}

domenica 29 luglio 2018

Avventura nel vallone del Roc ( ghiaccio dal cielo)

Premessa

L'anno scorso avevamo dedicato la due giorni al rifugio Gran Piano al vallone di Ciamosseretto, con tanto di parte fotografica grazie all'amico e maestro della fotografia naturalistica Francesco Sisti; quest'anno, pur in assenza del nostro fotografo preferito , per ottemperare agli obblighi escursionistici  abbiamo deciso di andare nell'adiacente vallone del Roc...
Entrata nel vallone del Roc

Meteo difficile ma non impossibile

Il mese di luglio 2018 è stato caratterizzato, almeno per quanto riguarda l'arco alpino occidentale, da una marcata instabilità atmosferica dovuta all'afflusso di correnti fredde settentrionali , che hanno finora impedito in quest'area geografica il consolidamento della tipica situazione anticiclonica estiva. Alla suddetta situazione di instabilità si sommano ovviamente le tipiche dinamiche temporalesche e di precipitazioni giornaliere legate alle elevate temperature.
E così le previsioni meteorologiche del 21-22 luglio non hanno fatto eccezione: stando al servizio meteo più affidabile per quanto riguarda le nostre zone ( www.nimbus.it ) erano previsti forti temporali nella notte tra venerdì e sabato, con una ripresa delle precipitazioni nel pomeriggio di sabato e poi ancora nel pomeriggio della domenica.  
Tempo in deciso miglioramento
La "Due giorni da Re" si poteva dunque fare , partendo però sabato al mattino anzichè nel primo pomeriggio, per sfruttare l'intervallo di bel tempo per raggiungere il rifugio e poi il bel tempo di domenica. Molti avrebbero rinunciato, ma noi no:  saper leggere le previsioni meteorologiche è fondamentale per assumere le giuste decisioni , con buona pace del club  del temporale alle 16,00 a Timbuctù... E poi si sa, "in montagna non conta un buono o cattivo tempo, ma soltanto un buon abbigliamento" .

Primo giorno ( da Balmarossa al Gran Piano) 

Quando alle 8 del mattino ci troviamo in piazza a Locana, di fronte all'ufficio turistico, il tempo è ancora grigio ma in miglioramento; quando, lasciata l'auto in frazione Balmarossa di Noasca, iniziamo a camminare sul sentiero che porta alla borgata Varda siamo tutti belli carichi ( in senso letterale e non soltanto dal punto di vista emotivo).
Forse avremmo dovuto introdurre un più rigido principio di non aggravamento dello zaino , ma insomma bene o male saliamo: raggiunta la Varda e fatta una sosta per dissetarci, prendiamo il sentiero per il Gran Piano, che attraverso vari alpeggi ci conduce fino all'alpe Gran Prà , dove ad attenderci ci sono 2,5 kg di toma , un panetto da 1,2 kg di burro e due litri di latte fresco, oltre ad un buon caffè gentilmente offertoci dai margari. Burro, latte e toma andranno naturalmente a renderci ancora più carichi in vista dell'ultimo tratto del percorso.
Un bel "crutin" con l'acqua che corre ...
Nel frattempo, poco sotto le baite, abbiamo raccolto una bella borsa di spinaci selvatici ( Chenopodium bonus-enricus) , freschi e della giusta misura probabilmente grazie ad un precedente passaggio di bovine al pascolo ( normalmente a fine luglio è già tardi per raccoglierli , risultando il loro sapore più intenso ed amarognolo).
Dopo aver fatto un'adeguata pausa ristoratrice ed aver scambiato quattro chiacchiere con i margari , che gentilmente ci fanno visitare anche il locale di caseificazione ed il "crutin" ( ma che gioia vedere un crutin dove ancora corre l'acqua , con il latte al fresco! ), riprendiamo la strada verso il rifugio, mentre il tempo comincia a cambiare: quando arriviamo al Gran Piano il cielo è ormai diventato nuvoloso, ma noi abbiamo le zampe asciutte.
Saluti al Gran Prà
Il percorso più breve dal Gran Prà al Gran Piano, recentemente risegnato , risulta ora maggiormente "decifrabile" anche per chi è meno pratico del posto.
Il Gran Piano nella nebbia

Il pranzo è servito!

Il menù del pranzo prevede spaghetti aglio olio e peperoncino; Carlo ha portato anche delle zucchine dal suo orto per arricchire il condimento; abbiamo anche portato su del pane e dell'affettato come antipasto e, come contorno , facciamo sbollentare a fuoco basso gli spinaci selvatici, previo accurato lavaggio. Qualcuno ha portato anche il dolce: biscotti, torte... ecco cosa ci dava la carica... nello zaino.

Pomeriggio alternativo

Nel pomeriggio il tempo sembra reggere, con rade nebbie che vanno e vengono: e così Elisabetta propone di andare fino al lago centrale di Ciamousseretto, visto che abbiamo pranzato un pò tardi e dobbiamo stimolare l'appetito per la polenta ( menù della sera) .
Naturalmente io approvo subito l 'idea e così il gruppo si divide: qualcuno rimane presso il rifugio, qualcun altro si incammina verso il lago. Mentre saliamo lungo la mulattiera reale che risale l'alto vallone di Ciamousseretto, ecco che la nebbia si abbassa nuovamente; nonostante ciò proseguiamo fino ai laghetti , dei quali il più grande risulta oggi poco distinguibile nella bruma, tutt'uno con il cielo:pare quasi che al suo posto vi sia un salto o precipizio o chissà cosa.
"Ma non è lì il lago? " Ah già!"
In riva al più grande dei "laghetti" ( non sembra, ma è lì ed ha lo stesso colore della nebia) 
Considerata la scarsa  visibilità decidiamo di tornare sui nostri passi, rinunciando a raggiungere il  "Dreolai" , e facciamo bene visto che di lì a poco una fitta pioggerellina ci accompagnerà fino al Gran Piano, dove torniamo questa volta con le zampe un pò bagnate.
Al rifugio però, oltre ai due bagni con doccia, c'è un bel camino che nel frattempo è stato acceso dai nostri compagni e che può tornare molto utile...
L'utile camino del rifugio...( foto Luca) 

Cena e tarocchi

Menù della cena: affettati, polenta, polenta concia,polenta e latte, pasta aglio olio e peperoncino: non c'è davvero nessun rischio che qualcuno rimanga con la fame! 
Finte le operazioni culinarie, una volta pulita e rassettata la cucina, ecco che Luca ( un fisico )  legge a ciascuno di noi i tarocchi ma, come ci spiega, non si tratta di una predizione il futuro ( roba da imbroglioni) quanto piuttosto di una fotografia dello stato attuale della personalità di ciascuno di noi e di come questa possa evolvere o stia cambiando. Ricordo la "diagnosi" della mia stesa ( in estrema sintesi) : impulsivo e fatalista. A posteriori  Luca ci invierà anche una stesa di gruppo...
La stesa di gruppo ( foto Luca)

Nel frattempo si è fatta notte ed  all'esterno il tempo meteorologico è nuovamente in miglioramento:  sotto le indicazioni del nostro fisico  possiamo osservare qualche stella ( una parte del Gran Carro) e ben due pianeti ( Giove e Venere). Possiamo così andare a dormire felici, consapevoli che il giorno seguente al nostro risveglio troveremo un bel cielo sereno!

Secondo giorno: l'alto vallone del Roc

Colazione e risveglio

Al mattino il cielo è sereno ( al centro il dittatore Ciarforon)
Al mattino, come da previsioni, il cielo è sereno e completamente sgombro da nubi. La colazione sarà luculliana, a base di  latte e burro d'alpeggio, pane, thè: questa volta non ci siamo fatti davvero mancare nessun lusso! 
Non possiamo tuttavia indugiare troppo perchè al pomeriggio sono possibili nuove precipitazioni anche a carattere temporalesco e talora grandinigeno. Tocca allora partire , direzione vallone del Roc!

Vallone del Roc: entrata

Dal rifugio scendiamo leggermente per andare ad attraversare il rio Ciamousseretto su una passerella in legno ( a cui un pò di manutenzione non farebbe male, visto che il suo aspetto non rimanda certo ad un'idea di solidità - benchè l'abito fortunatamente non faccia il monaco) e raggiungere la mulattiera reale che prosegue a mezza costa  in direzione del vallone del Roc  ( non essendoci un ponticello od un guado è effettivamente difficile attraversare il torrente a lato del rifugio, ci sarebbe da togliersi scarpe, calze e forse anche i pantaloni oggi).
Un ponticello dall'aspetto che non rimanda ad un'idea di solidità

Quando scavalchiamo la divisoria Ciamousseretto/Roc, il panorama che si presenta ai nostri occhi è  mozzafiato, un'entrata maestosa nella più magnifica delle regge , quella della dinastia della Montagna.
Entrando nel vallone del Roc ( a sx Uja di Ciamarella, Levanne e Colle Perduto) 

Anche il migliore tra gli ingegni umani non avrebbe potuto concepire un'opera d'arte di tale bellezza, che nel caso del paesaggio montano viene per di più prodotta casualmente, senza alcuno sforzo creativo ( che beffa per noi miseri e limitati esseri umani ).
Entrata nel vallone del Roc ( da sx verso dx Courmaon, Cuccagna, Denti del Broglio)

Quanti "ingredienti " hanno contribuito a creare questa immagine? Geologia, geomorfologia, clima, microclima, stagione, giorno ed ora... chi mai potrebbe controllare tutti questi parametri ?  Un'immagine dinamica ,i cui ingredienti sono  in continuo movimento, qualcuno al passo della tartaruga, qualcuno al passo di Achille. Eppure a pensarci bene, come nel paradosso di Zenone di Elea, Achille non raggiunge mai la tartaruga...
Man mano che proseguiamo lungo la mulattiera che con regolare percorso taglia tutto il versante sx idrografico del vallone del Roc, possiamo osservare marmotte e camosci; anche un'aquila si libra in volto sopra le nostre teste. 
Residuo di valanga: qualcuno indugia incuriosito... ( foto Elisabetta)

Un residuo di valanga, ormai completamente scavato al fondo dal rigagnolo formato dall'acqua di scioglimento della neve,   ci costringe ad un saliscendi lungo un pendio erboso . A guardarlo da sotto  avremmo quasi potuto usarlo come un tunnel, se avessimo voluto farci la doccia  ! 
All'alpe del Broglio, pausa in compagnia
Superato "l'ostacolo", ecco che in breve raggiungiamo  l'alpe Foges ; lasciata a sx l'alpe Broglietto , la mulattiera prosegue in salita sulla sx idrografica del vallone a raggiungere  l'alpe del Broglio, presso la quale ci concediamo una meritata pausa ristoratrice, in compagnia di un gruppo di simpatiche manze ed asciutte, tra le quali una spicca per la "veneranda" età, come indicano le sue corna ricurve verso il basso! 
L'alpe Broglietto
Un tempo, quando il valore economico del singolo capo bovino era parte rilevantissima del "capitale" di ciascun nucleo famigliare, era la norma che una vacca pezzata rossa valdostana avesse una lunga vita, cioè che venisse "mantenuta in servizio" fino a quando era in grado di partorire:solo allora veniva macellata.  Oggi invece in molte aziende zootecniche le vacche pezzate rosse valdostane non vivono più di 8-10 anni, dopodichè vengono macellate : scelta che taluni giudicano discutibile, considerato lo scarso valore della carne di una vacca adulta oltre che l'attitudine della razza ad una produzione di latte buona ma che non crolla dopo pochi anni come nel caso delle frisone ( che in certi allevamenti non vivono più di due o tre anni).


Un vallone fatto a scale 

La "cascata" del Roc per antonomasia...
A pensarci bene, il vallone del Roc è il vallone delle cascate, segnato lungo tutto il suo sviluppo da un susseguirsi di bastionate rocciose alternate a zone più dolci e pianeggianti: la famigerata cascata del Roc per antonomasia, cioè quella posta al fondo della parte bassa del vallone , sopra alla quale si trovano gli alpeggi Roc, Truna e Pianes; la cascata sottostante i pianori del Broglietto, quella sottostante l'alpe del Broglio e quella che gli sta sopra...


Un susseguirsi di bastionate rocciose...
Nei pressi dell'alpe del Broglio la mulattiera reale si biforca, con il ramo principale che prosegue in direzione del colle della Porta e dunque del Nivolet, ed il ramo secondario che sale in direzione del bivacco Giraudo e del colle della Torre, che mette in comunicazione con la testata del vallone di Ciamousseretto.
Dall'alpe del Broglio  quindi imbocchiamo il ramo secondario ed in breve raggiungiamo il bivacco Giraudo, con il vicino laghetto della Piatta. Dal punto di vista alpinistico, il bivacco Giraudo serve come punto d'appoggio per l'ascensione a Becca di Monciair, Ciarforon e Denti del Broglio, mentre da un punto di vista escursionistico esso può essere un utile punto tappa per chi percorre l'Alta Via Canavesana o per chi vuole raggiungere il col del Nivolet lungo il sistema delle mulattiere reali di caccia ( dal bivacco infatti i segni bianchi e rossi conducono in breve alla mulattiera reale per il colle della Porta).
Alto vallone del Roc - Cartina 1:20.000  su base Igm 1:25000 ( scorrere verso dx e sx per navigare) 

Che tempo farà? Meteo in evoluzione..

Mentre proseguiamo il tempo comincia a cambiare: verso la pianura non si sono ancora formate nubi consistenti, mentre altre, più minacciose, sembrano stazionare sulla Valgrande di Lanzo; altre ancora rimangono per il momento sbarrate dal vicino spartiacque Orco-Valsavarenche. Riusciremo a non bagnarci le zampe o quantomeno ad evitare di prendere temporali ? Difficile dirlo...

Dal bivacco Giraudo al colle della Torre


Bivacco Giraudo
Nonostante le ingiurie degli anni, degli elementi naturali e dell'incuria dell'uomo, la mulattiera reale che sale al colle della Torre ( laddove si è conservata) rimane  un mirabile esempio di ingegneria civile e abilità delle maestranze per l'accuratezza di progetto e  realizzazione ( pendenze regolari, muri di sostegno, tratti lastricati etc etc).
Stambecchi



E' davvero un peccato che in tutti questi anni non si sia ancora messa mano ad una sua risistemazione su entrambi i versanti ma, si sa, nel versante piemontese del Parco non vogliamo sfruttare troppo le nostre potenzialità, abbiamo paura di comprometterle.
Comunque sia la mulattiera, con percorso intelligente, sale in direzione della morena laterale del ghiacciaio del Broglio , che poi percorreva in direzione del vicino colle della Torre. L'uso del tempo verbale al passato non è casuale, visto che proprio in corrispondenza di tale morena la mulattiera si perde in una caotica pietraia .
La Becca di Monciair si presenta ancora largamente innevata
Appena prima della suddetta morena, caotica pietraia per caotica pietraia, e nel timore di un possibile peggioramento del tempo, decidiamo di puntare  al colle in maniera più diretta, trascurando la ricerca degli ometti di pietra: ed infatti lo raggiungiamo "dall'alto".
Il colle della Torre visto dall'alto
Sfortunatamente anche  il versante Ciamousseretto si sta coprendo e non ci regala un grande panorama come speravamo...
Vista verso il lago superiore di Ciamousseretto

Il ghiacciaio del Broglio


Il ghiacciaio del Broglio (riportiamo dalla campagna glaciologica Pngp  2007 ) "si estende in un circo esposto a meridione collocato sotto la rocciosa parete sud del Ciarforon, alla testata del vallone del Roc, nella valle dell’Orco (...)  Il ghiacciaio nel 1989 aveva una superficie di 272000 m², in 18 anni ha perso il 36% della sua superficie"  e risulta  dal 2008  sovente completamente coperto da detriti, e dal 2016 non più misurabile.
Uno sguardo verso le pareti ed il colle del Ciarforon ( il ghiacciaio del Broglio è sopra la bastionata a dx, nella zona coperta dalla nebbia) 
Come potrete notare osservando la cartografia Igm, ai tempi della sua realizzazione la superficie del ghiacciaio occupava tutto il circo glaciale compreso tra Ciarforon e Becca di Monciair. Quest'anno la base di suddetta  conca si presenta ancora coperta da  nevai quasi continui, ed anche i versanti di Monciair e Ciarforon sono ancora largamente coperti da neve: sembra quasi che il ghiacciaio del Broglio sia tornato, ma ahimè non è così! Sono soltanto effimeri nevai!
Il colle della Torre
Al massimo,  quando verrà pubblicata la campagna glaciologica 2018 del Pngp,  scopriremo che il ghiacciaio è tornato misurabile , chissà! Noi, per non saper nè leggere nè scrivere, facciamo chiaramente il tifo per il ghiacciaio!
Ghiacciaio del Broglio nel 2000 ( fonte: SMI  )

Ed ecco che il tempo cambia ( discesa dal colle) 

Purtroppo al colle non possiamo rimanere a lungo, perchè il rischio di finire sotto la  nebbia è concreto Mentre scendiamo dal colle della Torre, ecco che le nubi presenti sul lato Valsavarenche "rompono" il precedente equilibrio , portando sul versante Orco una debole precipitazione ( a carattere grandinigeno nelle aree più prossime allo spartiacque ) , che si fa via via più forte, per poi esaurirsi e scomparire nel giro di un'ora, per fortuna senza attività elettrica associata.
Grandine su Ranunculus glacialis 
E' davvero affascinante osservare i piccoli chicchi "colpire" la vegetazione d'alta quota, in particolare il Ranunculus glacialis, che il ghiaccio lo contiene già nel nome! 
Mulattiera per il colle della Torre 
Fortunatamente superata la morena del Broglio possiamo scendere rapidamente sulla  mulattiera reale, ora immersa nella nebbia ma con visibilità accettabile.

Mulattiera reale nella nebbia
Raggiunta l'alpe Broglietto la precipitazione è  finita, ed ora con passo spedito su terreno via via più asciutto ritorniamo nel vallone di Ciamousseretto ed alla Casa di Caccia. Dopo un ultimo sguardo al Ciarforon, le cui pareti sono "spolverate" dalla grandine, possiamo tornare a valle, a Balmarossa, sotto un bel sole caldo ( che aiuta ad asciugare le zampe).  Una volta saliti in auto, non facciamo in tempo ad arrivare a Noasca che comincia a piovere  ( e questa è quella che arriva dalla pianura) , ma ormai siamo al coperto e la cosa non ci preoccupa!
E' vero, qualche goccia l'abbiamo presa ( ma poteva anche andare peggio) ed il ghiacciaio non è tornato ma, chissà, forse in un'altra fase climatica ritornerà! Ma noi non ci saremo...
Arrivederci ed a presto con le Storie!

venerdì 13 luglio 2018

Traversata nel Deserta

Premessa

- "E se andassimo a Deserta? "
-"Si. E questa volta arriviamo in cima".
Può sembrare incredibile, ma in tanti anni che vado a Deserta  ( magari anche un paio di volte l'anno!) non sono mai andato sulla cima di  Deserta o monte Giaset 2471 m, tondeggiante cima ben evidente a chi da Locana sale verso Noasca lungo la provinciale sp46.

Il vallone di Deserta

Vallone di Deserta  ( scorri verso dx) - cartina 3D su base Igm 1:25.000 ( fonte: Portale Cartografico Nazionale) 
Il vallone di Deserta, inciso dall'omonimo rio, affluente della dx idrografica del torrente Orco ( nel quale confluisce a valle della frazione Cater di Noasca) è caratterizzato da una prima parte  molto ripida, stretta ed incisa, praticamente un susseguirsi di ripidi salti che incidono il versante ( e che danno vita a spettacolari cascate) : in poche parole, un "arian", "l'arian n'Diserta", come viene chiamato localmente.
Le portate del rio Deserta però non sono assolutamente comparabili con quelle di tutti gli altri "arian"  presenti in  questa parte della valle Orco, caratterizzata da versanti ripidi e rocciosi: sono molto maggiori, ed è uno spettacolo osservarlo dalla provinciale quando, in tarda primavera\inizio estate o dopo un periodo di piogge , scende impetuoso a valle.
L'impetuoso rio Deserta ( foto d'archivio -2010 ) 
Questo corso d'acqua sottende infatti un bacino idrografico tutt'altro che trascurabile, delimitato ad ovest dalla cresta spartiacque Punta Pelousa- Monte Unghiasse, a sud ed a sud est dal Monte Unghiasse , dal Monte Bessun e  dalle loro propaggini , a nord dalla cima di Deserta.
Nella seconda parte del vallone ( dove comincia ad esserci una conformazione valliva vera e propria), in corrispondenza delle case Moda ( loc. "la Modda")  e dell'alpe Belguardo ( loc. Belvart o n'Belvart)  , le pendenze diminuiscono significativamente, benchè il rio continui a scorrere profondamente incassato tra le pareti della cima di Deserta e le estreme propaggini del monte Bessun. Questa parte del vallone è caratterizzata dalla presenza di bellissimi e  grandi boschi di larice e di larice ed abete rosso, mentre qua e là, specialmente nei pressi delle case Fumà , comincia a fare ritorno anche il faggio.
Nella terza ed ultima parte del vallone, ecco la "sorpresa": al termine di un ultimo grande salto d'acqua, posto nelle vicinanze di un alpeggio non nominato sulle carte , ecco che compare un' ampia conca pascoliva, caratterizzata da dolci pendenze ed estesi pianori , nei quali  il rio Deserta scorre placido, dando vita ad un bellissimo paesaggio alpino. Penso che la cartina 3d renda abbastanza l'idea ! Il nome "Deserta" pare derivi dall'aspetto "pelato" con il quale si presenta la cima di Deserta ...Ma ora veniamo alla "traversata nel Deserta" !

Da Prà al Chersun

-"Qui piove. Sei sicuro di voler salire ? "
- "Si. Il tempo migliorerà"
Anche se il cielo è nuvoloso, ripongo notevole fiducia nelle previsioni meteorologiche di Nimbus, solitamente molto accurate per quanto riguarda la nostra zona, per la quale sono previste schiarite e nessuna precipitazione nel pomeriggio.
Per salire nel vallone di Deserta da Noasca si può partire o dai Cater 1000 m oppure da Prà 890 m, con un sensibile risparmio di distanza nel primo caso  , al prezzo però di un tratto iniziale di salita più ripido  ( il sentiero che parte dai Cater va a congiungersi a quello che arriva da Prà). Io oggi mi sento "integralista" ed allora scelgo per la partenza dal fondovalle, cioè da Prà. 
Lasciata l'auto lungo la strada provinciale o nella vicina frazione Grusiner , si attraversa il ponte sull'Orco seguendo una pista sterrata che conduce all'imbocco del sentiero ( cartello in legno con la scritta "Deserta").
Rudere alle Case Fumà
La "strada delle vacche", nella sua parte iniziale, passa attraverso un magnifico ed ombroso bosco di castagni, ricco di testimonianze dell'ampia diffusione della castanicoltura da frutto in zona.  Usciti dal bosco di castagni, il sentiero comincia a risalire a lato di un canalone di valanga per poi attraversarlo e ricevere il sentiero proveniente dai Cater; indi con ripide e regolari svolte arriva dapprima nei pressi delle case Fumà  , poi  delle case Moda ( i cui ruderi sono ormai quasi indistinguibili, avvolti come sono dalla vegetazione).
Costruzione nei pressi della cascata

e cascata ( sorry per la pessima foto ) 
Lasciate in basso a destra le case Moda, il sentiero, ottimamente ripristinato qualche anno fa, prosegue deciso nel bel bosco misto di larici ed abeti rossi , fino ad arrivare in prossimità di quello che un tempo senza dubbio era stato un grande pascolo ed  attraversare un piccolo rio su un ponticello di legno, per poi tornare a salire fin nei pressi di una caratteristica baita posta nei pressi di una bella cascata.
Ancora pochi metri di salita ed ecco che finalmente usciamo definitivamente dal bosco a raggiungere i pianori sottostanti l'alpe Chersun . Sull'altra riva del torrente noto in lontananza una massiccia fioritura gialla: di quale specie botanica si tratterà? Sfortunatamente non ho con me il binocolo, ad allora stabiliamo di andare a controllare eventualmente al ritorno, se ci sarà tempo. Io un'idea ce l'ho ma voglio esserne sicuro...
L'alpe Chersun deve presumibilmente il suo nome alla sua posizione, posta sulla sommità di una piccola elevazione erbosa.











Una massiccia fioritura gialla? Che cosa sarà? 




Dal Chersun alla cima di Deserta

Il Chersun
Senza raggiungere le baite del Chersun, attraversiamo il rio Deserta sfruttando un accumulo di materiale vegetale ed arriviamo alla Brengi, da cui una traccia ormai appena visibile conduce fino all'alpe Testa di Deserta, posta appena 100 m sopra.
La Brengi

Alpe Testa di Deserta
Superata la seconda costruzione dell'alpe Testa, una labile traccia sale lungo le pendici della cima di Deserta fino a raggiungere l'ultimo "tramuto", quello in cui venivano portate le manze, chiamato "Pian Percet",  ed una fontana.
I ruderi dell'ultimo "tramuto" dell'alpe Testa


Oltre la fontana la traccia praticamente scompare e saliamo a vista, tra magnifiche fioriture, con il tempo in rapido miglioramento ( ecco le schiarite!) ed un panorama che via via si fa sempre più eccezionale!

Fontana e relativa opera di captazione  - sullo sfondo le imponenti pareti del monte Unghiasse

Ottima anche la vista sul versante nord del vallone, quello sotto il monte Unghiasse, dove si scorgono chiaramente sia il grande masso denominato "mela spaccata" sulla carta Mu Valle Orco, sia , più a sinistra, un piccolo laghetto di origine glaciale, posti ai piedi delle selvagge pareti del monte Unghiasse. Il pianoro ove si trova la "mela spaccata"  , non nominato sulle carte, viene localmente chiamato "Pian Patulla".
La "mela spaccata"
Il piccolo laghetto

Il miglior alpeggio che ci sia (alcune note storiche)...

Il mio bisnonno paterno Varda Giacomo ( meglio noto con il soprannome di "Giacu Buarat" - la cui etimologia resta un mistero) , dopo aver lavorato 23 anni in Colorado negli Stati Uniti come operaio agricolo, era tornato a casa con un discreto gruzzoletto che aveva deciso di investire nella terra, che ai tempi era il bene più prezioso, acquistando numerosi alpeggi ed altri terreni agricoli ( che oggi naturalmente non valgono più nulla), tra i quali gli alpeggi Brengi, Loserai, Pian Dietro  e Testa nel vallone di Deserta, .
Circa l'acquisto di Deserta, corrono alcune voci secondo le quali il passaggio di proprietà sarebbe avvenuto in maniera un pò rocambolesca: pare cioè che il "Buarat", con il suo gruzzoletto,prestasse somme di denaro in cambio di un interesse o terreni in garanzia, come nel caso dell'antico proprietario della Testa, della Brengi, del Pian Dietro e del Loserai.
Un campanaccio dimenticato...
Secondo la leggenda, a scadenza del prestito il mio bisnonno, che ambiva più alla terra che ai soldi -  a maggior ragione in questo  caso, vista la considerazione di cui godeva Deserta (  come ripeteva spesso mia nonna, "n'Diserta"  è l'alp pi bun ca i es" - "Deserta è il miglior alpeggio che ci sia") - non si fece trovare dal debitore che pure voleva restituirgli la somma, e così ottenne gli alpeggi, dove subito si mise a fare il margaro.
La  vera storia , narratami dal mio prozio Sola Paolo, dice che si, il "Buarat" aveva prestato dei soldi all'antico proprietario di Deserta ( Giacu d'Tin di Grusiner ) ,  ma non aveva alcun interesse ad avere Deserta perchè aveva appena acquistato le  Casette e le alpi Drosa nel vallone di Piantonetto: così, a 3 o 4 anni dalla scadenza del debito, si recò da Giacu d'Tin assieme all'altro mio bisnonno paterno Sola Pietro, padre di Paolo, nonchè suo cugino di primo grado ed a quei tempi suo "socio in affari" ( facevano i margari assieme) per reclamare la restituzione dei soldi, ottenendone in tutta risposta delle sonore bastonate sulla schiena.  Di fronte al cortese ma fermo rifiuto opposto dal Giacu d'Tin , il "Buarat" intraprese le vie legali e si prese i terreni dati in garanzia. 
Effettivamente in valle Orco è difficile trovare una conca pascoliva  così ampia, con modeste pendenze, poco pietrosa e ricca d'acqua come Deserta, e le dimensioni della "margaria" del mio bisnonno lo dimostrerebbero :30 vacche da latte più circa altrettante manze, asciutte e vitelli, alcune decine di pecore e capre ( 30 vacche da mungere all'epoca - stiamo parlando dell'immediato secondo dopoguerra - erano moltissime!). Le capre tuttavia non erano molto gradite perchè salivano sui tetti delle cavanne mettendone a rischiando le coperture spostando le lose... Nella parte alta della valle saliva inoltre un margaro della famiglia Aimonino, proprietaria del  Chersun e della Muanda: questo significa che dal 15 giugno al 15 settembre nel vallone di Deserta potevano essere presenti circa 50-60 vacche da latte, più circa altrettante tra manze, asciutte e vitelli ed un centinaio di capi ovicaprini.
Vista sul vallone di Noaschetta - in primo piano splendida fioritura di rododendri
Il signor Luciano Tomasi Deio, che era stato in quegli alpeggi da ragazzino ( suo padre aveva affittato dal "Buarat" subito dopo il ritiro del mio bisnonno dall'attività di margaro) , mi raccontava che tra Loserai, Testa, Pian Dietro e Brengi c'erano 42 "soji" ,  nome dialettale che possiamo tradurre con "pasti" e che sta a significare la disponibilità di una quantità d'erba sufficiente a  mantenere 42 vacche in mungitura durante la stagione estiva, con un passaggio su ciascun alpeggio . I 42 "pasti" ovviamente non tengono conto delle superfici ove venivano mandati al pascolo gli ovicaprini ed i capi bovini non in produzione, ed a giudicare da quel che si vede ora erano basati esclusivamente su ottime specie foraggere.  
Le manze venivano pascolate al "Pian Percet" e venivano ricoverate all'interno della stalla per ricavarne prezioso concime da utilizzare a favore delle superfici pascolate dalle vacche in produzione. 
Pecore e capre venivano portate dai Tomasi Deio nella parte alta del "Valun" di Ceresole: secondo quanto riferitomi dal sig. Luciano, tra la Testa ed il Pian Percet vi era un sentiero che aggirando a dx le pendici del monte Deserta raggiungeva appunto tale vallone, mentre il "Buarat" le conduceva al Pian Patulla, di sua proprietà, pianoro ove si trova la "mela spaccata".
Tale cifra non era però effettiva poichè , essendo gli alpeggi del bisnonno posti tutti più o meno alla stessa quota, in alcuni punti non si arrivava in tempo a consumare l 'erba fresca e così, in particolare alla Testa ed alla Brengi, gli alpeggi con la migliore esposizione al sole, si faceva fieno, che veniva utilizzato come scorta per quando faceva brutto e le vacche non venivano condotte al pascolo.  
L'ordine di utilizzo dei vari alpeggi durante la stagione era il seguente: Brengi, Testa, Loserai , Pian Drè. Durante l'utilizzo della Brengi veniva inoltre pascolato anche il Pian Riner , pianoro non nominato sulle carte  posto sulla sponda sx idrografica del rio Deserta , praticamente di fronte al "fondo" del Chersun ed ai piedi della dorsalina rocciosa percorsa dal sentiero per l'alpe Loserai. Ai margini di questo pianoro sono ancora visibili i resti di una costruzione, probabilmente una stalla.
Nel ricordo di mio padre, che a fare fieno a Deserta ci è andato  da bambino, si saliva su al mattino presto e poi, dopo aver consumato una colazione energetica a base di zabajone, cominciava il lavoro,  che durava tutta la giornata. 

Dalla cima di Deserta alla Punta Pelousa e la grotta di Deserta

Splendida vista sulle Levanne 
Racconta il sig. Luciano Tomasi Deio che nei pressi della cima di Deserta c'era una grotta, una grossa cavità dove lui e suo fratello, allora ragazzini, andavano ad avventurarsi per divertimento nel tempo libero . Non siamo riusciti ad individuarla con certezza, ma qualcosa di simile ad una cavità lo abbiamo rinvenuto sul versante sud della cima, in direzione dell'alpe Muanda , nei pressi della vetta.
La grotta di Deserta ? Al centro la bocchetta Fiora, a dx la punta Pelousa

La vista sul gruppo del Gran Paradiso è  oggi un pò coperta da nuvole che vanno e vengono. Sulla cresta, un maschio di pernice si invola al nostro passaggio e noi, consumato il pranzo al sacco, decidiamo di proseguire in cresta per poi scendere verso l'alpe Muanda.
Mentre proseguiamo più o meno in cresta, cercando il primo punto "utile" per cominciare la discesa verso il fondo del vallone, possiamo ammirare le splendide fioriture di Primula latifolia  ( anche loro sembrano ammirare il panorama)...

Primule che guardano il panorama


un altare ornato di rododendri...

Memore di un rocambolesco arrivo  di "alcuni" anni fa - in effetti saranno passati più di  quindi 15 anni -   in compagnia di mio padre all'alpe Loserai ( stavamo facendo la traversata da Ceresole per i laghetti Bellagarda e la bocchetta Fioria, ma in corrispondenza dell'alpe Muanda avevamo perso la traccia), tra pietraie e macchioni di rododendri ( avevo perfino visto due vipere aspis "nere" - melanotiche -  lì in mezzo ) , penso che la cosa migliore sia raggiungere la bocchetta Fioria ( od almeno quella chiamata così sulle cartine, ma che gli esperti del luogo chiamano bocchetta Pelousa)  e scendere dal sentiero segnato ( 15 anni fa non era ben tracciato come adesso) .
Vista su Levanne e lago di Ceresole da Punta Pelousa
E una volta che sei quasi lì, tantovale salire fino alla Punta Pelousa no ?
E salire alla Punta di Pelousa vale davvero tanto, perchè il panorama è fantastico...

Dalla bocchetta Fioria alla Muanda e al Loserai

Dopo esserci goduti per bene il panorama dalla punta, ecco che con una breve discesa su ripidi pendii di "ulinna" si arriva alla bocchetta Fioria. Il percorso che scende nel vallone di Deserta, recentemente pulito e risegnato, ormai si vede anche da lontano, per fortuna! 



Scendendo verso la bocchetta Fioria
Il primo alpeggio che incontriamo scendendo è la Muanda , toponimo che indica un luogo di passaggio , di trasferimento delle mandrie, ed era in effetti l'alpeggio più alto dove venivano portati i capi di bestiame della famiglia Aimonino durante la stagione estiva.
Alpe Muanda
Dopo tale alpeggio, che si compone di due nuclei di costruzioni posti a breve distanza l'uno dall'altro , il sentiero comincia  a scendere  in maniera decisa, passando attraverso un rado bosco di larici ( con ottima vista  sull'alpe Pian Dietro), per poi sbucare all'alpe Loserai .
Alpe Pian Dietro

Se potessimo confrontare le foto di oggi con foto scattate 30-40 anni fa, fabbricati a parte, noteremmo senza dubbio quanto l'area occupata dai pascoli fosse allora più estesa, laddove oggi invece è stata in larga parte ricolonizzata dalla vegetazione arbustiva ( rododendri, mirtilli, ginepri) ed arborea ( larici) ; noteremmo inoltre come anche l'altezza dell'erba, a causa del minor apporto di concimazioni animali dovuto all'insufficiente pressione di pascolo ed alla cessazione delle pratiche di fertirrigazione ( spandimento di letame e liquami tramite acqua e fossatelli), si sia ridotta di almeno la metà.
Alpe Loserai - cavanna e crutin

L'eterna lotta contro la natura

Tale processo di rinaturalizzazione , combattuto e contrastato per secoli , cioè a partire da quando i terreni di questa parte del vallone vennero progressivamente disboscati e spietrati per ottenere superfici di pascolo, è oggi diventato irreversibile, poichè la pratica del pascolo semibrado non è in grado di mantenere una situazione stabile.  Questo avviene principalmente a causa dell'insufficiente pressione di pascolo, che la libertà di movimento del bestiame amplifica: noi stessi abbiamo potuto osservare come le bovine si siano spostate durante il giorno di appezzamento in appezzamento andando alla ricerca delle erbe migliori, che in questo modo vengono continuamente brucate e sfavorite rispetto alle altre meno appetite, lasciando campo libero all'avanzata degli arbusti.
A questo proposito basti pensare che quando il mio bisnonno rilevò la proprietà di questi alpeggi, ingaggiò due operai per sradicare alberelli ed arbusti...
Se si potesse poi confrontare la vegetazione esistente con quella presente all'epoca, senza dubbio salterebbero subito all'occhio una minore densità della cotica erbosa ed una diversa composizione specifica, meno ricca di specie buone foraggere.
Retro del locale di caseificazione dell'alpe Loserai, con una vecchia falce infilata nel muro
L'evoluzione naturale condurrà fatalmente queste superfici al ritorno della vegetazione "climax", cioè del bosco, presumibilmente un bosco misto di larice ed abete rosso; e anche se da un punto di vista strettamente naturalistico non possiamo avere nulla a che ridire circa il ritorno alla situazione di maggior stabilità ed efficienza ecologica per l'area data, non possiamo che rammaricarci per l'inevitabile perdità di biodiversità a livello vegetale e per l'impoverimento della zona da un punto di vista paesaggistico e floristico , con la perdita del mosaico dato da aree a pascolo ed aree boscate.
"Contro natura" sono possibili soltanto vittorie parziali, temporanee , legate a cicli storici, poichè i meccanismi che stanno alla base dell'evoluzione naturale sono così straordinariamente forti e complessi  da risultare non controllabili nè dominabili da parte dell'uomo.
E questa in fondo è una cosa positiva: quante volte facciamo del male pur animati dalla convinzione di stare facendo del bene ? Chi può dirsi in grado di stabilire ciò che è bene e ciò che è male di fronte alla complessità della Terra, dell'Universo ? A mio avviso, nessuno!
L'altro grande rammarico non può che essere nei confronti dell'immane fatica compiuta da coloro che resero utilizzabili ai fini agricoli queste superfici e da coloro che questa utilità hanno mantenuto nel corso dei secoli con grande sforzo.

Dal Loserai alla Brengi e ritorno a valle

Al Loserai, nel retro del locale di caseificazione ,troviamo anche una vecchia falce infilata nel muro, falce che non serviva soltanto a fare fieno ma anche a tagliare la vegetazione indesiderata, come ad esempio tutto quel Rumex alpinus che vedete nelle foto precedenti ( e che cresce in zone con eccesso di fertilità - concimazione da parte delle deiezioni bovine) : il "bun marghè" (  "buon margaro") infatti provvedeva a sfalciarlo ed a rimuoverlo in quanto specie non appetita e pericolosa per i capi bovini  ( causa di osteoporosi) per contenerne la diffusione, cosa che invece i "marghè faus" ( "cattivi-falsi margari") si guardavano bene dal fare.  Oggi però, con l'aumento delle dimensioni medie delle aziende zootecniche transumanti ed il conseguente l'aumento del carico animale e dei carichi di lavoro dei conduttori rendono,  sono diventate più difficili sia la gestione delle restituzioni animali , sia la prosecuzione delle "buone pratiche" del passato ( fertirrigazione , sfalcio delle specie indesiderate, sfalcio delle porzioni di pascolo mature per fare scorte di fieno, sradicamento degli arbusti , ricovero in stalle di tutti i capi etc etc ), per cui la distinzione di cui sopra non può più essere applicata "tout court".Cerchiamo di  capire il perchè...

Il concetto di "margaro" nella storia

Il concetto di pastore o margaro ha senza dubbio conosciuto una profonda evoluzione nel corso dei secoli : dai singoli nuclei famigliari che praticavano la transumanza su scala molto più modesta rispetto a quella odierna,  cioè con i loro pochi capi  su zone di "media montagna" strappate al bosco, si è passati agli estesi pascoli comuni medioevali (p.es la zona di cima Mares in Canavese ) ed all'utilizzo costante delle praterie naturali alpine d'alta quota da parte di pastori professionisti ,il cui lavoro era quello di condurre in estate mandrie e greggi costituite dai capi di bestiame a loro affidati dai rispettivi proprietari.
Bovine al pascolo allo stato semibrado
Era infatti necessario, per questi ultimi ( localmente detti "particolari" in riferimento al fatto che non svolgevano prevalentemente l'attività di allevatori ) ,   economizzare le scarse risorse foraggere a loro  disposizione in modo da poter garantire ai loro capi ( solitamente 1 o 2 vacche per nucleo famigliare) cibo per tutto l'anno facendo scorte di fieno durante la bella stagione: di qui la necessità di mandare più in alto almeno una delle due vacche di proprietà.
Così la maggior parte dei margari durante l'estate conduceva mandrie di cui facevano parte molti  capi presi "in fida" da altri proprietari, solitamente in cambio di una forma di toma e di una certa quantità di burro ; nel secondo dopoguerra, con il tramonto dell'economia rurale di sussistenza , si assiste progressivamente al cambio di attività dei "particolari", impiegati in maniera più remunerativa e meno faticosa in altri settori (industria, energia, servizi etc ) ed all'aumento delle dimensioni aziendali sia delle "margarie" , sia delle altre aziende, parzialmente o totalmente stanziali, principalmente per motivi di redditività. 
Le più grandi aziende zootecniche praticanti la transumanza oggi contano circa un centinaio di bovine in produzione, delle  quali  una parte viene condotta in alpeggio per produrre burro e formaggio, mentre l'altra parte rimane stanziale a fondovalle per garantire  continuità nella produzione di latte, essenziale per mantenere la clientela  costituita da caseifici industriali e centrali del latte; altre aziende transumanti, di dimensioni  rilevanti ma minori rispetto alle precedenti,  hanno mantenuto la prevalente vocazione per la produzione di latticini.
Altre aziende sono invece diventate parzialmente stanziali: soltanto i capi non produttivi "salgono" in alpeggio durante la bella stagione; resistono inoltre alcune aziende transumanti "tradizionali"  di piccole dimensioni,  le quali nonostante tutto sembrano garantire ai loro titolari una sufficiente redditività.

Ponte di recente costruzione

Dal Loserai, non prima di aver fatto un breve giro al Pian Drè, seguendo il sentiero segnalato si va ad attraversare  il rio Deserta nei pressi di una passerella in legno di recente costruzione, arrivando nei pascoli dell'alpe Chersun. Prima di buttarci a valle però abbiamo una massiva fioritura da analizzare ( ricordate? ): così riattraversiamo il torrente per raggiungere nuovamente  i paraggi dell'alpe Brengi e, di qui, scendendo più o meno costeggiando il rio Deserta, raggiungiamo il punto localizzato salendo.
Vegeta negli ambienti erbosi e pietrosi umidi
Si tratta di una spettacolare fioritura di Hugueninia tanacetifolia , specie appartenente alla famiglia delle Brassicaceae il cui nome fa riferimento alle foglie, simili a quelle "dell'arquebuse", Tanacetum vulgare.  Si tratta di una specie endemica delle Alpi occidentali , cioè presente esclusivamente in quest'area geografica, dove è comune  ma localizzata negli ambienti erbosi e pietrosi umidi. Non avevo mai incontrato prima una stazione così estesa e così densamente popolata dalla suddetta specie!




L'area su cui insiste tale popolazione è infatti una zona erbosa caratterizzata da elevata pietrosità ed umidità ( siamo nei pressi dell'alveo del rio Deserta), ed anche da una buona fertilità ( siamo nelle pertinenze dell'alpe Brengi ) . Sono presenti infatti altre specie tipiche di queste zone umide: l'imperatoria ( Peucedanum ostruthium ), la felce maschio  ( Dryopteris filix-mas), il Thalictrum aquilegifolium   ; altre specie, come il Geranium pratense  ed il Rumex alpinus sono invece indicatrici di fertilità.
Hugueninia tanacetifolia

 Risolto il caso della fioritura riattraversiamo il rio e cominciamo a scendere decisi verso valle , che la discesa fino a Prà non è poi così' corta. E se vi  abbiamo incuriosito, fatevi un giro nel vallone di Deserta!
Arrivederci ed a presto con le Storie!