Questa frazione, oggi completamente immersa nell'ombra del bosco, fino alla metà del secolo scorso si presentava con un aspetto totalmente diverso: a monte ed a valle delle case si alternavano castagneti da frutto, prati ed orti , costantemente irrigati dal sistema di rogge che captavano l'acqua dal vicino rio Zaunere, piccolo "arian" dalle portate abbastanza costanti che nasce dalla Costa delle Fontane Fredde. Ecco, l'irrigazione: un fattore fondamentale per l'agricoltura di sussistenza tipica delle zone alpine, specialmente in una zona in piena esposizione sud come questa, dove il sole d'estate "picchia" davvero ( te ne accorgi anche oggi che è tutto in ombra), fondamentale per far crescere l'erba nei prati, nei castagneti da frutto e sui terrazzamenti, la verdura negli orti. Mi racconta un mio prozio che la nostra famiglia aveva 4 orti in vari punti: in quelli più vicini a casa venivano coltivate le verdure, mentre in quelli più distanti si seminavano le patate e quando arrivava il loro turno di irrigazione ( ad ogni proprietario spettavano determinate giornate, in alternanza con i propri vicini di fondo) lo si sfruttava al massimo, bagnando via via tutti gli orti, castagneti da frutto, prati, terrazzamenti; al tramonto si lasciava poi correre l'acqua per tutta la notte nelle superfici più secche, a patto che i terrazzamenti fossero solidi e quindi non ci fosse il rischio di crolli delle opere murarie o di piccoli smottamenti del terreno. La zona immediatamente a monte della borgata viene chiamata "al sapel" , toponimo il cui significato tradotto dal piemontese dovrebbe stare per valico, passaggio.
Il sentiero che sale verso S.Anna dei Meinardi continua a destra della frazione, ma un tempo non era questo il percorso principale: la mulattiera vera e propria passava in mezzo ai rustici delle Mesonette in direzione della borgata Costa : noi decidiamo di ripercorrerla.
La mulattiera per la Costa
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Alla "pora ciri" |
Siamo sempre sotto copertura boschiva, ma comincia a cambiare l'essenza: il castagno lascia progressivamente il il posto a
roveri e roverelle ed anche il terreno diventa visibilmente più
secco e roccioso. Se si abbandona la mulattiera per la Costa e si prosegue in direzione Noasca, si arriva in breve in un luogo molto affascinante: un magnifico bosco di roveri ( alcune monumentali) e roverelle, con un imponente sistema di terrazzamenti, dove la copertura delle chiome si fa più rada e la secchezza e la rocciosità del terreno si accentuano via via, fino ad arrivare "in riva" all'
arian dle Coste ( chiamato "Rio della Frera" sulla cartina Igm), che qui scorre incassato tra spettacolari strapiombi, tanto che non esiste un "
trasen" , cioè un passaggio obbligato che colleghi in quota le Mesonette alle Coste, grande borgata che si trova a monte della frazione Grusiner di Noasca.
Questo bosco di roveri e roverelle doveva essere un tempo utilizzato come pascolo arborato e per la ghianda, prezioso alimento per le capre durante l'autunno e l'inverno; questa zona localmente viene chiamata "la pora ciri" , toponimo di incerta definizione , dove "pora" potrebbe stare per "povera" ( ricordiamo che si tratta di una zona molto secca , rocciosa, con suolo poco profondo e priva di sorgenti d'acqua).
La Costa, la Bareri, Ambrella ed il bivio di pian Fragno
Pochi metri più in alto delle case ci ricongiungiamo al sentiero in attualità d'uso che avevamo abbandonato alle Mesonette ( dal quale la borgata non è così ben visibile durante la bella stagione, essendo occultata dal fogliame) e proseguiamo fino alle case Barrera ( la Bareri), poste su una panoramica spalla, dove "riceviamo" anche un sentiero che parte dai Giroldi .
Oltrepassati i ruderi della Bareri e lasciata a destra la deviazione per
Piada ( ci passeremo al ritorno ma per un altro percorso), il sentiero continua a salire con ripide svolte fino al bivio in località
Pian Fragno : andando verso sinistra ( direzione Noasca) si incontrano dapprima il "sentiero delle vacche" che sale in direzione dell'alpe Giua e quindi il sentiero che scende alla borgata
Coste, dove passa il
Gta , mentre proseguendo in quota si va in direzione dell'alpe
Ambrella ( localmente detta
"l'ambrlà", derivante da "brlla", cioè escremento di pecora o capra); svoltando a destra si arriva invece ai
Meinardi.
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Piada - tipica balconata in legno |
E' da sottolineare che il sentiero che collegava Meinardi all'alpe Ambrella è oggi
quasi completamente franato , rendendo questa magnifica località molto difficilmente raggiungibile (lo dico con cognizione di causa essendoci passato nel dicembre scorso) . Per raggiungere Ambrella bisogna quindi salire dalle Coste passando per l'alpe
Vailet ( consigliato, purchè d'inverno od in autunno inoltrato,quando la vegetazione è scarsa e consente di muoversi più agevolmente), A Francesco non dispiacerebbe andare all'Ambrella ( ed a me neanche), ma per quanto appena detto è chiaro come non sia assolutamente la stagione né il caso di farlo...
Il percorso che va da Barrera e Pian Fragno si svolge tra le ginestre in fiore, sotto la copertura di betulle e noccioli. Ecco, i noccioli: in questa zona sono presenti estesi
noccioleti primari ( provate a percorrere il Gta da Perebella alle Coste...), cioè vale a dire noccioleti che non derivano dall'abbandono o dall'evoluzione di precedenti usi del terreno ma che costituiscono la forma di vegetazione naturale originaria. Questo è suffragato dalle memorie degli anziani originari del luogo: la
raccolta delle nocciole selvatiche era un'altra delle fonti di reddito di quella povera gente.
I Meinardi e Sant'Anna
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Santuario di S. Anna dei Meinardi |
Proseguendo a destra al bivio di S. Anna si arriva all'ultima grande borgata un tempo abitata tutto l'anno: i Meinardi , quota 1481, e si
esce dal bosco. Qui ogni anno nell'ultima domenica di luglio si svolge il pellegrinaggio, molto sentito dalla popolazione locale ed in particolare da "hei dla val", quelli della "valle". Sia la facciata del santuario che il terrazzamento che ne sostiene il sagrato ( con la doppia scalinata di accesso) sono davvero imponenti e fanno riflettere sull'importanza che il fattore religioso rivestiva per le popolazioni alpine di un tempo, importanza che non è venuta del tutto meno se pensiamo che oggi il santuario e la sua foresteria sono circondate da ruderi. Per i dettagli architettonici su questa costruzione vi rimando
alla scheda presente sul sito istituzionale del comune di Locana .
I Casetti, il Pianas, le Cialme e i Ronchi.
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i Casetti |
Immediatamente a monte del santuario sono visibili le abitazioni dei
Casetti , che si raggiungono in pochi minuti passando per un ripido prato ed un piccolo bosco di aceri di monte. Da qui parte il ripido sentiero che sale ai Giua, oggi ridotto ad un'esile traccia facile a smarrirsi, tra ciò che resta degli antichi pascoli e zone invase dalle ginestre, passando per il
Pianas e per
l'alpe
Cialme ; dai Casetti partiva anche la mulattiera che portava ai
Ronchi, piccolo alpeggio spostato sulla destra in direzione Locana. Si tratta di piccoli alpeggi dove le famiglie delle borgate sottostanti si trasferivano durante la stagione estiva con le loro pecore, capre e magari una vacca per avere il latte ( l'altra o le altre venivano date in affido ai margari che si recavano negli alpeggi più grandi).
I Giua, il casotto Pngp , il Saler, la Muanda, Piampurcetto
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Alpe Saler |
Dall'alpe
Cialme in poi la copertura erbacea diventa costante e non vi è più l'inconveniente dei macchioni di ginestre e con un ultimo sforzo arriviamo all'alpe Giva, localmente detta "
i Giua" ; appena sopra di noi, leggermente spostato a destra, vi è il casotto Pngp delle Fontane Fredde e, ancora più a destra, la quota 1960 della Costa delle Fontane Fredde. Dalla bocchetta parte anche un difficile sentiero che con numerosi saliscendi in quota conduce fino al lago di Telessio, passando per il vallone di
Langiosser ( localmente
"l'nghiairi" , che sembra derivare da "ghiaccio", "ghiacciaia") e le alpi
Drosa.
Leggermente più in alto ed a sinistra dei Giua vi è invece il Saler : da qui parte il panoramico sentiero che in leggera salita ed a mezza costa attraversa la spettacolare Costa delle Fontane Fredde. Da dove deriva questo nome ? In questo caso non ci sono dubbi interpretativi: esso deriva dalla presenza di numerose fontane ; da qui nascono infatti tutti i vari "arian" affluenti dell'Orco: dal Zaunere ( senza nome sulla carta Igm), dal Coste ( Rio della Frera sulla carta Igm) , dal Fè, Ciantrana, Arianas...
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Il casotto Pngp delle Fontane Fredde |
Qui l'ambiente è bellissimo, ed il comodo sentiero ( che un tempo doveva essere una vera e propria "autostrada") supera in falsopiano tutti i vari valloncelli (in cui nascono e scorrono i vari arian di cui si faceva cenno poco sopra) , assecondando mirabilmente le forme della montagna tra ripidi pendii erbosi ( che sembrano letteralmente precipitare a valle, come un'enorme massa di "acqua verde") e grandi massi, con l'elegante, facile ed elegantemente frastagliata cresta delle Fontane Fredde sempre poco più in alto, vicina al viandante.
Sotto di noi possiamo ammirare lo snodarsi della valle Orco , spettacolari cenge e strapiombi. Il sentiero, lasciata appena più in basso l'alpe Muanda, arriva fino all'alpe Piampurcetto, da cui in breve per pendii erbosi si può raggiungere la panoramica Punta del Carro ( magnifica vista sul gruppo del Gran Paradiso) oppure scendere nel vallone di Noaschetta. Erano queste le alpi "dal marches", come veniva chiamato il margaro proprietario e conduttore di queste superfici ; oggi sono le alpi "dji marches", dal nome dato in valle ai discendenti di quella famiglia.
La pratica della fienagione nelle praterie di alta quota e la raccolta delle "ulinnes".
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Alpe Pianpurcetto |
Anche questa zona più alta svolgeva una parte fondamentale, durante la bella stagione, per le famiglie del luogo e non solo: ai Giua, alla Muanda ed a Pianpurcetto
si andava al fieno. Al fieno su per quei pendii ? Eh si, perchè l'erba veniva tagliata prima che fosse troppo vecchia, fibrosa e poco nutriente per il bestiame domestico e
conservata allo stato secco. Trattandosi di grandi e scomode estensioni ed essendo il lavoro di taglio e raccolta
completamente manuale, era richiesta una manodopera abbastanza numerosa, per cui potevano essere chiamati a coadiuvare il lavoro i parenti del margaro od altre persone, che come pagamento avrebbero ricevuto uno o due sacchi di fieno da riportare a casa. L'aspetto attuale della copertura erbosa degli alpeggi non deve trarre in inganno l'osservatore, poichè un tempo era presente un'erba più verde , più alta e ricca di specie buone foraggere in ragione della costante e puntuale concimazione del terreno ottenuta dalle deiezioni bovine ed ovicaprine , e dalla pratica della fertirrigazione, che consisteva nello spandere sulla superficie circostante tramite l'acqua il letame ed i liquami raccolti nei "buser" ( letamai) posti nelle vicinanze delle stalle.
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"Sengie" di "ulinne" |
Nelle cenge più esposte e meno accessibili e sui pendii più ripidi e lontani si andava invece alle "
ulinne": si racconta di diverse persone morte nell'esercizio di questo pericoloso lavoro perchè cadute in un dirupo a causa del fondo scivoloso. Generalmente alle "ulinne" si andava in due, armati di falce "musoira" e con un
piccone per scalinare il terreno nei punti più ripidi e poter tornare con il carico d'erba senza correre troppi rischi. Normalmente gli animali domestici durante il pascolo
scarterebbero quest'erba dura e fibrosa ( in presenza di alternative), ma se raccolta "
giovane e verde" e conservata sottoforma di fieno, diventava una risorsa preziosa, talora
indispensabile per la sussistenza di molte povere famiglie. Per questa raccolta venivano sfruttate tanto le cenge sul poste versante Orco che quelle sul versante Piantonetto, verso le alpi Piadetta e Langiosser.
La pratica della fienagione nelle praterie d'alta quota e la raccolta delle ulinne richiedeva
notevole abilità e perizia, specialmente per via della natura del suolo, pieno di sassi e pietre che ad ogni passata di taglio rischiavano di "
smolare" la falce e costringere il montanaro a dover continuamente affilare la lama con conseguenti perdite di tempo. Naturalmente per il taglio venivano impiegate le falci, la "musuera"o la "sessa" ( come localmente vengono chiamate) ,a seconda della zona e dell'altezza dell'erba da tagliare.
Punta del Carro e ritorno per Piada e la cappella di Giet
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Panorama verso Levanne e Lago di Ceresole nei pressi dell'alpe Piampurcetto |
Dall'alpe Piampurcetto, con salita ripida ed in breve tempo, si può raggiungere la
Punta del Carro 2777 m, confine geografico naturale ideale per questa zona della valle Orco. In cima e durante la salita è davvero mozzafiato il panorama sul lago di
Ceresole e Levanne, sul vallone di Noaschetta, sul gruppo del
Gran Paradiso e sulle cime del vallone di Piantonetto. Io e Francesco oggi invece, complice il mutare delle condizioni atmosferiche ed il rischio di temporali pomeridiani, abbiamo interrotto la nostra escursione nei pressi dell'alpe
Muanda e fatto dietrofront, con una breve sosta ristoratrice al
Saler.
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Cappella di Giet |
Da qui, anzichè passare lungo l'itinerario di salita, siamo scesi per "la strada delle vacche" dei Giua fino a Pian Fragno, quindi siamo tornati ai Meinardi per scendere direttamente su
Piada. Il sentiero per la frazione parte immediatamente a valle del santuario, raggiungendola in breve con ripide svolte ( io vi consiglio però di raggiungere Piada in quota, dalla deviazione posta poco oltre la Bareri e poi fare ritorno, perchè questo sentiero è poco tracciato).
Le case di Piada sono divise in due nuclei e poste praticamente in fila orizzontale; nonostante l'avanzato stato di degrado delle costruzioni, possiamo ancora apprezzare un notevole solaio con balconata in legno, una casa fondata su un grande masso e numerose testimonianze dell'attività rurale di un tempo, tra cui una "huveri", cioè una sorta di "lettiga" in legno che veniva utilizzata per trasportare il letame dalla stalla ai campi,agli orti ed ai prati ( veniva issata sulle spalle di due persone). Da segnalare la fontana in pietra ( punto acqua) posta a sinistra delle case ( scendendo) verso la teleferica che serve il santuario di S. Anna.
Proprio in mezzo ai due nuclei di case parte il ripido sentiero che collegava Piada alle Mesonette, passando per la cappella di notevoli dimensioni di Giet ( buon punto panoramico) , tra le cui varie intitolazioni ve ne è una piuttosto curiosa, quella a Santa Isolina. Incuriosito da questa "strana" santa avevo chiesto tempo fa lumi all'esperto Elio Blessent , l'autore e l'ideatore della rivista periodica di storia e cultura locale "L'arcalus" ,dedicata al territorio dei comuni di Sparone e Ribordone: ero così venuto a sapere che nel calendario dei santi non esiste nessuna santa Isolina e che un tempo i pittori, per compiacere il committente dei lavori ( in questo caso qualcuno che si chiamava Isolina o che aveva qualche famigliare che così si chiamava) , non si facevano problemi ad inventare di sana pianta una nuova figura religiosa. Ecco spiegata la strana intitolazione...
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Punta del Carro 2777 m |
Dalla cappella dei Giet in breve ci si ricongiunge al sentiero per il santuario di Sant'Anna ( che avevamo trascurato all'andata ) poco a monte di Mesonette, da cui in breve facciamo ritorno all'auto lasciata ai Nora.
Conclusione
Percorrere in giornata l'intero tragitto dai Nora alla Punta del Carro è cosa impegnativa e non per tutti, per cui è consigliabile spezzare il percorso in due distinte escursioni: dai Nora ai Giua, preferibilmente il giorno delle festa di S.Anna dei Meinardi così da poter visitare il santuario ed ascoltare preziose informazioni ed aneddoti dai "locali" e poi dalle Casette nel vallone di Piantonetto alla Punta del Carro sfruttando il sentiero che raggiunge la Costa delle Fontane Fredde passando dalle alpi Piadetta. Direi che anche questa volta mi sono dilungato più che a sufficienza: arrivederci ed a presto con le Storie.
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