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martedì 27 agosto 2019

Escursioni d'altri tempi - Monte Unghiasse da Prà ( traversata da Noasca a Ceresole)

Premessa 

In un precedente articolo ci siamo ampiamente soffermati sul vallone di Deserta  ,  descrivendo al contempo un'escursione al monte omonimo ed alla punta Pelousa. Questa volta ci sposteremo sul versante dx idrografico, verso lo spartiacque Orco - Lanzo, per raggiungere la cima più alta del vallone di Deserta, e cioè il monte Unghiasse 2939 m. 
Nel vallone di Deserta

Da Prà ( ma perchè ? ) al Pian Drè

Da dove nasce l'idea "solo apparentemente masochistica" di raggiungere il monte Unghiasse 2939 m dalla frazione Prà di Noasca 890 m , anzichè da Ceresole via colle della Crocetta , cioè la via più "frequentata" ( molto tra virgolette) ? 
La scelta di partire da Prà deriva dal fatto che è da qui che passava il mio bisnonno margaro Varda Giacomo sulla via della transumanza estiva ,  idealmente proveniente dalla frazione Costa di Locana ( posta lungo il sentiero che raggiunge il santuario di S. Anna dei Meinardi) o dai Fey, ove si trovavano le sue abitazioni, dopo aver radunato tutti i capi affidatigli dai vari "particolari" della zona, ciascuno con il suo campanaccio o "rudun", magari in compagnia dell'altro mio bisnonno nonchè cugino primo Sola Pietro, suo "socio" in affari per qualche tempo. 
Schematizzazione del percorso su carta IGM 1:25.000. Si declina ogni responsabilità in caso di uso improprio.
La scelta di passare dal vallone di Deserta è semplicemente dovuta al fatto che l'interesse  principale dell'escursione in questo caso non era tanto quello di raggiungere la vetta, quanto di percorrere una zona del vallone nella quale non ero ancora mai andato.
E così da Prà su ottimo sentiero raggiungiamo il Pian Drè; la giornata è un pò velata ma in compenso non fa troppo caldo e la visibilità è comunque ottima , così come le previsioni meteorologiche : quale situazione migliore per andare un pò all'avventura

C'era una volta il "giaser"...

Sulla vecchia cartina 1:25.000 dell'Igc poi,  dal Pian Drè era addirittura segnato un sentiero in rosso (  segnavia 532 )  che raggiungeva il colle Unghiasse, mentre la più recente carta Mu "Valle Orco" riporta soltanto alcune tracce di sentiero dal Chersun.   E allora perchè non salire dal Chersun invece che dal Pian Drè ? 
Ancora una volta la "colpa" è del mio bisnonno ( o meglio di mio padre che me l'ha raccontato), poichè è salendo dal pian Drè che conduceva le pecore al pascolo nei ripiani superiori, al cd. Pian Patulla , cioè passando "sul suo", sui terreni di sua proprietà  , ma anche del sig. Luciano Tomasi Deio, il quale mi aveva raccontato che sopra il Pian Dietro, salendo verso il "giaser" (  ghiacciaio nel dialetto locale) era pieno di genepì, ed io volevo andare a vederlo tutto questo genepy, per giunta localizzato su di un terreno appartenente alla mia famiglia! Sia mio padre che Luciano mi avevano inoltre riferito della presenza nelle vicinanze di un "tramut" di cui ignoravano il nome.
 Naturalmente oggi, guardando  dai piani di Deserta  verso il monte Unghiasse,  non vedrete nessun "ghiacciaio": con ogni probabilità ai tempi in cui i Tomasi Deio portavano le vacche in Deserta , sui ripiani superiori vi erano dei nevai perenni di dimensioni tali da risultare visibili dagli alpeggi sottostanti anche a stagione inoltrata.
Quanti perchè dietro la scelta di un itinerario ! La scelta della data ( il 14 agosto, cioè ancora nel pieno rigoglio della vegetazione estiva )  è invece dovuta ad una concomitanza di fattori: disponibilità di tempo e... periodo giusto per l'osservazione del genepì in natura.  



Benvenuti nella giungla !

-" A salire adesso sarà una giungla! Auguri !"
Questa la franca opinione espressa dall'amico Franco Chiapetto in merito all'idea  di percorso ed al periodo scelto per affrontarlo... 
Mentre sopra il Chersun risulta evidente come si possa accedere ai ripiani superiori un pò dovunque, sopra il pian Drè un'ampia bastionata rocciosa, solcata da numerosi "arian" , sembra sbarrare il passo.
Una lunga bastionata rocciosa... 

sembra sbarrare il passo...

Osservandola attentamente, riusciamo ad individuare un punto di accesso sulla sinistra (  che a dire il vero sembra essere anche l'unico), per quanto possiamo capire guardando dal basso. Giunti in fondo al Pian Drè, individuiamo anche un paio di ometti : magari indicano l'inizio del sentiero che però... pare proprio non esserci.
Cominciamo così la faticosa risalita lungo una dorsalina che alterna tratti di pietraia a tratti con vegetazione più rigogliosa, sempre verso la direzione scelta.
Vegetazione rigogliosa: genziana maggiore , rododendro , ontano verde, qualche piccolo larice...
Ogni tanto ci voltiamo verso il basso, in direzione di quel paio di ometti, sperando di riuscire ad individuarne qualcun altro, ma è inutile, non ci riusciamo ! Superato il primo tratto di salita, arriviamo in prossimità della bastionata, dove il gioco si fa ancora più duro: ci troviamo ora sostanzialmente di fronte ad una sorta di rompicapo "geografico" costituito da un sistema di piccole cenge , incassato tra due "arian", tra le quali dobbiamo scegliere quelle giuste per arrivare al benedetto Pian Patulla, così vicino in linea d'aria, ma così lontano nella pratica.
Cicerbita alpina
La vera domanda che mi frulla in testa è: ma riusciremo a salire ? O ci toccherà fare marcia indietro per salire dal Chersun? Il fatto è che le suddette cenge ospitano una lussureggiante vegetazione arbustiva ad ontano verde ( Alnus viridis) e sorbo degli uccellatori ( Sorbus aucuparia), in mezzo alla quale  siamo costretti a farci strada come cinghiali ; la fitta vegetazione, unita alla ripida morfologia del terreno circostante,  ci impedisce  inoltre di avere una visione sufficientemente ampia nella direzione di marcia!  Come se non bastasse, la presenza di acqua nelle vicinanze ci regala anche il "confort" di un terreno umido.  
Di salire lungo uno dei due arian neanche a parlarne, considerata la difficoltà di accesso agli alvei  e specialmente il  loro fondo ripido, costituito in gran parte da grosse placche inclinate di gneiss , veri e propri "scivoli di pietra".
Arriviamo dunque a quello che sembra essere il  punto chiave della bastionata: faccio un tentativo verso l'alto, uno verso destra, ma è inutile, non si passa
Tra le drose...ormai è fatta!
Sto seriamente meditando di arrendermi quando mi sento dire: 
- "Scusa, ma hai provato da quella parte ? "
-" Cavolo, no! "
Ero talmente "imboscato" negli arbusti che mi era sfuggita quell'ultima possibilità, ben visibile invece a chi era rimasto appena più in basso: possibilità che si rivelerà vincente e così, con un ultimo sforzo, ecco che infine vinciamo la bastionata!

La vegetazione delle zone rocciose ed umide

Le difficoltà della salita non mi hanno consentito di scattare fotografie , ma non mi hanno fatto certo chiudere gli occhi! Ecco di seguito , a futura memoria, un elenco delle specie che ho potuto osservare nella "giungla": Aconitum lycoctonum, Peucedanum ostruthium, Gentiana lutea, Dryopteris filix-mas  , Cicerbita alpina , Festuca gr. varia  per quanto riguarda lo strato erbaceo ; Rhododendron ferrugineum, Vaccinium uliginosum  , Alnus viridis, Sorbus aucuparia  per quanto riguarda lo strato arbustivo. Era inoltre presente qualche stentato esemplare di Larice, Larix decidua .
Si tratta di una vegetazione legata a zone umide  ed in grado di colonizzare substrati rocciosi ed impervi con comportamento pioniero . Aconito, Cicerbita e Peucedanum sono inoltre specie nitrofile, cioè indicatrici della presenza di fertilità nel suolo , caratteristica frequente nelle zone vicine a corsi d'acqua, poichè essa trasporta sovente sostanza organica. Fondamentale inoltre il ruolo dell'ontano verde, le cui spoglie vegetali danno vita ad un humus ricco di sostanze nutritive e le cui radici sono in grado di fissare azoto dall'atmosfera tramite batteri nitrificanti simbionti. 

Il Pian Patulla  e la "Mela spaccata"

La "Mela Spaccata" con il laghetto 
Vano con travetto in legno
 Sulla carta MU " Valle Orco" è riportata la posizione della cd. "mela spaccata", grosso masso spaccato in due, presso quello che localmente viene chiamato "Pian Patulla". Noi sbuchiamo oltre la bastionata appena a destra della "mela", che tosto raggiungiamo; nel pianoro, posto ad una quota di circa 2030 m, è anche presente una piccola pozza d'acqua . Ecco che qui la vegetazione cambia totalmente: tra le altre specie si notano alcune graminaceae buone foraggere, quali il Phleum alpinum , indici degli apporti di fertilità legati al pascolo ovino.
Scala di accesso al più profondo dei vani
Ancora un cumulo di pietre
La zona limitrofa alla "mela spaccata" è grossolanamente delimitata da un muretto a secco , ma la cosa più interessante è osservare da vicino il grande masso spaccato: in ogni suo anfratto o "balma" l'uomo si era ricavato uno spazio per le sue attività. A destra del grande masso, su una grande pietra piatta, ancora un accumulo artificiale di pietre, probabilmente realizzato con l'intento di "spietrare" il terreno circostante.  Con ogni probabilità questi anfratti naturali in tempi remoti ( sicuramente prima che tali terreni fossero di proprietà del mio bisnonno o del proprietario precedente)  venivano utilizzati come ricovero per i pastori e  per altri usi legati all'attività zootecnica; mi sono comunque ripromesso di tornare in loco in maniera dedicata per un reportage più serio ed approfondito. Oggi purtroppo  il tempo stringe...

L'ultimo "tramuto" 

Un rudere ( sicuramente il "tramuto" di cui parlavano  Luciano e mio padre) è riportato sulla carta Mu  "Valle Orco": decidiamo dunque di andare a dargli un'occhiata, effettuando una piccola digressione verso est. 
Il "tramuto"

Un percorso ancora abbastanza evidente...
Poco a sx del Pian Patulla, in corrispondenza di una dorsale discendente dalla cresta spartiacque Orco - Lanzo, ecco che raggiungiamo il rudere; nei pressi di questo una percorso ancora abbastanza evidente ( forse utilizzato anche come roggia per l'acqua ) prosegue verso dx, e noi lo seguiamo in leggera discesa fino a quando esso si perde nuovamente tra la vegetazione, per poi fare dietrofront.
Tra i ruderi del tramuto ci sembra di intravedere la presenza di una piccola "cavanna", cioè di un locale adibito al "soggiorno" in loco degli esseri umani ( sulla dx nella foto ) , a testimonianza di una passata frequentazione stabile ( cioè non soltanto di trasferimento giornaliero) dell'area, ipotesi che sembra suffragata anche dai notevoli lavori di sistemazione del percorso\roggia che lo raggiungono.  
I proprietari di questo rudere dovrebbero essere i medesimi dell'alpe Chersun, ragion per cui è  ipotizzabile che in tempi più recenti  anche quest'area venisse utilizzata con pecore e\o capre condotte giornalmente al pascolo o forse stabilmente con manze: occorrerebbero più approfondite ricerche storiche! 

"Fin dove si può salire" : le divisioni di proprietà

L'osservazione del terreno circostante è anche motivo di riflessione circa l'origine della proprietà privata in questi luoghi e delle sue modalità di divisione: in assenza di raffinati strumenti di misura ( e di calcolo dei valori immobiliari )  quali quelli disponibili nell'epoca odierna il territorio veniva diviso in base alle naturali linee di demarcazione del terreno, quali fiumi, dorsali, creste, canaloni etc etc . 
"Il territorio veniva diviso in base alle naturali linee di demarcazione del terreno..."
Negli alpeggi di Deserta ad esempio fanno da confine , per esempio,  il rio principale , dei canaloni, delle pareti rocciose, delle dorsali etc etc   Le linee di demarcazione così individuate proseguono poi  solitamente "fin dove si può salire", cioè fin sulle creste:la prossima volta che percorrerete il vallone di Deserta, non rubatemi delle pietre per favore! 
Chissà , forse al tempo della loro fondazione tutti gli alpeggi del vallone di Deserta appartenevano al medesimo proprietario, per poi essere successivamente divisi tra gli eredi in base alla legge salica. Mi sembra quasi di immaginare la scena della divisione, dove gli aventi diritto, con tono solenne si spartivano il territorio: io prendo di quà dal torrente, tu di là; io prendo da quel canalone in poi e fin dove si sale...
Dopo un ultimo e doveroso saluto al Pian Patulla ed alla sua mela (  a proposito di divisioni, chissà a chi è toccato...),   mentre il tempo meteorologico comincia decisamente  a migliorare , rivelando un cielo azzurro e le montagne del gruppo del  Gran Paradiso, riprendiamo la salita...
Saluti al Pian Patulla! Sullo sfondo da sx: Monte Deserta, Tresenta, Becca di Moncorvè, Gran Paradiso e, a dx della "mela", Testa della Tribolazione, Testa di Valnontey, Becca di Noaschetta, Testa Gran Crou, Becca di Gay.

Il secondo ripiano

Nei pressi del tramuto si vedeva bene il prosieguo del nostro percorso: raggiunto un secondo ripiano, si deve  imboccare il valloncello\canale che sale in direzione del monte Unghiasse: tutto apparentemente abbastanza logico. 
Il Pian Patulla visto dall'alto; in basso a sx il Pian Drè 
Salendo verso il secondo ripiano si ha un bel colpo d'occhio sul Pian Patulla , che rende bene l'idea della sua posizione "strapiombante" sul Pian Drè ; grazie alla quota ed alla rarefazione di erbe ed arbusti, la salita è in questo tratto molto più agevole, benchè si svolga  di fatto in assenza di traccia o segnaletica.
Il secondo ripiano: in alto a sx il monte Unghiasse  in alto a dx bocchette Fioria, Pelousa e Punta Pelousa
Il secondo "ripiano" ( quota 2200 m circa) è caratterizzato dalla presenza di molti massi, e da una copertura del terreno che si fa via via più rocciosa ; da qui si intuisce a sx  la vetta ( ? )  del monte Unghiasse , mentre a dx è interessante il colpo d'occhio in direzione delle bocchette Fioria\Pelousa e della punta Pelousa. Fino ad ora, del famoso genepì nessuna traccia: forse bisognerebbe provare a fare un giretto per il ripiano, il tempo è tiranno ed occorre proseguire la salita ! Mancano infatti ancora circa 700 m di dislivello!

Fuori dal mondo

Nel valloncello- canale
Non appena facciamo ingresso nel selvaggio valloncello\canale adducente al colle ed al monte Unghiasse, percepiamo subito un netto cambio d'atmosfera , sia fisico che psicologico: il sole "scompare" (complici alcune nubi in transito, ma questa zona prende davvero poco sole) e  la temperatura scende;  il terreno si fa nuovamente più impervio ed ostico -  un lungo pendio di sfasciumi abbastanza instabili ; le incombenti e strapiombanti pareti della divisoria Orco Lanzo sembrano doverci crollare in testa da un momento all'altro (  del resto da dove mai arriveranno tutte quelle pietre? Molti movimenti franosi sembrano piuttosto recenti!) ; compaiono i resti del "giaser", cioè gli ultimi nevai di fine stagione . 
Un piccolo branco di camosci
Altro particolare non secondario, alla nostra sinistra dovrebbe esserci il colle Unghiasse: ma come diavolo sarà possibile raggiungerlo ? L'intero valloncello sembra essere coronato da una parete rocciosa apparentemente inaccessibile,  e noi non riusciamo nemmeno a capire dove sia il valico!  Ma ce la faremo poi ad arrivare in cima ? Boh! 
La dorsale che ora ci divide dal vallone principale di Deserta, alla nostra destra,  sembra decisamente più invitante, ma si trova dall'altra parte rispetto al colle ( al quale noi presumiamo ancora di dover\poter salire)  ed anch'essa pare essere sbarrata in alto da una zona più rocciosa.
Comunque sia, la "prova è nel budino": non possiamo sapere come sarà l'ultimo tratto fino a quando non saremo abbastanza vicini da poterlo osservare bene e quindi proseguiamo nella marcia. 
La presenza di un piccolo branco di camosci , annunciata dal rumore di una leggera scarica di pietre, non aiuta ad alleviare il senso di solitudine , anzi: c'è da sperare di non averne troppi sopra le nostre teste! Il rischio comunque è minimo perchè qui i camosci sono talmente "selvatici" che fuggono dalla presenza degli esseri umani  a centinaia di metri di distanza, basta respirare! Evidentemente l'ambiente ( e la caccia) forgiano il carattere di questi animali selvatici  e , forse , anche un pò il nostro! Probabilmente durante le nostre escursioni siamo entrati in contatto con qualche sostanza secreta da cinghiali e\o camosci che ci ha contagiato con qualche particolare virus od ha stimolato una particolare produzione ormonale...
E il genepì? Non pervenuto...

Una montagna che perde pezzi: like a rolling plate...

La superficie di questo valloncello\canale è a dir poco tormentata: sfasciumi instabili e poco consolidati ( della serie : un passo avanti e qualcosa indietro) ; numerosi e recenti movimenti franosi molto evidenti. 
Negli ambienti d'alta quota anche le specie vegetali devono adattarsi a sopravvivere come meglio possono, sviluppando adeguate forme e strategie di sopravvivenza. La Primula latifolia ed il Ranunculus glacialis ad esempio, come si può vedere bene nella foto sottostante, sopravvivono alla stagione avversa grazie ai loro rizomi ( fusti sotterranei) perenni e sono in grado di compiere il loro ciclo vegetativo pur avendo a disposizione una stagione favorevole molto più breve  ( in alcune vallette nivali il suolo rimane sgombro da neve in presenza di adeguate temperature 2 o 3 mesi l'anno!) .

Piante piccole, ma perenni ! ( Nella foto rizomi di Primula latifolia, con un'infiorescenza; in primo piano un esemplare di Ranunculus glacialis , anch'esso dotato di rizoma)

A fronte dei fenomeni di instabilità presenti nell'area,  responsabili del  distacco e del rotolamento a valle  di questa piccola  zolla erbosa,  temo invece che le suddette specie vegetali non abbiano alcun sistema di difesa: riusciranno i rizomi portati alla luce a sopravvivere alle rigide temperature invernali ?  Si potrebbe sempre tornare su a controllare l'anno prossimo: anzi meglio , voi che state leggendo potreste almeno farmi questo piccolo favore
Mentre ci allontaniamo dalla "zolla rotolante" o rotolata che dir si voglia, ecco che sentiamo il sordo rumore di alcune cadute di pietre e no, questa volta non sono i camosci. Quelli sono già andati via tutti!

Non ci resta che... prendere la cresta !

- "Guarda! Forse là c'è poi un canale che..." 
- "Ah no, come non detto!"
Giunti quasi  in prossimità della cresta spartiacque Orco - Lanzo ed ormai stufi di procedere per sfasciumi, decidiamo di lasciarci tentare dall'invitante cresta secondaria presente alla nostra destra che, vista da qui, pare decisamente accessibile! Mal che vada se troveremo qualche paretina riusciremo  ad aggirarla, no ? 
Giunti in prossimità della spartiacque ...
 Percorrere il primo tratto della cresta secondaria è gioia pura: finalmente torniamo a muoverci su un terreno meno faticoso, tra grandi rocce, placconate e tappetini erbosi .

Ci lasciamo tentare...
Ma si tratta di una gioia effimera, poichè presto la vegetazione finisce,  lasciando spazio all'ultima parte rocciosa della cresta!
Gioia effimera...
Finalmente riusciamo a scorgere il colle Unghiasse, segnalato da un grosso ometto di pietra! Come si può ben vedere dalla foto seguente, si tratta di una depressione davvero minima della cresta, molto poco evidente! Un colle da "minusiè " !
Il colle Unghiasse

Ultima parte della salita...
Affrontiamo l'ultima parte della cresta avidamente, salendo senza percorso obbligato tra i grossi blocchi stabili che la compongono, senza alcun rischio legato all'esposizione. E' il miraggio della vetta ad infonderci rinnovate sicurezza ed energia! Del resto la vetta è lì , sopra le nostre teste, giusto?  
Panorama sul vallone di Deserta
Qua e là è necessario aiutarsi con le mani , compiendo qualche facile passo di arrampicata; io non posso fare a meno di  affacciarmi  per curiosare retrospettivamente   sul vallone e sul percorso di salita, osservando il quale sono ben evidenti il monte Bessun e lo stretto valloncello che scende in direzione dell'alpe Chersun .

Il valloncello\canale di salita; in fondo il Monte Bessun ed il valloncello  digradante sull'alpe Chersun
Non so come mai, ma quel valloncello mi attirà già: prima o poi andrò ad esplorarlo! Prossima gita in programma ? Vedremo...

Un falso arrivo

Raggiunta la sommità della cresta secondaria e dunque lo spartiacque  Orco- Lanzo ci accorgiamo subito che non è finita! Siamo un pò delusi,  ma  questo è anche  il verdetto della cartina, cioè la cosa più simile ad un testo sacro di cui possiamo disporre in questo momento. 
Una piccola delusione perfettamente evitabile, se soltanto la nostra mente avesse memorizzato meglio i precetti grafici  della sacra cartografia ! Ma il fatto è che si comincia ad essere un pò stanchi, non solo e non tanto fisicamente, quanto mentalmente: itinerari di questo tipo richiedono notevole concentrazione e forza di volontà per essere condotti a buon fine...
Che panorama! Da sx verso dx:Mare Percia, Punta Fourà,  Denti del Broglio, Becca di Monciair, Ciarforon, Gran Paradiso , Punta Ceresole , Testa di Valnontey, Testa della Tribolazione, Becca di Noaschetta, Testa Gran Croux, Becca di Gay. In primo piano la punta di Pelousa.
In compenso però il panorama è notevole, sia sulle cime circostanti che sul sottostante Gran Lago d'Unghiasse . C'è perfino una finestra sul Gran Paradiso ed ormai il tratto di cresta che ci resta da percorrere è praticamente pianeggiante!

Gran Lago d'Unghiasse


Una finestra sul Gran Paradiso 
Qualche nuvola copre invece il panorama verso le Levanne, mentre riusciamo a distinguere nettamente il profilo del vicino Monte Bellagarda.


Il vicino Monte Bellagarda. Sullo sfondo il colle Perduto

In cima! 

Eccoci dunque giunti al termine della nostra via  anormale fuori dal Parco Nazionale del Gran Paradiso, parafrasando un'interessante collana di libri editi dalla Blu edizioni.  In cima al monte Unghiasse troviamo il libro di vetta , sul quale annoterò tra l'altro  che "non abbiamo trovato nulla di ciò  che cercavamo", con chiaro riferimento al genepì scomparso.
Dalla cima, panoram verso la testata della Valle Orco, con il lago di Ceresole in primo piano
 Mentre osserviamo la testata della valle Orco ed il lago di Ceresole sotto di noi, è tempo di ragionare sulla discesa: per lo stesso itinerario di salita ?  Il pensiero della "via anormale" appena percorsa è tuttavia abbastanza sconfortante: tutti quegli sfasciumi prima e la giungla poi ! Anzi, forse un'altra giungla ,visto che dal Pian Patulla sarà meglio scendere al Chersun  per evitare di andare ad "incrodarsi" nella bastionata che sovrasta il pian Drè!

La mia discesa è differente!

La prima idea alternativa è anche quella più logica: per il colle della Terra d'Unghiasse ed  i laghi del Seone si può agevolmente raggiungere il colle della Coppa e da questo fare ritorno a Prà passando per le alpi Pissi e Sciarda, realizzando un anello tanto perfetto quanto notevole! E poi conosco la zona, che ho anche recensito su Gulliver . 
Sfortunatamente lì, sotto i nostri occhi, abbiamo la visione diretta della prima risalita che ci attende,  la quale, unita al pensiero della seconda e della terza ed al timore di doverci sorbire un'ulteriore "ravanata" ( avranno ancora pulito il sentiero i cacciatori ? )  ci spinge a valutare altre opzioni.
La seconda alternativa  è quella, altrettanto logica, di proseguire in cresta in direzione del monte Bellagarda fino alla quota 2878, per poi scendere nel vallone degli omonimi laghi e fare ritorno a Prà per la bocchetta Fioria. Ma come sarà la discesa dalla quota 2878 ai laghi ? Per oggi ci sentiamo sazi in quanto ad avventura, ed oltretutto non abbiamo neanche la copertura mobile per provare a curiosare qualche relazione su Gulliver !

Varie alternative ...
La terza opzione è quella al tempo stesso più semplice e meno logica: discesa al Gran Lago e ritorno per i colli della Terrà Fertà e Crocetta , il tutto su ottimo sentiero, con discesa però su Ceresole Reale, da dove potremmo prendere un pullman per tornare all'auto.  Le risalite "differite" , cioè non visibili dalla cima, sono forse il fattore psicologico ( oserei dire quasi  un inconscio) che ci spinge alla fine a scegliere l'ipotesi 3! E traversata a Ceresole Reale sia!

Numerosissime genziane in Fiore

Al Gran Lago d'Unghiasse

Raggiunto il colle Unghiasse, da questo ci abbassiamo verso  il Gran Lago con una discesa tutt'altro che banale: contrariamente alle aspettative non vi è praticamente alcuna traccia, il terreno è  ripido e, dulcis in fundo,  bisogna anche affrontare un breve ma intenso traverso ( cioè da percorrere con attenzione ) su una stretta cengia un pò esposta per superare verso sinistra la bastionata rocciosa che sovrasta lo specchio d'acqua,  pervenendo   infine per pietraia  alla sponda orientale del Gran Lago.
Numerosissime genziane in fiore adornano il percorso...

Sulla sponda orientale del Gran Lago...

Dal Gran Lago al lago della Fertà

Il sentiero, sempre ben tracciato e segnalato, costeggia con alcuni saliscendi la sponda meridionale del Gran Lago 2494 m, per poi salire il ripiano che separa le conche dei due laghi a quota 2580 m.
Sul ripiano che separa le conche dei due laghi
Si arriva a costeggiare il lago della Fertà p2557 m roprio in corrispondenza del suo torrente emissario, lasciando in basso a sinistra la vicina alpe degli Uccelli
La vicina alpe degli Uccelli

Sulle sponde del lago della Fertà

Dal lago Fertà ai colli della Terra Fertà e Crocetta e discesa a Ceresole

Comincia ora l'ultima salita di giornata: costeggiato il lago della Fertà, ecco che il sentiero, con ripide svolte, raggiunge il colle della Fertà 2720 m , da cui in breve raggiungiamo il colle della Crocetta 2641 m. Sulla discesa a Ceresole per il vallone della Crocetta non c'è  molto da aggiungere al momento: potrete trovare tutte le informazioni del caso sul sito di Gulliver. Ci ripromettiamo però l'anno prossimo di descrivere meglio questo bellissimo vallone, anch'esso così ricco di storia!

Ed ora il gran finale! 

Giunti sul lungolago proseguiamo fino alle Fonti Minerali, raggiunte le quali torniamo sulla sx idrografica della valle Orco per verificare la possibilità di prendere un pullman , mentre cerchiamo di fare un pò di autostop.  
Naturalmente nessuno ci carica ed un pullman per tornare fino alla macchina non c'è: ormai abbiamo anche perso l'ultimo ( che tra l'altro scende soltanto fino a Noasca capoluogo, il cd. "Nivolet Express) e non ci resta che chiedere l'aiuto da casa, che per fortuna non è all'altro capo del mondo. 
Oggi purtroppo non abbiamo il tempo di tornare a piedi fino all'auto e neanche tanta voglia: tanto quanto se fossimo dei runner , ma da semplici escursionisti... mah! 
Mentre  penso al percorso di discesa  scelto , calcolo mentalmente il dislivello da cartina fatto in giornata e penso al tempo perso in attesa del passaggio, non posso fare a meno di riflettere ad alta voce: 
- "era meglio se passavamo dal colle della Coppa, così almeno arrivavamo direttamente alla macchina! Ed era anche un giro molto più interessante!"
-" io lo sapevo che era meglio!"
-" potevi dirlo prima!" 
-" mi fido troppo..."

Conclusioni:

Il monte Unghiasse è molto più facilmente ( e velocemente) raggiungibile passando dal colle della Crocetta, per cui vi consiglio di salire da lì! Se invece volete fare la traversata , meglio farla da Noasca a Ceresole, a meno che non siate ottimi conoscitori del territorio con una buona predisposizione al fuori sentiero:  c'è molto più dislivello ma almeno la parte più difficile la potrete affrontare in salita ( in discesa  è molto peggio nel 90% dei casi). 
Ultima  raccomandazione ( ma non per importanza) : alla luce di quella che è stata la nostra esperienzam vi sconsigliamo caldamente dal provare a salire al Pian Patulla dal Pian Drè od a fare il percorso inverso. A buon intenditor...
Arrivederci ed a presto con le Storie!





giovedì 8 agosto 2019

Bocchetta di Drosa dal vallone di Noaschetta ( escursioni non per tutti 13)

Premessa



In una puntata precedente avevamo già avuto l'occasione di parlare del grande interesse storico-naturalistico rivestito dal versante sx idrografico del medio vallone di Noaschetta , costellato da numerosi alpeggi in cui l'osservazione delle tecniche costruttive originarie impiegate - per esempio l'utilizzo di grandi massi o balme come elementi strutturali ( di copertura, perimetrali... )  - fanno presagire un'origine molto antica, quantomeno di epoca medioevale.
Con questo pezzo ci proponiamo di aggiungere un altro "mattone" alla descrizione di questa parte di territorio, ormai completamente abbandonata anche dal punto di vista escursionistico, dopo la definitiva scomparsa di qualunque attività legata alla zootecnia di montagna, avvenuta nel 1993.
Traversata dal vallone di Noaschetta al vallone di Piantonetto dalla bocchetta di Drosa ( elaborazione su carta Igm 1:25000). Nb:  la linea del percorso tratteggiata in rosso è puramente indicativa : non si risponde di un eventuale uso improprio di questa immagine.

La bocchetta di Drosa: un'importante via di comunicazione locale

Il ripido versante sx idrografico del medio vallone di Noaschetta


La bocchetta di Drosa 2673 m, posta tra il Gran Carro 2988 m ed il Trasen Rosso 3060 m,  è stata per lungo tempo un'importante via di comunicazione tra il vallone di Piantonetto e quello di Noaschetta, anzi la più importante, comoda e veloce ( rispetto al colle dei Becchi o di Noaschetta 2990 m, con percorso più roccioso e caratterizzato dalla presenza di nevai perduranti fino a stagione inoltrata nelle parti finali di ambo i versanti) , in un contesto territoriale caratterizzato dall'elevata pressione antropica stagionale insistente sui territori serviti.
Dobbiamo infatti immaginare come ogni alpeggio, ogni tramuto, ogni superficie erbosa fossero utilizzati per il pascolo  del bestiame domestico ( vacche, pecore e capre) o per ricavarne prezioso foraggio ( sia come scorta da utilizzare "in loco" in caso di maltempo - una volta non si mandavano certo a pascolare le vacche "suta l'eva e al trun" - e  neanche manze, manzette, vitelli ed asciutte - sia come scorta invernale e successivamente trasportato a valle) e dunque come il viavai dovesse essere piuttosto intenso. 
Forse il massimo utilizzo di questo valico si ebbe durante i lavori di costruzione della diga di Pian Telessio e dell'opera di presa dell'Arculà ( 1950-1955)  , quando numerosi erano i valligiani impiegati nei grandi cantieri dell'allora Azienda Energetica Municipale di Torino ( oggi Iren )   che potevano velocizzare i loro spostamenti percorrendolo , aggiungendosi ai normali fruitori legati ai lavori stagionali d'alpeggio.
A titolo di esempio. mio nonno materno Contratto Domenico, all'epoca "capocantiere" alla presa dell'Arculà, passava dalla bocchetta di  Drosa quando aveva la necessità di spostarsi presso il cantiere di Telessio oppure per modificare il suo itinerario di ritorno a casa in frazione Cussalma di Locana; il  mio prozio Sola Paolo , che abitava nelle frazioni Zaunere o Mesonette di Locana , racconta ad esempio di come lui ed altri  passassero dalle alpi Drosa e poi dalla Costa delle Fontane Fredde ( memorabile il racconto di una traversata effettuata da lui ed altri colleghi impiegati al cantiere del Telessio per via di  un funerale tenutosi ai Fey, con rientro a lavoro effettuato immediatamente il mattino successivo con partenza all'alba).
Opera di presa Iren all'Arculà

Il versante sx idrografico del medio vallone di Noaschetta

Tale versante, come già detto, è costellato dalla presenza delle vestigia di numerosi alpeggi oggi abbandonati, così come la rete di mulattiere e sentieri che li collegava , mentre la superficie dirimpettaia del versante dx , compresa tra l'alpe Bettasse e l'alpe Arculà, posta alle pendici del monte Castello e del tutto inospitale per pendenza e morfologia , risulta priva di insediamenti,  percorsa unicamente dalla superba mulattiera che conduce alle soprastanti alpi Arculà e Bruna, infrastruttura ancora oggi molto utilizzata dal punto di vista escursionistico. 

Da Balmarossa superiore alla presa Iren dell'Arculà

Per raggiungere la presa Iren dell'Arculà, posta poco oltre l'omonimo alpeggio, ci sono due possibilità: o percorrere il versante sx idrografico passando dal rifugio Noaschetta, con un itinerario di grande interesse storico\ naturalistico ma più avventuroso  o seguire il percorso segnato fino alla presa dell'Arculà , in corrispondenza della quale si attraversa il rio Noaschetta; in entrambi i casi si reperiscono  delle tacche di vernice un pò sbiadite che segnalano il percorso per la bocchetta di Drosa.
Il "sentierino"; in alto a dx la bocchetta di Drosa

L'alpe Valpiano

Un sentierino, il cui percorso è ancora ben evidente ed intuibile osservando il versante  , sale a mezzacosta e con pendenza regolare  tra  i ripidi pendii di erba ulina ( Festuca gr. varia )  fino a raggiungere i ruderi dell'alpe Valpiano. Va detto che tale "sentierino" ( che un tempo era una vera e propria "strada delle vacche", e dunque molto più larga e sistemata con scalini etc)  risulta molto meno intuibile quando vi si transita, per cui consigliamo di porre la massima attenzione nel seguire i segni di vernice ( indubbiamente tracciati da chi conosceva bene il territorio) .
Alpe Valpiano 2222 m

La prima cosa che colpisce dell'alpe Valpiano è la localizzazione dei suoi ruderi, realizzati nell'unica superficie "pianeggiante" - sarebbe meglio dire "meno ripida" - disponibile ( da cui evidentemente il toponimo) nello stretto e ripido valloncello inciso dal rio Cosassione, dominato dalle vicine pareti del Blanc Giuir e del Trasen Rosso. 
Rispetto agli altri alpeggi di questa sezione della valle, qui la tipologia costruttiva con travi in legno è indicativa di  un'origine più recente, probabilmente legata alla fase di massimo insediamento umano sulle alpi Occidentali di fine 1700-1800Precedenti utilizzi  di queste superfici dal punto di vista agricolo\zootecnico non sono certamente da escludere, anche se il pascolamento con vacche in mungitura ( e quindi la presenza di un'adeguata composizione specifica a livello vegetazionale) non può che datare a partire da quell'epoca. 
Alpe Valpiano 2222 m
Quanti "pasti" per vacche in mungitura avrà potuto garantire questo tramuto ? A giudicare dalla quota, 2222 m, sicuramente un solo pascolamento all'anno; a giudicare dalle dimensioni dei ruderi della stalla verrebbe da dire almeno una dozzina. Sappiamo inoltre che nelle zone limitrofe più acclivi  venivano condotte al pascolo le pecore ( ebbene si: le pecore venivano condotte al pascolo e poi fatte rientrare per la mungitura serale ), in particolare nel vallone inciso dal rio Cosassione in direzione del Blanc Giuir.

Qua e là sono ancora presenti specie buone foraggere
Se una dozzina di vacche più le pecore vi sembrano tante, tenete presente che al Valpiano " a j'era la lenga buvinna" ( Polygonum bistorta), specie buona foraggera ed indicatrice di un pascolo pingue e fresco: qualche raro esemplare è ancora infatti oggi presente; anche la  vegetazione nitrofila, con presenza di imperatoria ( Peucedanum ostruthium) e rabarbaro alpino ( Rumex alpinus)  a valle e nei pressi dei ruderi,  testimonia la fertilità un tempo presente.

Lo sfruttamento delle praterie alpine a Festuca gr. varia ("ulinna") 

Gentiana ramosa





Hieracium aurantiacum
L'abbandono delle pratiche di alpeggio e di sfalcio ha determinato e sta determinando l'evoluzione di estese superfici pascolive \foraggere verso la prateria alpina naturale , nel nostro caso verso quella a Festuca gr. varia, tipica degli alti versanti esposti a sud. Si verifica così l'arretramento e la progressiva  scomparsa delle specie buone foraggere, la cui comparsa e presenza  era legata al pascolamento ed alle relative concimazioni del terreno, e l'avanzamento delle specie che sarebbero naturalmente presenti su quel dato territorio.
Dianthus neglectus 
Non dobbiamo però pensare ad interi versanti sud coperti da specie buone foraggere: anche la giovane "ulinna" era infatti una risorsa indispensabile ai tempi, alimento esclusivo o quasi degli ovini e dei capi non produttivi ( manze, manzette, vitelli) e preziosa scorta di foraggio in caso di maltempo durante la stagione d'alpeggio e per l'inverno; inoltre  i capi non produttivi venivano ricoverati durante la notte per poter ricavare dalle stalle il "dru", cioè concime organico per fertilizzare il terreno, che veniva sparso a vantaggio delle superfici utilizzate dalle vacche in mungitura o tramite pratiche di fertirrigazione o tramite trasporto meccanico in mancanza di adeguate quantità d'acqua od in presenza di esigue quantità di deiezioni animali.
Aster alpinus
Sono comunque molto belle le fioriture che si possono osservare in questo periodo ( fine luglio -inizio agosto) nelle praterie alpine a Festuca gr. varia.
Fioritura di vaniglia d'alpe ( Nigritella rhellicani ) 

Traversando nel ripido

Verso un'evidente e ripida cengia erbosa

Dai ruderi dell'alpe Valpiano il sentiero, dopo un breve tratto di "traverso" in falsopiano, si dirige verso un'evidente e ripida cengia erbosa , superata la quale si giunge ad uno spalto erboso dal quale è ben visibile la conca ove si trova il piano della Sciarda, nonchè il percorso da affrontare per raggiungerlo. 
Uno spalto erboso dal quale è visibile la conca ove si trova il piano della Sciarda
Si tratta della parte più delicata del percorso, poichè qui la rinaturalizzazione del territorio ha di fatto cancellato quasi completamente il vecchio sentiero, "richiuso" dalle ulinne ed ormai non più visibile di una qualunque traccia di camosci ( quando va bene) , costringendo ad attraversare una sequenza di piccoli rii e canali traversando ripidi pendii di Festuca gr. varia. 
Traversi sul ripido
Fortunatamente sono sempre visibili i vecchi segni rossi, che aiutano ad evitare di compiere errori di percorso con le conseguenti ( e faticose) discese/risalite "correttive" ( in molti tratti il percorso segnato infatti è praticamente obbligato o quasi - altri passaggi risulterebbero ancor più pericolosi od addirittura di carattere alpinistico);  su terreni del genere non va inoltre sottovalutato il rischio di trovarsi in condizioni di scarsa visibilità ( nebbia) o maltempo , il che significa il rischio di rimanere bloccati da qualche parte e  la maggiore scivolosità delle ripide superfici da attraversare.
Vista dall'alto della presa dell'Arculà
E' molto interessante da questo tratto il colpo d'occhio complessivo sulla presa Iren dell'Arculà, così come in generale il panorama sul vallone di Noaschetta. 
Panorama sul vallone di Noaschetta

Il piano della Sciarda

Piano della Sciarda ; sullo sfondo la bocchetta di Drosa.
Superato con la dovuta attenzione il tratto più ostico della salita, ecco che giungiamo alla splendida conca di origine glaciale ove si trova il piano della Sciarda, una vera e propria "oasi" di superficie pianeggiante e ricca d'acqua nel contesto di ripidi e secchi versanti assolati. Di qui si vede inoltre - ulteriore refrigerio psicologico - come la nostra meta sia ormai molto vicina! 
Sul lato sx idrografico del piano, sistemati "per lungo ( altra accortezza per ridurre al minimo lo spreco di superficie ) , ecco i ruderi di quelle che dovevano essere la stalla e la cavanna di questo alpeggio.
Ruderi del Piano della Sciarda 
Non siamo in grado di dire, così su due piedi, se in questa piccola stalla venissero ricoverati soltanto manze ,vitelli  delle pecore o delle vacche da latte, nè se tale piano fosse funzionalmente e\o dal  punto di vista della proprietà privata legato all'alpe Valpiano oppure alla sottostante alpe Sciarda ( benchè il toponimo lasci propendere per la seconda ipotesi):  :  occorrerebbe avere maggiori informazioni storiche!
Salendo al Valpiano, zoom sull'alpe Sciarda
Dal piano della Sciarda, bellissima è la vista sulle imponenti pareti del Gran Carro 2988 m , così come notevole dovrebbe essere quella sul gruppo del Gran Paradiso: peccato per un pò di  nuvolosità che ora a tratti copre il cielo!
Il Gran Carro 2988 m visto dal Piano della Sciarda
Laggiù il Ciarforon... 
Ci troviamo davvero in un luogo unico: questo piccolo pianoro ha in sè qualcosa di mistico, di nuovo una piccola oasi dove tutti gli elementi  sembrano fermarsi, chetarsi, prima di riprendere la vertiginosa discesa verso il basso, inevitabile conseguenza della legge di gravità: chi per qualche minuto, come l'acqua, chi per tempi più o meno lunghi, come il materiale roccioso. Se infatti un bel temporale estivo potrebbe bastare per spostare a valle sabbie, limi e pietre fini, quanta energia dovrebbe essere presente in loco per trascinare a valle pietre di più grandi dimensioni, od addirittura i massi ?
Si respira nell'aria anche qualcosa di epico, eroico, come se lo spirito di  coloro che sfruttarono queste superfici a scopo agricolo fosse rimasto impresso nelle rocce e nell'erba: uno spirito così forte che ci sembra quasi di percepirlo!

Chi dice che le montagne non si muovono ? 

Ambiente di pietraia


Dopo il piano della Sciarda si raggiunge un'altra piccola conca, oltrepassata la quale si entra in un ambiente di pietraia, con materiale roccioso di pezzatura via via più fine man mano che si risale verso il valico: dai grandi massi del fondo agli sfasciumi dell'ultimo tratto di salita. In realtà la dimensione dei materiali, risultato dell'alterazione e dei crolli delle pareti rocciose soprastanti , risulta suddivisa in modo molto più caotico, poichè nessun fenomeno di crollo è uguale ad un altro per cubatura del materiale e per distribuzione dimensionale degli elementi che lo compongono. Qua e là, ancora chiazze di neve residua... 
Gli ultimi metri sono di sfasciumi...
Nella nebbia sorprendiamo qualche camoscio, che sembra guardarci stupito, decisamente poco abituato alla presenza umana in questi reconditi luoghi, una nebbia che ha ormai completamente avvolto le vicine pareti del Gran Carro, quand'ecco che sentiamo un forte boato: è per l'appunto un crollo di materiale roccioso! E pensare che questa montagna è molto rinomata tra gli amanti dell'arrampicata per la sua buona roccia e le sue vie poco ripetute!
Camosci diffidenti
Non facciamo a tempo a riflettere su quanto successo che un secondo boato, più forte ed accompagnato da un acre odore di scintille, ci fa intuire l'avvenimento di un altro crollo, ben più imponente del primo.  
Ciò che sentiamo tuttavia non ci spaventa troppo: vuoi perchè non siamo "a tiro" delle pareti rocciose del Gran Carro, vuoi perchè il grigio velo della nebbia sembra riuscire ad anestetizzare tutto. Chi dice che le montagne non si muovono ? Lo fanno eccome, a modo loro, pezzo per pezzo o con i grandi movimenti tettonici di profondità...

Attraversando in cresta verso la bocchetta q.2704 m

La bocchetta di Drosa

La bocchetta di Drosa, od almeno quella nominale quotata 2673 m, è presidiata da un imponente gendarme di roccia. I segni rossi invece raggiungono un'altra bocchetta leggermente spostata a sinistra e leggermente più alta , 2704 m di quota, dalla quale proseguono in discesa sul versante Piantonetto.  Già, il vallone di Piantonetto: peccato per l'impossibilità di averne qualche veduta panoramica oggi! Il massimo che riusciamo a vedere, a tratti, sono le vicine pareti di gneiss del Gran Carro e l'alpe Drosa superiore sotto di noi!
 Non sarebbe stata una cattiva idea scendere verso l'alpe Sciarda e quindi raggiungere il fondo del vallone di Noaschetta ben prima dell'Arculà , ma le condizioni di visibilità non ottimali  ci hanno consigliato il ritorno per lo stesso itinerario di salita; fortunatamente per noi la visibilità si è mantenuta accettabile per tutta la discesa, consentendoci un tranquillo rientro alle auto.  

Conclusioni

Da un punto di vista storico-naturalistico, l'itinerario più interessante per raggiungere la bocchetta di Drosa dal lato Noaschetta è certamente quello di percorrere tutto il versante sx idrografico del vallone , magari realizzando un anello per l'alpe Sciarda. 
Occorre tuttavia tener conto che nella parte bassa la traccia di sentiero è perlopiù difficilmente rintracciabile, situazione che nella bella stagione viene aggravata dal rigoglio della vegetazione, e nella parte alta, dall'Arculà in poi, occorre una certa dimestichezza a muoversi in ambienti ripidi: ciascuno faccia le proprie valutazioni! Arrivederci ed a presto con le Storie!