno frequentato dagli escursionisti; è invece  il più frequentato da alpinisti ed arrampicatori, impegnati in ascensioni sulle vette del gruppo del Gran Paradiso, sulle pareti del monte Castello e sulle numerose palestre di roccia presenti e l'unico ad essere sfruttato per il canyoning, in virtù delle belle cascate che caratterizzano la sua parte bassa. 
Ecco, la parte bassa:  forse è proprio lei la responsabile della selezione "naturale" che fa sì che soltanto gli intenditori frequentino questo splendido vallone:  stretto tra ripide pareti nella parte iniziale e dominato dal monte Castello. dal Gran Carro e dal Trasen Rosso nella parte successiva fin quasi ai piani della Bruna, il suo "panorama"  risulta un pò limitato spazialmente. Ma questo non significa che sia un brutto paesaggio, affatto: la conca della Noaschetta bassa dominata dalle pareti del monte Castello, il casotto Pngp e la presa dell'Arculà sono certamente meritevoli di una visita, oltre ad essere tappe obbligate per chi desidera accedere da Noasca alla parte alta del vallone,  dall'alpe La Bruna in poi , dove si apre ai nostri occhi lo spettacolo mozzafiato del vicino gruppo del Gran Paradiso che man mano si avvicina: quando arrivi al bivacco Ivrea ti sembra di poterlo sfiorare facendo pochi passi!
Se fossi chiamato a stilare una classifica personale dei luoghi più suggestivi del versante piemontese del Parco Nazionale del Gran Paradiso, di sicuro il vallone di Noaschetta occuperebbe il primo posto a pari merito con quello dell'Eugio, e non si tratta soltanto di un legame affettivo ( frequento questa zona fin dall'infanzia) : si tratta obiettivamente di un posto magnifico ( ed il versante sud del Gran Paradiso è il più suggestivo ed imponente). Che cominci dunque la descrizione!

Inquadramento geografico-morfologico

Dal punto di vista altimetrico il vallone di Noaschetta si estende dai 1050 m di Noasca fino ai 4026 m del Roc del Gran Paradiso ;  ad est confina con la valle Orco  fino alla punta del Carro 2777 m, quindi con il vallone di Piantonetto. lungo la cresta divisoria che va fino ai becchi della Tribolazione ed alla becca di Gay 3621 m, ad ovest con il vallone di Ciamosseretto lungo la cresta spartiacque che va dal  monte Castello 2612 m fino alla Tresenta 3609 m.
Elaborazione M. Varda su cartografia IGM 1:25.000 + ortofotocarta 2012 ( fonte: portale cartografico nazionale)
A nord-ovest e nord confina con la Valsavarenche, dalla Tresenta fino al Roc 4026 m ( unico 4000 totalmente in territorio piemontese) , a nord-est con la val di Cogne ( Valnontey) dal Roc fino alla Becca di Gay. Nella parte alta il vallone si divide in due tronconi: il vallone di Goui o di Goi a nord-ovest ed il vallone del Gias della Losa a nord-est, solcati dagli omonimi rii che unendosi danno origine al torrente Noaschetta.
Dal punto di vista geomorfologico il vallone di Noaschetta si presenta come una classica valle sospesa di origine glaciale , separata dal fondovalle da un salto di circa 40 m, la famosa cascata di Noasca, di cui rimangono celebri le immagini dell'alluvione del 1993, quando la sua forza determinò il crollo di una casa. Quest'anno è invece stato inaugurato un suggestivo sentiero che conduce proprio dietro al getto della cascata, che vi consiglio caldamente di provare : si tratta di un percorso di 15-20 minuti al massimo per cui vale davvero la pena di fermarsi in piazza a Noasca per percorrerlo.
Dal punto di vista geologico qui ci troviamo nel pieno del massiccio del Gran Paradiso, ragion per cui la matrice litologica di questo vallone si presenta composta pressochè interamente da gneiss occhiadino, pietra scistosa ideale per ricavare le tradizionali "lose".


Vie d'accesso

Sono quattro le vie di accesso al vallone di Noaschetta : la più utilizzata oggi è quella che parte dalla frazione Balmarossa sup. dove, a seguito dell'arrivo della strada asfaltata, sono stati ripristinati  sia il sentiero di collegamento con la borgata Sassa che il "sentiero corto"per il rifugio Noaschetta. In pratica il  sentiero di collegamento Balmarossa - Sassa va ad incrociare poco a monte di quest'ultima borgata  la mulattiera reale che sale alla casa di caccia del Gran Piano di Noasca, a destra della quale si diparte, ad una quota di 1600 m circa,   un sentiero  che a mezza costa e con vari saliscendi conduce fin nei pianori della Noaschetta bassa , ove è posto il rifugio omonimo: tale percorso  è denominato "sentiero lungo". 
V.ne di Noaschetta - parte bassa e media - clicca sulla foto per ingrandire ( elaborazione su cartografia IGM 1:25000 -  fonte:portale cartografico nazionale





Se all'incrocio di cui si è parlato in precedenza si scende ancora di poco verso le case di Sassa, si incontrano le indicazioni per il "sentiero corto", che attraversando delle strette cenge su pareti a strapiombo sul rio Noaschetta raggiunge direttamente l'alpe Pian Sengio, a breve distanza dal rifugio Noaschetta. La percorrenza del "sentiero corto" è sconsigliabile per chi soffre di vertigini, anche se l'intero tracciato è stato notevolmente facilitato nel corso degli anni mediante la realizzazione di piccoli terrazzamenti a sostegno di scalinate, installazione di mancorrenti, gradini di ferro e corde fisse ( fino ad una ventina di anni fa non era così comodo ), tanto che oggi praticamente il 99% di quelli che si recano nel vallone optano per questa soluzione. Cionondimeno il sentiero lungo offre una splendida vista su Ceresole e le Levanne, per cui consiglio comunque di percorrerlo in discesa.
Le Levanne viste dal sentiero "lungo"
Le altre due vie di accesso sono la mulattiera reale di caccia del Gran Piano, che si imbocca appena dopo i tornanti della strada asfaltata sopra il capoluogo ; il sentiero "Renato e Ada Minetti", che partendo dai pressi della chiesa parrocchiale di Noasca giunge fino a Balmarossa superiore ed alla Sassa oppure percorrendo lo stesso ma in senso inverso, cioè  salendo sulla sx idrografica del rio Noaschetta a raggiungere la Noaschetta bassa all'alpe Lavassai.

La parte bassa e media del vallone

Il sole sorge dalla bocchetta di Drosa. A dx il Gran Carro,
a sx il Trasen Rosso.
Essendo il nostro obiettivo quello di percorrere  integralmente tutto il vallone, descriveremo l'accesso dal sentiero  Noasca - Lavassai: dalla piazza si attraversa la provinciale  e si sale alla chiesa parrocchiale, dietro la quale si imbocca il sentiero "Renato ed Ada Minetti", che con ripide svolte ci porta a superare la bastionata rocciosa che sovrasta il concentrico di Noasca ( ignorare la svolta a destra che conduce all'attacco delle famose pareti della "Torre di Aimonin"). Il sentiero, sempre ben pulito e segnato, continua sulla sponda sx idrografica del vallone toccando prima le case Sengie e quindi l'alpe Scialier per poi giungere nella verdeggiante conca occupata dall'alpe Lavassai 1550 m e dominata dalle pareti del vicino monte Castello. Sulla sinistra vi sono la camera di carico e l'opera di presa della Noaschetta bassa, facenti parte dell'impianto di produzione idroelettrica dell'Iren Ceresole-Rosone: percorrerne il grigliato attraversando così il rio e raggiungendo il rifugio Noaschetta, ricavato nell'ex casa di guardiania , gestito dal Cai di Rivarolo. 
Le imponenti pareti del m.te Castello
Si ricorda che il rifugio Noaschetta è  non custodito chiuso tutto l'anno:  le chiavi sono reperibili al seguente indirizzo:  Ristobar Gran Paradiso di Cucciatti Sabrina, via Umberto I° n°2 ( accesso dalla piazza - 10080 Noasca ( TO).
Presa dell'Arculà
Dal rifugio Noaschetta  in breve si perviene alla mulattiera che sale al bivacco Ivrea, che passa appena più in alto. In questo tratto il vallone è dominato a sinistra dalle imponenti pareti del monte Castello ed a destra dalle cime del Gran Carro e del Trasen Rosso o becco della Siarda, in mezzo ai quali si trova la bocchetta di Drosa , un tempo importante punto di comunicazione tra i due valloni. Sul versante sx idrografico del vallone,  durante la salita, possiamo osservare ad occhio nudo o con l'ausilio di un buon binocolo numerosi alpeggi abbandonati: Balma Armà, Pian dell'Alpe, Brengi, Siarda, Valpiano, posti in un ambiente a dir poco "selvaggio"  .
Superate le alpi Vota e Bettasse, la mulattiera aggira il contrafforte roccioso discendente dalla quota 2394 m del Monte Castello e con serie di tornanti alternati a lunghi traversi in falsopiano, sale fino a raggiungere i resti dell'alpe Arculà, poco oltre la quale sono posti il casotto del Parco Nazionale del Gran Paradiso e la presa dell'Iren, che deriva le acque del torrente Noaschetta immettendole attraverso una galleria in roccia nel lago di Telessio.
Le imponenti torri del Blanc Giuir
La mulattiera ora prosegue a destra del casotto e, dopo un breve tratto più diretto, comincia a salire con regolari svolte verso i ripiani superiori, in quella che sulla carta della Mu edizioni viene chiamata "salita della Forca", dal nome del vicino ed omonimo alpeggio, posto ad una quota di 2050 m, a est della mulattiera. Sulla nostra destra cominciano a spuntare le imponenti torri rossastre del Blanc Giuir; sulla sx idrografica del torrente sono presenti altri due alpeggi diroccati ed abbandonati da molto tempo, Gorgi e Ruine, molto interessanti da un punto di vista architettonico e culturale, in quanto testimonianze dell'elevata pressione antropica di cui furono oggetto le nostre montagne grossomodo dal 1800 fino al secondo dopoguerra..
Il gruppo del Gran Paradiso e ed i pianori della Bruna
Dopo aver raggiunto ed attraversato una piccola conca pietrosa, si giunge infine al punto di congiungimento con la mulattiera reale di caccia proveniente dalle bocchette dell'Alpetto e del Ges ; da questo punto in poi anche il nostro percorso diventa quindi "reale" ( il tratto percorso precedentemente non fa infatti parte del sistema delle mulattiere reali di caccia) e stupenda la vista sul gruppo del Gran Paradiso, che non ci lascerà più.
Da questo punto è infatti possibile raggiungere in breve tempo la bocchetta dell'Alpetto 2563 m, da cui in breve si può raggiungere la cima del monte Castello per la via normale senza particolari difficoltà; proseguendo lungo la mulattiera si raggiunge invece la vicina bocchetta del Ges 2692, posta tra il Becco dell'Alpetto e la cresta dei Prosces  lungo lo spartiacque Noaschetta -Ciamousseretto.
"Nursery" di stambecchi alla bocchetta del Ges
In breve si raggiungono dunque i suggestivi pianori della Bruna inferiore e superiore; alcuni documenti storici testimoniano come  i formaggi prodotti in questi alpeggi finissero direttamente sulla tavola della real casa, in ragione della loro particolare bontà, dovuta certamente alla bravura dei pastori ma soprattutto alla particolare composizione vegetazionale, caratterizzata dalla forte prevalenza di una ciperacea, il Carex foetida L. , specie erbacea che conferisce ai latticini sapori unici. L'importanza dell'alpeggio è testimoniata inoltre dalla mulattiera di accesso ( pensiamo anche solo alla "salita della forca" ), realizzata con imponenti lavori di terrazzamento e preesistente alle attenzioni di casa Savoia. E' un vero peccato che oggi un simile alpeggio non venga più sfruttato per la produzione lattiero-casearia! 
Mio nonno materno, che aveva seguito i lavori di costruzione della presa dell'Arculà in qualità di "assistente" ( una sorta di capocantiere ) dell'Azienda Energetica Municipale di Torino, oggi Iren, mi raccontava che acquistava il latte dalla Bruna tramite i  guardaparco dell'Arculà, i quali si erano offerti di portarglielo,  visto che anche loro si rifornivano lì perchè quel latte era "più buono" di quello del margaro dell'Arculà, chiamato Peru Pacific ( non me ne vogliano suoi eventuali discendenti-lettori di  questo articolo). 
E' nei pianori della Bruna inferiore che il vallone di Noaschetta si divide in due: a  destra il vallone del Gias della Losa ed il vallone di Goui o di Goi ; i due rii omonimi infatti confluiscono proprio in questo punto dando vita al rio Noaschetta.

La parte alta del vallone

La parte alta del vallone; in rosso il percorso per la Becca della Losa ( click per ingrandire)
Superati i ruderi dell'alpe Bruna superiore si raggiunge in breve il lungo Pian di Goi, dove  la mulattiera reale si biforca: a sinistra  sale in direzione dei resti  ghiacciaio di Goi, a destra in direzione del vallone del Gias della Losa. 
Proseguendo lungo la mulattiera di sinistra, che costeggia sulla destra tutto il pianoro, incontriamo subito i ruderi dell'alpe di Goi;  arrivati alla fine del pianoro la mulattiera sale  fin nei pressi del piccolo lago di Goi, che si trova leggermente spostato sulla destra ( tale specchio d'acqua ad estate inoltrata si riduce ad una pozza quasi asciutta ).  Da quota 2700 m in poi la mulattiera sale in direzione della morena frontale del ghiacciaio di Goi, nella quale si perde; superata la morena frontale si raggiungono dapprima il ripiano superiore un tempo occupato dal ghiacciaio, ai piedi della Tresenta, quindi il ghiacciaio occidentale di Noaschetta ed il colle del Gran Paradiso 3345 m.
Fioritura di eriofori al pian di Goi; sullo sfondo Tresenta e Gran Paradiso

Proseguendo  a destra la mulattiera sale aggirando i contrafforti della quota 3016, ultima elevazione rilevante della divisoria Goi\Gias della Losa, originantesi dallo sperone meridionale della punta di Ceresole ed avente come principale cima il Deir Vert  3202 m, per affacciarsi sul vallone del Gias della Losa nei pressi dell'alpe la Motta 2656 m, da cui si gode di una vista impareggiabile sui becchi della Tribolazione e sulle varie cime del Blanc Giuir. Nei pressi dei ruderi di questo alpeggio sono inoltre presenti due piccoli e graziosi  laghetti ( di cui uno si presenta asciutto ad estate avanzata).
In questo punto per così dire "di valico" si può osservare bene come cambi radicalmente il carattere del vallone del Gias della Losa: dai versanti stretti e ripidi che caratterizzano la sua parte terminale, alla parte superiore, connotata dalla  presenza di estesi pianori glaciali.
I ruderi dell'alpe la Motta, sullo sfondo i becchi della Tribolazione

La mulattiera svolta quindi a sinistra e risale il vallone fino ad un esteso pianoro glaciale,  superato il quale si giunge nei pressi del bivacco Ivrea, ove il percorso si biforca nuovamente.
Risalendo uno spalto erboso si raggiungono dapprima il pianoro su cui sorge il  bivacco Ivrea  2777 m, dal quale a continuando a sinistra lungo i resti della mulattiera reale si sale in direzione del ghiacciaio orientale di Noaschetta  e del colle del Gran Paradiso, mentre rimontando la ripida morena alle sue spalle si toccano prima il bel lago di Gay 2968 m, indi il ghiacciaio omonimo sulla via che conduce al col di Valnontey, posto tra la testa della Tribolazione  e la testa di Valnontey. Il bivacco Ivrea,  di proprietà della sezione eporediese del Cai e punto d'appoggio fondamentale per l'ascensione alle vette circostanti, è sempre aperto e dotato di 9 posti letto.
Il lago di Gay

Se invece si continua in direzione Piantonetto lungo l'Avc per il colle dei Becchi ( attraversando il quale si possono agevolmente raggiungere il rifugio Pontese ed il lago di Telessio), ad un certo punto la mulattiera abbandona l'Avc e svolta a sinistra dove rimontando con vari tornanti alcune placconate rocciose poste sotto l'imponente parete sud della becca della Losa, conduce nei presi del grande lago della Losa, posto in una selvaggia conca un tempo occupata dall'omonimo ghiacciaio. Nei pressi del lago era infatti presente un appostamento di caccia ben visibile tutt'ora.  Sulla sponda sx idrografica del lago, verso il fondo della conca, si vede l'evidente colle della Losa 3129 m , dal quale si può raggiungere il bivacco Carpano , mentre costeggiando il lago sulla sponda dx idrografica e rimontando per sfasciumi si raggiungono in breve la bocchetta di Gay 3161 m e la becca della Losa.
Il lago della Losa 2990 m. Sullo sfondo: a sx il colle della Losa, a dx becco settentrionale della Tribolazione
La becca della Losa costituisce l'ultima elevazione della breve cresta che a partire dalla becca di Gay divideva i bacini un tempo completamente occupati dal ghiacciaio di Gay ad ovest e dal ghiacciaio della Losa ad est. A dispetto dell'aspetto arcigno che mostra prima di raggiungere la conca dell'omonimo lago, si tratta invece di una cima tutto sommato  facile da raggiungere per chi ha un pò di dimestichezza con la progressione su sfasciumi ( qui piuttosto stabili e non troppo ripidi a dire il vero).
La principale fonte di pericolo potrebbe dunque essere la presenza a monte  di stambecchi e camosci ,che spostandosi potrebbero far rotolare a valle materiale ( a volte fanno cadere pietre anche molto grandi) , mettendo a rischio chi si trova di sotto ( un binocolo per controllare la situazione potrebbe tornare utile). Dalla questa cima potrete godere di un panorama a 360° sulle vette circostanti, sul vallone di Noaschetta e sulla valle Orco, per cui è una meta che vi consiglio assolutamente.
Panorama dalla bocchetta di Gay: sullo sfondo da sx Denti del Broglio, becca di Monciair, Ciarforon, Tresenta, Gran Paradiso, Punta di Ceresole. In primo piano la becca di Noaschetta ed il lago di Gay.


Conclusione:

Se questa "escursione virtuale" da Noasca alla becca della Losa vi è piaciuta, che cosa aspettate? Che arrivi l'inverno? Preparate lo zaino ed andate a visitare il vallone di Noaschetta! A presto con le Storie!

sabato 20 agosto 2016

Escursioni obbligatorie 2 - Santuario di S. Anna e Costa delle Fontane Fredde

INTRODUZIONE


"La val",  "la valle" : così viene chiamata localmente la porzione di territorio posta al confine amministrativo tra i comuni di Locana e Noasca, che va grosso modo da Fornolosa a Fè e Prà.   L'origine di tale nome deriva probabilmente dal fatto che qui la valle Orco si restringe, assumendo un carattere aspro e selvaggio, con il fondovalle  incassato tra le  pareti ed i dirupi che caratterizzano il versante  nord  ed i ripidi ed assolati pendii erbosi del versante sud
Il versante nord ( al centro della foto il vallone della Lavenca)
La principale conseguenza di tale conformazione orografica è l'assenza del sole durante la stagione invernale , più o meno prolungata a seconda del posizionamento della borgata: a Fornolosa, per esempio, il sole se ne va il 25 ottobre e ritorna il 14 febbraio...
Ma queste non sono le uniche peculiarità di questa zona: in essa cambia anche il dialetto, che non è più quello "dla Villa", di Locana, ma il  "patois" tipico della lingua impiegata a Noasca.
Il versante destro idrografico, culminante con le sommità del Monte Tovo, della Cima Giardonera, del Tovo Piccolo e del Monte Bessun,  esposto a nord, si presenta ripidissimo ed ombroso, con pareti strapiombanti, cenge e stretti valloncelli laterali ricoperti da fitti  boschi nella parte medio-bassa e numerosi alpeggi ( ormai da anni completamente abbandonati) nella parte alta, la cui presenza è difficilmente intuibile per chi osserva dal fondovalle. 
Il versante sinistro idrografico è invece in piena esposizione sud ed è caratterizzato nella parte medio-bassa dalla presenza di numerose borgate, un tempo abitate tutto l'anno, e nella parte alta da un'ininterrotta distesa di pascoli e praterie alpine a festuca gr.varia, la famosa ed infida "ulinna", come qui viene chiamata. Anche questo versante si presenta molto ripido, ma meno roccioso e strapiombante, e culmina con la cosiddetta "Costa delle Fontane Fredde", che si sviluppa lungo lo spartiacque Orco-Piantonetto con varie punte rocciose fino alla Punta del Carro, 2777 m, al confine con il vallone di Noaschetta. 
Vista del versante sud "dla val"e Punta del Carro tra le nuvole
La maggior parte delle borgate e gli alpeggi più importanti  sono  vicini e concentrati sopra la frazione Fey, in una zona morfologicamente più favorevole e sostanzialmente priva di dirupi, posta immediatamente al di sopra dei "der", le alte pareti di roccia che sovrastano la suddetta frazione.
Nonostante le numerose e notevoli attrattive di cui dispone ( le borgate, il santuario di S. Anna, il casotto Pngp delle Fontane Fredde, il panorama...) ,  questa parte della valle Orco e del Parco Nazionale del Gran Paradiso rimane a tutt'oggi  appannaggio quasi esclusivo delle popolazioni locali,  poco frequentata ed ignorata dalla maggior parte dei visitatori, che preferiscono sciamare su Ceresole Reale, magica località dove non esistono nè caldo nè insetti ( od almeno così raccontano le leggende locali). In questo articolo ci occuperemo proprio delle succitate "numerose e notevoli attrattive", motivo dell'obbligatorietà di questa escursione per il gentile lettore.  Il motivo che invece ci ha spinto ad occuparci proprio ( o solo) ora di questo comprensorio è che ci siamo stati da poco, su idea dell'amico Francesco Sisti, fotografo del team di Clickalps e chi scrive, pur avendo con questi luoghi una certa consuetudine, ci torna sempre volentieri anche per via delle ascendenze famigliari: i miei antenati per parte di padre sono vissuti ed arrivano tutti da qui.

L'ITINERARIO

Le Mesonette



Arrivo alle Mesonette
Il nostro percorso parte dai Nora, piccola borgata a monte dei Fey ( indicazioni per il santuario di S. Anna), dove un'ampia ( e ripida ) mulattiera scalinata sale a superare i "der" nei pressi della località che non a caso viene chiamata "scaletta". Anche il tratto di mulattiera che supera le pareti rocciose localmente è detto "sciala" o "scialettes d'Mizounettes", cioè  la scala o le scale di Mesonette, che è anche la prima borgata che incontriamo lungo il nostro cammino.
Questa frazione, oggi completamente immersa nell'ombra del bosco, fino alla metà del secolo scorso si presentava con un aspetto totalmente diverso: a monte ed a valle delle case si alternavano castagneti da frutto, prati ed orti , costantemente irrigati dal sistema di rogge che captavano l'acqua dal vicino rio Zaunere, piccolo "arian" dalle portate abbastanza costanti che nasce dalla Costa delle Fontane Fredde.  Ecco, l'irrigazione: un fattore fondamentale per l'agricoltura di sussistenza tipica delle zone alpine, specialmente in una zona in piena esposizione sud come questa, dove il sole d'estate "picchia" davvero ( te ne accorgi anche oggi che è tutto in ombra), fondamentale per far crescere l'erba nei prati, nei castagneti da frutto e sui terrazzamenti, la verdura negli orti. Mi racconta un mio prozio che la nostra famiglia aveva 4 orti in vari punti: in quelli più vicini a casa venivano coltivate le verdure, mentre  in quelli più distanti si seminavano le patate e quando arrivava il loro turno di irrigazione ( ad ogni proprietario spettavano determinate giornate, in alternanza con i propri vicini di fondo) lo si sfruttava al massimo, bagnando via via  tutti gli orti, castagneti da frutto, prati, terrazzamenti; al tramonto si lasciava poi correre l'acqua per tutta la notte nelle superfici più secche, a patto che i terrazzamenti fossero solidi e quindi non ci fosse il  rischio di crolli delle opere murarie o di piccoli smottamenti del terreno. La zona immediatamente a monte della borgata viene chiamata "al sapel" ,  toponimo  il cui significato tradotto dal piemontese dovrebbe stare per valico, passaggio. 
La fontana delle Mesonette
Sull'altra sponda del rio Zaunere, ovvero la sinistra idrografica, si trovava un'altra zona di terrazzamenti e prati più o meno ripidi, chiamata " i rii", nome che deriva probabilmente  dalla loro posizione al di là del rio.
Il sentiero che sale verso S.Anna dei Meinardi continua a destra della frazione, ma un tempo non era questo il percorso principale: la mulattiera vera e propria passava in mezzo ai rustici delle Mesonette in direzione della borgata Costa :  noi decidiamo di ripercorrerla.

La mulattiera per la Costa

La vecchia mulattiera per la Costa sale tra i terrazzamenti
A breve distanza dalle abitazioni raggiungiamo la fontana delle Mesonette, la cui portata costante durante tutto l'anno consentiva di evitare di dover bere l'acqua dell'arian portata dalle rogge ( non tutte le borgate avevano questa fortuna);  quindi la mulattiera, dopo un ultimo tratto in falsopiano delimitato da muri in pietra a secco, con una brusca svolta a destra comincia a salire ripida, sempre in mezzo a terrazzamenti, qui di piccole dimensioni e chiamati "i pianet".  
Alla "pora ciri"
Siamo sempre sotto copertura boschiva, ma comincia a cambiare l'essenza: il castagno  lascia progressivamente il il posto a roveri e roverelle ed  anche il terreno diventa  visibilmente più secco e roccioso. Se si abbandona  la mulattiera per la Costa e si prosegue in direzione Noasca, si arriva in breve in un luogo molto affascinante: un magnifico bosco di roveri ( alcune monumentali)  e roverelle, con un imponente sistema di terrazzamenti,  dove la copertura delle chiome si fa più rada e la secchezza e la rocciosità del terreno si accentuano via via, fino ad arrivare "in riva" all'arian dle Coste ( chiamato "Rio della Frera" sulla cartina Igm), che qui scorre incassato tra spettacolari strapiombi, tanto che non esiste un "trasen"  , cioè  un passaggio obbligato che colleghi in quota le Mesonette alle Coste, grande borgata che si trova a monte della frazione Grusiner di Noasca. 
Questo bosco di roveri e roverelle doveva essere un tempo utilizzato come pascolo arborato e per la ghianda, prezioso alimento per le capre durante l'autunno e l'inverno; questa zona localmente viene chiamata  "la pora ciri" ,  toponimo di incerta definizione , dove "pora" potrebbe stare per "povera" ( ricordiamo che si tratta di una zona molto secca , rocciosa, con suolo poco profondo e priva di sorgenti d'acqua).


La Costa, la Bareri, Ambrella ed il bivio di pian Fragno


Borgata Costa
Riprendiamo ora la salita lungo  la nostra mulattiera ( che in questo inizio giugno si percorre ancora abbastanza bene, eccezion fatta per qualche tratto invaso dai rami dei noccioli); ad un certo punto  il bosco di roveri finisce e ci troviamo in una zona a noccioli e betulle, segno che siamo ormai nei pressi della Costa, in quelli che un tempo erano i suoi prati. 
Pochi metri più in alto delle case ci ricongiungiamo al sentiero in attualità d'uso che avevamo abbandonato alle Mesonette ( dal quale la borgata non è così ben visibile durante la bella stagione, essendo occultata dal fogliame) e proseguiamo fino alle case Barrera ( la Bareri), poste su una panoramica spalla, dove "riceviamo" anche  un sentiero che parte dai Giroldi .
Oltrepassati i ruderi della Bareri e lasciata a destra la deviazione per  Piada ( ci passeremo al ritorno ma per un altro percorso), il sentiero continua a salire con ripide svolte fino al bivio in località Pian Fragno :  andando verso sinistra ( direzione Noasca) si incontrano dapprima il "sentiero delle vacche" che sale in direzione dell'alpe  Giua  e quindi il sentiero che scende alla borgata Coste, dove passa il Gta ,   mentre  proseguendo in quota si va in direzione dell'alpe Ambrella ( localmente detta "l'ambrlà", derivante da "brlla",  cioè escremento di pecora o capra); svoltando a destra si arriva invece ai Meinardi.
Piada - tipica balconata in legno
E' da sottolineare che il sentiero che collegava Meinardi all'alpe Ambrella è oggi quasi completamente  franato , rendendo questa magnifica località molto difficilmente raggiungibile (lo dico con cognizione di causa essendoci passato nel dicembre scorso) . Per raggiungere Ambrella bisogna quindi salire dalle Coste passando per l'alpe Vailet ( consigliato, purchè d'inverno od in autunno inoltrato,quando la vegetazione è scarsa e consente di muoversi più agevolmente), A Francesco non dispiacerebbe andare all'Ambrella ( ed a me neanche), ma per quanto appena detto è chiaro come non sia assolutamente la stagione né il caso di farlo...
Il percorso che va da Barrera e Pian Fragno si svolge tra le ginestre in fiore, sotto la copertura di betulle e noccioli. Ecco, i noccioli: in questa zona  sono presenti estesi noccioleti primari ( provate a percorrere il Gta da Perebella alle Coste...), cioè vale a dire noccioleti che non derivano dall'abbandono o dall'evoluzione di precedenti usi del terreno ma che costituiscono la forma di vegetazione naturale originaria. Questo è suffragato dalle memorie degli anziani originari del luogo: la raccolta delle nocciole selvatiche era un'altra delle fonti di reddito di quella povera gente.

I Meinardi e Sant'Anna

Santuario di S. Anna dei Meinardi
Proseguendo a destra al bivio di S. Anna si arriva all'ultima grande borgata un tempo abitata tutto l'anno: i Meinardi , quota 1481,  e si esce dal bosco. Qui ogni anno nell'ultima domenica di luglio si svolge il pellegrinaggio, molto sentito dalla popolazione locale ed in particolare da "hei dla val", quelli della "valle".  Sia la facciata del santuario che il terrazzamento che ne sostiene il sagrato ( con la doppia scalinata di accesso) sono davvero imponenti e fanno riflettere sull'importanza che il fattore religioso rivestiva per le popolazioni alpine di un tempo, importanza che non è venuta del tutto meno se pensiamo che oggi il santuario e la sua foresteria sono circondate da ruderi.  Per i dettagli architettonici su questa costruzione vi rimando  alla scheda presente sul sito istituzionale del comune di Locana . 

I Casetti, il Pianas, le Cialme e i Ronchi.

i Casetti
Immediatamente a monte del santuario sono visibili le abitazioni dei Casetti , che si raggiungono in pochi minuti passando per un ripido prato ed un piccolo bosco di aceri di monte. Da qui parte il ripido sentiero che sale ai Giua, oggi ridotto ad un'esile traccia facile a smarrirsi, tra ciò che resta degli antichi pascoli e zone invase dalle ginestre, passando per il Pianas  e per  l'alpe Cialme ; dai Casetti partiva anche la mulattiera che portava ai Ronchi, piccolo alpeggio spostato sulla destra in direzione Locana. Si tratta di piccoli alpeggi dove le famiglie delle borgate sottostanti si trasferivano durante la stagione estiva con le loro pecore, capre e magari una vacca per avere il latte ( l'altra o le altre venivano date in affido ai margari che si recavano negli alpeggi più grandi). 

I Giua, il casotto Pngp , il Saler, la Muanda, Piampurcetto

Alpe Saler 
Dall'alpe Cialme in poi la copertura erbacea diventa costante e non vi è più l'inconveniente dei macchioni di ginestre e con un ultimo sforzo arriviamo all'alpe Giva, localmente detta "i Giua" ; appena sopra di noi, leggermente spostato a destra, vi è il casotto Pngp delle Fontane Fredde e, ancora più a destra, la quota 1960 della Costa delle Fontane Fredde. Dalla bocchetta parte anche un difficile sentiero che con numerosi saliscendi in quota conduce fino al lago di Telessio, passando per il vallone di Langiosser ( localmente "l'nghiairi" , che sembra derivare da "ghiaccio", "ghiacciaia") e le alpi Drosa
Leggermente più in alto ed a sinistra dei Giua vi è invece il Saler : da qui parte il panoramico sentiero che in leggera salita ed a mezza costa attraversa la spettacolare Costa delle Fontane Fredde. Da dove deriva questo nome ? In questo caso non ci sono dubbi interpretativi: esso deriva dalla presenza di numerose fontane ; da qui nascono infatti tutti i vari "arian" affluenti dell'Orco: dal Zaunere ( senza nome sulla carta Igm), dal Coste ( Rio della Frera sulla carta Igm) , dal Fè, Ciantrana, Arianas...
Il casotto Pngp delle Fontane Fredde
Qui l'ambiente è bellissimo, ed il comodo sentiero ( che un tempo doveva essere una vera e propria "autostrada") supera in falsopiano tutti i vari valloncelli (in cui nascono e scorrono i vari arian di cui si faceva cenno poco sopra) , assecondando mirabilmente le forme della montagna tra ripidi  pendii erbosi ( che sembrano letteralmente precipitare a valle, come un'enorme massa di "acqua verde") e grandi massi, con l'elegante, facile ed elegantemente frastagliata cresta delle Fontane Fredde sempre poco più in alto, vicina al viandante. 
Sotto di noi possiamo ammirare lo snodarsi della valle Orco , spettacolari cenge e strapiombi. Il sentiero, lasciata appena più in basso l'alpe Muanda, arriva fino all'alpe Piampurcetto, da cui in breve per pendii erbosi si  può raggiungere la panoramica Punta del Carro ( magnifica vista sul gruppo del Gran Paradiso) oppure scendere nel vallone di Noaschetta. Erano queste le alpi "dal marches", come veniva chiamato il margaro proprietario e conduttore  di queste superfici ; oggi sono le alpi "dji marches", dal nome dato in valle ai discendenti di quella famiglia.

La pratica della fienagione nelle praterie di alta quota e la raccolta delle "ulinnes".



Alpe Pianpurcetto
Anche questa zona più alta svolgeva una parte fondamentale, durante la bella stagione, per le famiglie del luogo e non solo: ai Giua, alla Muanda ed a Pianpurcetto si andava al fieno. Al fieno su  per quei pendii ? Eh si, perchè l'erba veniva tagliata prima che fosse troppo vecchia, fibrosa e poco nutriente per il bestiame domestico  e conservata allo stato secco. Trattandosi di grandi e scomode estensioni ed essendo il lavoro di taglio e raccolta completamente manuale, era richiesta una manodopera abbastanza numerosa, per cui potevano essere chiamati a coadiuvare il lavoro i parenti del margaro od altre persone, che come pagamento avrebbero ricevuto uno o due sacchi di fieno da riportare a casa.  L'aspetto attuale della copertura erbosa degli alpeggi  non deve trarre in inganno l'osservatore, poichè un tempo era presente un'erba più verde , più alta e ricca di specie buone foraggere in ragione della costante e puntuale concimazione del terreno ottenuta dalle deiezioni bovine ed ovicaprine , e dalla pratica della fertirrigazione, che consisteva nello spandere sulla superficie circostante tramite l'acqua il letame ed i liquami raccolti nei "buser" ( letamai) posti nelle vicinanze delle stalle.
"Sengie" di "ulinne"
Nelle cenge più esposte e meno accessibili e sui pendii più ripidi e lontani si andava invece alle "ulinne":  si racconta di diverse persone morte nell'esercizio di questo pericoloso lavoro perchè cadute in un dirupo a causa del fondo scivoloso. Generalmente alle "ulinne" si andava in due, armati di falce "musoira" e con un piccone per scalinare il terreno nei punti più ripidi e poter tornare con il carico d'erba senza correre troppi rischi. Normalmente gli animali domestici  durante il pascolo scarterebbero quest'erba dura e fibrosa ( in presenza di alternative), ma se raccolta "giovane e verde" e conservata sottoforma di fieno, diventava una risorsa preziosa, talora indispensabile per la sussistenza di molte povere famiglie. Per questa raccolta venivano sfruttate tanto le cenge sul poste versante Orco che quelle sul versante Piantonetto, verso le alpi Piadetta e Langiosser.
La pratica della fienagione nelle praterie d'alta quota  e la raccolta delle ulinne richiedeva notevole abilità e perizia, specialmente per via della natura del suolo,  pieno di sassi e pietre che ad ogni passata di taglio rischiavano di "smolare" la falce e costringere il montanaro a dover continuamente affilare la lama con conseguenti perdite di tempo. Naturalmente per il taglio venivano impiegate le falci, la  "musuera"o la "sessa" ( come localmente vengono chiamate) ,a seconda della zona e dell'altezza dell'erba da tagliare.

Punta del Carro e ritorno per Piada e la cappella di Giet

Panorama verso Levanne e Lago di Ceresole nei pressi dell'alpe Piampurcetto
Dall'alpe Piampurcetto, con salita ripida ed in breve tempo, si può raggiungere la Punta del Carro 2777 m, confine geografico naturale ideale per questa zona della valle Orco. In cima e durante la salita è davvero mozzafiato il panorama sul lago di Ceresole e Levanne, sul vallone di Noaschetta, sul gruppo del Gran Paradiso e sulle cime del vallone di Piantonetto. Io e Francesco oggi invece, complice il mutare delle condizioni atmosferiche ed il rischio di temporali pomeridiani, abbiamo interrotto la nostra escursione nei pressi dell'alpe Muanda e fatto dietrofront, con una breve sosta ristoratrice al Saler
Cappella di Giet
Da qui, anzichè passare lungo l'itinerario di salita, siamo scesi per "la strada delle vacche" dei Giua fino a Pian Fragno, quindi siamo tornati ai Meinardi per scendere direttamente su Piada.  Il sentiero per la frazione parte immediatamente a valle del santuario, raggiungendola in breve con ripide svolte ( io vi consiglio però di raggiungere Piada in quota, dalla deviazione posta poco oltre la Bareri e poi fare ritorno, perchè questo sentiero è poco tracciato). 
Le case di Piada sono divise in due nuclei e poste praticamente in fila orizzontale; nonostante l'avanzato stato di degrado delle costruzioni, possiamo ancora apprezzare un notevole solaio con balconata in legno, una casa fondata su un grande masso e numerose testimonianze dell'attività rurale di un tempo,  tra cui una "huveri", cioè una sorta di "lettiga" in legno che veniva utilizzata per trasportare il letame dalla stalla ai campi,agli orti ed ai prati ( veniva issata sulle spalle di due persone).   Da segnalare la fontana in pietra ( punto acqua) posta a sinistra delle case ( scendendo)  verso la teleferica che serve il santuario di S. Anna. 
Proprio in mezzo ai due nuclei di case parte il ripido sentiero che collegava Piada alle Mesonette, passando per la  cappella di notevoli dimensioni  di Giet ( buon punto panoramico) , tra le  cui  varie intitolazioni ve ne è una piuttosto curiosa, quella a Santa Isolina. Incuriosito da questa "strana" santa avevo chiesto tempo fa lumi all'esperto Elio Blessent , l'autore e l'ideatore della rivista periodica di storia e cultura locale "L'arcalus" ,dedicata al territorio dei comuni di Sparone e Ribordone:  ero così venuto a sapere che nel calendario dei santi non esiste nessuna santa  Isolina e che un tempo i pittori, per compiacere il committente dei lavori ( in questo caso qualcuno che si chiamava Isolina o che aveva qualche famigliare che così si chiamava) , non si facevano problemi ad inventare di sana pianta una nuova figura religiosa.  Ecco spiegata la strana intitolazione...
Punta del Carro 2777 m
Dalla cappella dei Giet in breve ci si ricongiunge al sentiero per il santuario di Sant'Anna ( che avevamo  trascurato all'andata )  poco a monte di Mesonette, da cui in breve facciamo ritorno all'auto lasciata ai Nora.

Conclusione

Percorrere in giornata l'intero tragitto dai Nora alla Punta del Carro è cosa impegnativa e non per tutti, per cui è consigliabile spezzare il percorso in due distinte escursioni: dai Nora ai Giua, preferibilmente il giorno delle festa di S.Anna dei Meinardi così da poter visitare il santuario ed ascoltare preziose informazioni ed aneddoti dai "locali" e poi  dalle Casette nel vallone di Piantonetto alla Punta del Carro sfruttando il sentiero che raggiunge la Costa delle Fontane Fredde passando dalle alpi Piadetta. Direi che anche questa volta mi sono dilungato più che a sufficienza: arrivederci ed a presto con le Storie.