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venerdì 13 luglio 2018

Traversata nel Deserta

Premessa

- "E se andassimo a Deserta? "
-"Si. E questa volta arriviamo in cima".
Può sembrare incredibile, ma in tanti anni che vado a Deserta  ( magari anche un paio di volte l'anno!) non sono mai andato sulla cima di  Deserta o monte Giaset 2471 m, tondeggiante cima ben evidente a chi da Locana sale verso Noasca lungo la provinciale sp46.

Il vallone di Deserta

Vallone di Deserta  ( scorri verso dx) - cartina 3D su base Igm 1:25.000 ( fonte: Portale Cartografico Nazionale) 
Il vallone di Deserta, inciso dall'omonimo rio, affluente della dx idrografica del torrente Orco ( nel quale confluisce a valle della frazione Cater di Noasca) è caratterizzato da una prima parte  molto ripida, stretta ed incisa, praticamente un susseguirsi di ripidi salti che incidono il versante ( e che danno vita a spettacolari cascate) : in poche parole, un "arian", "l'arian n'Diserta", come viene chiamato localmente.
Le portate del rio Deserta però non sono assolutamente comparabili con quelle di tutti gli altri "arian"  presenti in  questa parte della valle Orco, caratterizzata da versanti ripidi e rocciosi: sono molto maggiori, ed è uno spettacolo osservarlo dalla provinciale quando, in tarda primavera\inizio estate o dopo un periodo di piogge , scende impetuoso a valle.
L'impetuoso rio Deserta ( foto d'archivio -2010 ) 
Questo corso d'acqua sottende infatti un bacino idrografico tutt'altro che trascurabile, delimitato ad ovest dalla cresta spartiacque Punta Pelousa- Monte Unghiasse, a sud ed a sud est dal Monte Unghiasse , dal Monte Bessun e  dalle loro propaggini , a nord dalla cima di Deserta.
Nella seconda parte del vallone ( dove comincia ad esserci una conformazione valliva vera e propria), in corrispondenza delle case Moda ( loc. "la Modda")  e dell'alpe Belguardo ( loc. Belvart o n'Belvart)  , le pendenze diminuiscono significativamente, benchè il rio continui a scorrere profondamente incassato tra le pareti della cima di Deserta e le estreme propaggini del monte Bessun. Questa parte del vallone è caratterizzata dalla presenza di bellissimi e  grandi boschi di larice e di larice ed abete rosso, mentre qua e là, specialmente nei pressi delle case Fumà , comincia a fare ritorno anche il faggio.
Nella terza ed ultima parte del vallone, ecco la "sorpresa": al termine di un ultimo grande salto d'acqua, posto nelle vicinanze di un alpeggio non nominato sulle carte , ecco che compare un' ampia conca pascoliva, caratterizzata da dolci pendenze ed estesi pianori , nei quali  il rio Deserta scorre placido, dando vita ad un bellissimo paesaggio alpino. Penso che la cartina 3d renda abbastanza l'idea ! Il nome "Deserta" pare derivi dall'aspetto "pelato" con il quale si presenta la cima di Deserta ...Ma ora veniamo alla "traversata nel Deserta" !

Da Prà al Chersun

-"Qui piove. Sei sicuro di voler salire ? "
- "Si. Il tempo migliorerà"
Anche se il cielo è nuvoloso, ripongo notevole fiducia nelle previsioni meteorologiche di Nimbus, solitamente molto accurate per quanto riguarda la nostra zona, per la quale sono previste schiarite e nessuna precipitazione nel pomeriggio.
Per salire nel vallone di Deserta da Noasca si può partire o dai Cater 1000 m oppure da Prà 890 m, con un sensibile risparmio di distanza nel primo caso  , al prezzo però di un tratto iniziale di salita più ripido  ( il sentiero che parte dai Cater va a congiungersi a quello che arriva da Prà). Io oggi mi sento "integralista" ed allora scelgo per la partenza dal fondovalle, cioè da Prà. 
Lasciata l'auto lungo la strada provinciale o nella vicina frazione Grusiner , si attraversa il ponte sull'Orco seguendo una pista sterrata che conduce all'imbocco del sentiero ( cartello in legno con la scritta "Deserta").
Rudere alle Case Fumà
La "strada delle vacche", nella sua parte iniziale, passa attraverso un magnifico ed ombroso bosco di castagni, ricco di testimonianze dell'ampia diffusione della castanicoltura da frutto in zona.  Usciti dal bosco di castagni, il sentiero comincia a risalire a lato di un canalone di valanga per poi attraversarlo e ricevere il sentiero proveniente dai Cater; indi con ripide e regolari svolte arriva dapprima nei pressi delle case Fumà  , poi  delle case Moda ( i cui ruderi sono ormai quasi indistinguibili, avvolti come sono dalla vegetazione).
Costruzione nei pressi della cascata

e cascata ( sorry per la pessima foto ) 
Lasciate in basso a destra le case Moda, il sentiero, ottimamente ripristinato qualche anno fa, prosegue deciso nel bel bosco misto di larici ed abeti rossi , fino ad arrivare in prossimità di quello che un tempo senza dubbio era stato un grande pascolo ed  attraversare un piccolo rio su un ponticello di legno, per poi tornare a salire fin nei pressi di una caratteristica baita posta nei pressi di una bella cascata.
Ancora pochi metri di salita ed ecco che finalmente usciamo definitivamente dal bosco a raggiungere i pianori sottostanti l'alpe Chersun . Sull'altra riva del torrente noto in lontananza una massiccia fioritura gialla: di quale specie botanica si tratterà? Sfortunatamente non ho con me il binocolo, ad allora stabiliamo di andare a controllare eventualmente al ritorno, se ci sarà tempo. Io un'idea ce l'ho ma voglio esserne sicuro...
L'alpe Chersun deve presumibilmente il suo nome alla sua posizione, posta sulla sommità di una piccola elevazione erbosa.











Una massiccia fioritura gialla? Che cosa sarà? 




Dal Chersun alla cima di Deserta

Il Chersun
Senza raggiungere le baite del Chersun, attraversiamo il rio Deserta sfruttando un accumulo di materiale vegetale ed arriviamo alla Brengi, da cui una traccia ormai appena visibile conduce fino all'alpe Testa di Deserta, posta appena 100 m sopra.
La Brengi

Alpe Testa di Deserta
Superata la seconda costruzione dell'alpe Testa, una labile traccia sale lungo le pendici della cima di Deserta fino a raggiungere l'ultimo "tramuto", quello in cui venivano portate le manze, chiamato "Pian Percet",  ed una fontana.
I ruderi dell'ultimo "tramuto" dell'alpe Testa


Oltre la fontana la traccia praticamente scompare e saliamo a vista, tra magnifiche fioriture, con il tempo in rapido miglioramento ( ecco le schiarite!) ed un panorama che via via si fa sempre più eccezionale!

Fontana e relativa opera di captazione  - sullo sfondo le imponenti pareti del monte Unghiasse

Ottima anche la vista sul versante nord del vallone, quello sotto il monte Unghiasse, dove si scorgono chiaramente sia il grande masso denominato "mela spaccata" sulla carta Mu Valle Orco, sia , più a sinistra, un piccolo laghetto di origine glaciale, posti ai piedi delle selvagge pareti del monte Unghiasse. Il pianoro ove si trova la "mela spaccata"  , non nominato sulle carte, viene localmente chiamato "Pian Patulla".
La "mela spaccata"
Il piccolo laghetto

Il miglior alpeggio che ci sia (alcune note storiche)...

Il mio bisnonno paterno Varda Giacomo ( meglio noto con il soprannome di "Giacu Buarat" - la cui etimologia resta un mistero) , dopo aver lavorato 23 anni in Colorado negli Stati Uniti come operaio agricolo, era tornato a casa con un discreto gruzzoletto che aveva deciso di investire nella terra, che ai tempi era il bene più prezioso, acquistando numerosi alpeggi ed altri terreni agricoli ( che oggi naturalmente non valgono più nulla), tra i quali gli alpeggi Brengi, Loserai, Pian Dietro  e Testa nel vallone di Deserta, .
Circa l'acquisto di Deserta, corrono alcune voci secondo le quali il passaggio di proprietà sarebbe avvenuto in maniera un pò rocambolesca: pare cioè che il "Buarat", con il suo gruzzoletto,prestasse somme di denaro in cambio di un interesse o terreni in garanzia, come nel caso dell'antico proprietario della Testa, della Brengi, del Pian Dietro e del Loserai.
Un campanaccio dimenticato...
Secondo la leggenda, a scadenza del prestito il mio bisnonno, che ambiva più alla terra che ai soldi -  a maggior ragione in questo  caso, vista la considerazione di cui godeva Deserta (  come ripeteva spesso mia nonna, "n'Diserta"  è l'alp pi bun ca i es" - "Deserta è il miglior alpeggio che ci sia") - non si fece trovare dal debitore che pure voleva restituirgli la somma, e così ottenne gli alpeggi, dove subito si mise a fare il margaro.
La  vera storia , narratami dal mio prozio Sola Paolo, dice che si, il "Buarat" aveva prestato dei soldi all'antico proprietario di Deserta ( Giacu d'Tin di Grusiner ) ,  ma non aveva alcun interesse ad avere Deserta perchè aveva appena acquistato le  Casette e le alpi Drosa nel vallone di Piantonetto: così, a 3 o 4 anni dalla scadenza del debito, si recò da Giacu d'Tin assieme all'altro mio bisnonno paterno Sola Pietro, padre di Paolo, nonchè suo cugino di primo grado ed a quei tempi suo "socio in affari" ( facevano i margari assieme) per reclamare la restituzione dei soldi, ottenendone in tutta risposta delle sonore bastonate sulla schiena.  Di fronte al cortese ma fermo rifiuto opposto dal Giacu d'Tin , il "Buarat" intraprese le vie legali e si prese i terreni dati in garanzia. 
Effettivamente in valle Orco è difficile trovare una conca pascoliva  così ampia, con modeste pendenze, poco pietrosa e ricca d'acqua come Deserta, e le dimensioni della "margaria" del mio bisnonno lo dimostrerebbero :30 vacche da latte più circa altrettante manze, asciutte e vitelli, alcune decine di pecore e capre ( 30 vacche da mungere all'epoca - stiamo parlando dell'immediato secondo dopoguerra - erano moltissime!). Le capre tuttavia non erano molto gradite perchè salivano sui tetti delle cavanne mettendone a rischiando le coperture spostando le lose... Nella parte alta della valle saliva inoltre un margaro della famiglia Aimonino, proprietaria del  Chersun e della Muanda: questo significa che dal 15 giugno al 15 settembre nel vallone di Deserta potevano essere presenti circa 50-60 vacche da latte, più circa altrettante tra manze, asciutte e vitelli ed un centinaio di capi ovicaprini.
Vista sul vallone di Noaschetta - in primo piano splendida fioritura di rododendri
Il signor Luciano Tomasi Deio, che era stato in quegli alpeggi da ragazzino ( suo padre aveva affittato dal "Buarat" subito dopo il ritiro del mio bisnonno dall'attività di margaro) , mi raccontava che tra Loserai, Testa, Pian Dietro e Brengi c'erano 42 "soji" ,  nome dialettale che possiamo tradurre con "pasti" e che sta a significare la disponibilità di una quantità d'erba sufficiente a  mantenere 42 vacche in mungitura durante la stagione estiva, con un passaggio su ciascun alpeggio . I 42 "pasti" ovviamente non tengono conto delle superfici ove venivano mandati al pascolo gli ovicaprini ed i capi bovini non in produzione, ed a giudicare da quel che si vede ora erano basati esclusivamente su ottime specie foraggere.  
Le manze venivano pascolate al "Pian Percet" e venivano ricoverate all'interno della stalla per ricavarne prezioso concime da utilizzare a favore delle superfici pascolate dalle vacche in produzione. 
Pecore e capre venivano portate dai Tomasi Deio nella parte alta del "Valun" di Ceresole: secondo quanto riferitomi dal sig. Luciano, tra la Testa ed il Pian Percet vi era un sentiero che aggirando a dx le pendici del monte Deserta raggiungeva appunto tale vallone, mentre il "Buarat" le conduceva al Pian Patulla, di sua proprietà, pianoro ove si trova la "mela spaccata".
Tale cifra non era però effettiva poichè , essendo gli alpeggi del bisnonno posti tutti più o meno alla stessa quota, in alcuni punti non si arrivava in tempo a consumare l 'erba fresca e così, in particolare alla Testa ed alla Brengi, gli alpeggi con la migliore esposizione al sole, si faceva fieno, che veniva utilizzato come scorta per quando faceva brutto e le vacche non venivano condotte al pascolo.  
L'ordine di utilizzo dei vari alpeggi durante la stagione era il seguente: Brengi, Testa, Loserai , Pian Drè. Durante l'utilizzo della Brengi veniva inoltre pascolato anche il Pian Riner , pianoro non nominato sulle carte  posto sulla sponda sx idrografica del rio Deserta , praticamente di fronte al "fondo" del Chersun ed ai piedi della dorsalina rocciosa percorsa dal sentiero per l'alpe Loserai. Ai margini di questo pianoro sono ancora visibili i resti di una costruzione, probabilmente una stalla.
Nel ricordo di mio padre, che a fare fieno a Deserta ci è andato  da bambino, si saliva su al mattino presto e poi, dopo aver consumato una colazione energetica a base di zabajone, cominciava il lavoro,  che durava tutta la giornata. 

Dalla cima di Deserta alla Punta Pelousa e la grotta di Deserta

Splendida vista sulle Levanne 
Racconta il sig. Luciano Tomasi Deio che nei pressi della cima di Deserta c'era una grotta, una grossa cavità dove lui e suo fratello, allora ragazzini, andavano ad avventurarsi per divertimento nel tempo libero . Non siamo riusciti ad individuarla con certezza, ma qualcosa di simile ad una cavità lo abbiamo rinvenuto sul versante sud della cima, in direzione dell'alpe Muanda , nei pressi della vetta.
La grotta di Deserta ? Al centro la bocchetta Fiora, a dx la punta Pelousa

La vista sul gruppo del Gran Paradiso è  oggi un pò coperta da nuvole che vanno e vengono. Sulla cresta, un maschio di pernice si invola al nostro passaggio e noi, consumato il pranzo al sacco, decidiamo di proseguire in cresta per poi scendere verso l'alpe Muanda.
Mentre proseguiamo più o meno in cresta, cercando il primo punto "utile" per cominciare la discesa verso il fondo del vallone, possiamo ammirare le splendide fioriture di Primula latifolia  ( anche loro sembrano ammirare il panorama)...

Primule che guardano il panorama


un altare ornato di rododendri...

Memore di un rocambolesco arrivo  di "alcuni" anni fa - in effetti saranno passati più di  quindi 15 anni -   in compagnia di mio padre all'alpe Loserai ( stavamo facendo la traversata da Ceresole per i laghetti Bellagarda e la bocchetta Fioria, ma in corrispondenza dell'alpe Muanda avevamo perso la traccia), tra pietraie e macchioni di rododendri ( avevo perfino visto due vipere aspis "nere" - melanotiche -  lì in mezzo ) , penso che la cosa migliore sia raggiungere la bocchetta Fioria ( od almeno quella chiamata così sulle cartine, ma che gli esperti del luogo chiamano bocchetta Pelousa)  e scendere dal sentiero segnato ( 15 anni fa non era ben tracciato come adesso) .
Vista su Levanne e lago di Ceresole da Punta Pelousa
E una volta che sei quasi lì, tantovale salire fino alla Punta Pelousa no ?
E salire alla Punta di Pelousa vale davvero tanto, perchè il panorama è fantastico...

Dalla bocchetta Fioria alla Muanda e al Loserai

Dopo esserci goduti per bene il panorama dalla punta, ecco che con una breve discesa su ripidi pendii di "ulinna" si arriva alla bocchetta Fioria. Il percorso che scende nel vallone di Deserta, recentemente pulito e risegnato, ormai si vede anche da lontano, per fortuna! 



Scendendo verso la bocchetta Fioria
Il primo alpeggio che incontriamo scendendo è la Muanda , toponimo che indica un luogo di passaggio , di trasferimento delle mandrie, ed era in effetti l'alpeggio più alto dove venivano portati i capi di bestiame della famiglia Aimonino durante la stagione estiva.
Alpe Muanda
Dopo tale alpeggio, che si compone di due nuclei di costruzioni posti a breve distanza l'uno dall'altro , il sentiero comincia  a scendere  in maniera decisa, passando attraverso un rado bosco di larici ( con ottima vista  sull'alpe Pian Dietro), per poi sbucare all'alpe Loserai .
Alpe Pian Dietro

Se potessimo confrontare le foto di oggi con foto scattate 30-40 anni fa, fabbricati a parte, noteremmo senza dubbio quanto l'area occupata dai pascoli fosse allora più estesa, laddove oggi invece è stata in larga parte ricolonizzata dalla vegetazione arbustiva ( rododendri, mirtilli, ginepri) ed arborea ( larici) ; noteremmo inoltre come anche l'altezza dell'erba, a causa del minor apporto di concimazioni animali dovuto all'insufficiente pressione di pascolo ed alla cessazione delle pratiche di fertirrigazione ( spandimento di letame e liquami tramite acqua e fossatelli), si sia ridotta di almeno la metà.
Alpe Loserai - cavanna e crutin

L'eterna lotta contro la natura

Tale processo di rinaturalizzazione , combattuto e contrastato per secoli , cioè a partire da quando i terreni di questa parte del vallone vennero progressivamente disboscati e spietrati per ottenere superfici di pascolo, è oggi diventato irreversibile, poichè la pratica del pascolo semibrado non è in grado di mantenere una situazione stabile.  Questo avviene principalmente a causa dell'insufficiente pressione di pascolo, che la libertà di movimento del bestiame amplifica: noi stessi abbiamo potuto osservare come le bovine si siano spostate durante il giorno di appezzamento in appezzamento andando alla ricerca delle erbe migliori, che in questo modo vengono continuamente brucate e sfavorite rispetto alle altre meno appetite, lasciando campo libero all'avanzata degli arbusti.
A questo proposito basti pensare che quando il mio bisnonno rilevò la proprietà di questi alpeggi, ingaggiò due operai per sradicare alberelli ed arbusti...
Se si potesse poi confrontare la vegetazione esistente con quella presente all'epoca, senza dubbio salterebbero subito all'occhio una minore densità della cotica erbosa ed una diversa composizione specifica, meno ricca di specie buone foraggere.
Retro del locale di caseificazione dell'alpe Loserai, con una vecchia falce infilata nel muro
L'evoluzione naturale condurrà fatalmente queste superfici al ritorno della vegetazione "climax", cioè del bosco, presumibilmente un bosco misto di larice ed abete rosso; e anche se da un punto di vista strettamente naturalistico non possiamo avere nulla a che ridire circa il ritorno alla situazione di maggior stabilità ed efficienza ecologica per l'area data, non possiamo che rammaricarci per l'inevitabile perdità di biodiversità a livello vegetale e per l'impoverimento della zona da un punto di vista paesaggistico e floristico , con la perdita del mosaico dato da aree a pascolo ed aree boscate.
"Contro natura" sono possibili soltanto vittorie parziali, temporanee , legate a cicli storici, poichè i meccanismi che stanno alla base dell'evoluzione naturale sono così straordinariamente forti e complessi  da risultare non controllabili nè dominabili da parte dell'uomo.
E questa in fondo è una cosa positiva: quante volte facciamo del male pur animati dalla convinzione di stare facendo del bene ? Chi può dirsi in grado di stabilire ciò che è bene e ciò che è male di fronte alla complessità della Terra, dell'Universo ? A mio avviso, nessuno!
L'altro grande rammarico non può che essere nei confronti dell'immane fatica compiuta da coloro che resero utilizzabili ai fini agricoli queste superfici e da coloro che questa utilità hanno mantenuto nel corso dei secoli con grande sforzo.

Dal Loserai alla Brengi e ritorno a valle

Al Loserai, nel retro del locale di caseificazione ,troviamo anche una vecchia falce infilata nel muro, falce che non serviva soltanto a fare fieno ma anche a tagliare la vegetazione indesiderata, come ad esempio tutto quel Rumex alpinus che vedete nelle foto precedenti ( e che cresce in zone con eccesso di fertilità - concimazione da parte delle deiezioni bovine) : il "bun marghè" (  "buon margaro") infatti provvedeva a sfalciarlo ed a rimuoverlo in quanto specie non appetita e pericolosa per i capi bovini  ( causa di osteoporosi) per contenerne la diffusione, cosa che invece i "marghè faus" ( "cattivi-falsi margari") si guardavano bene dal fare.  Oggi però, con l'aumento delle dimensioni medie delle aziende zootecniche transumanti ed il conseguente l'aumento del carico animale e dei carichi di lavoro dei conduttori rendono,  sono diventate più difficili sia la gestione delle restituzioni animali , sia la prosecuzione delle "buone pratiche" del passato ( fertirrigazione , sfalcio delle specie indesiderate, sfalcio delle porzioni di pascolo mature per fare scorte di fieno, sradicamento degli arbusti , ricovero in stalle di tutti i capi etc etc ), per cui la distinzione di cui sopra non può più essere applicata "tout court".Cerchiamo di  capire il perchè...

Il concetto di "margaro" nella storia

Il concetto di pastore o margaro ha senza dubbio conosciuto una profonda evoluzione nel corso dei secoli : dai singoli nuclei famigliari che praticavano la transumanza su scala molto più modesta rispetto a quella odierna,  cioè con i loro pochi capi  su zone di "media montagna" strappate al bosco, si è passati agli estesi pascoli comuni medioevali (p.es la zona di cima Mares in Canavese ) ed all'utilizzo costante delle praterie naturali alpine d'alta quota da parte di pastori professionisti ,il cui lavoro era quello di condurre in estate mandrie e greggi costituite dai capi di bestiame a loro affidati dai rispettivi proprietari.
Bovine al pascolo allo stato semibrado
Era infatti necessario, per questi ultimi ( localmente detti "particolari" in riferimento al fatto che non svolgevano prevalentemente l'attività di allevatori ) ,   economizzare le scarse risorse foraggere a loro  disposizione in modo da poter garantire ai loro capi ( solitamente 1 o 2 vacche per nucleo famigliare) cibo per tutto l'anno facendo scorte di fieno durante la bella stagione: di qui la necessità di mandare più in alto almeno una delle due vacche di proprietà.
Così la maggior parte dei margari durante l'estate conduceva mandrie di cui facevano parte molti  capi presi "in fida" da altri proprietari, solitamente in cambio di una forma di toma e di una certa quantità di burro ; nel secondo dopoguerra, con il tramonto dell'economia rurale di sussistenza , si assiste progressivamente al cambio di attività dei "particolari", impiegati in maniera più remunerativa e meno faticosa in altri settori (industria, energia, servizi etc ) ed all'aumento delle dimensioni aziendali sia delle "margarie" , sia delle altre aziende, parzialmente o totalmente stanziali, principalmente per motivi di redditività. 
Le più grandi aziende zootecniche praticanti la transumanza oggi contano circa un centinaio di bovine in produzione, delle  quali  una parte viene condotta in alpeggio per produrre burro e formaggio, mentre l'altra parte rimane stanziale a fondovalle per garantire  continuità nella produzione di latte, essenziale per mantenere la clientela  costituita da caseifici industriali e centrali del latte; altre aziende transumanti, di dimensioni  rilevanti ma minori rispetto alle precedenti,  hanno mantenuto la prevalente vocazione per la produzione di latticini.
Altre aziende sono invece diventate parzialmente stanziali: soltanto i capi non produttivi "salgono" in alpeggio durante la bella stagione; resistono inoltre alcune aziende transumanti "tradizionali"  di piccole dimensioni,  le quali nonostante tutto sembrano garantire ai loro titolari una sufficiente redditività.

Ponte di recente costruzione

Dal Loserai, non prima di aver fatto un breve giro al Pian Drè, seguendo il sentiero segnalato si va ad attraversare  il rio Deserta nei pressi di una passerella in legno di recente costruzione, arrivando nei pascoli dell'alpe Chersun. Prima di buttarci a valle però abbiamo una massiva fioritura da analizzare ( ricordate? ): così riattraversiamo il torrente per raggiungere nuovamente  i paraggi dell'alpe Brengi e, di qui, scendendo più o meno costeggiando il rio Deserta, raggiungiamo il punto localizzato salendo.
Vegeta negli ambienti erbosi e pietrosi umidi
Si tratta di una spettacolare fioritura di Hugueninia tanacetifolia , specie appartenente alla famiglia delle Brassicaceae il cui nome fa riferimento alle foglie, simili a quelle "dell'arquebuse", Tanacetum vulgare.  Si tratta di una specie endemica delle Alpi occidentali , cioè presente esclusivamente in quest'area geografica, dove è comune  ma localizzata negli ambienti erbosi e pietrosi umidi. Non avevo mai incontrato prima una stazione così estesa e così densamente popolata dalla suddetta specie!




L'area su cui insiste tale popolazione è infatti una zona erbosa caratterizzata da elevata pietrosità ed umidità ( siamo nei pressi dell'alveo del rio Deserta), ed anche da una buona fertilità ( siamo nelle pertinenze dell'alpe Brengi ) . Sono presenti infatti altre specie tipiche di queste zone umide: l'imperatoria ( Peucedanum ostruthium ), la felce maschio  ( Dryopteris filix-mas), il Thalictrum aquilegifolium   ; altre specie, come il Geranium pratense  ed il Rumex alpinus sono invece indicatrici di fertilità.
Hugueninia tanacetifolia

 Risolto il caso della fioritura riattraversiamo il rio e cominciamo a scendere decisi verso valle , che la discesa fino a Prà non è poi così' corta. E se vi  abbiamo incuriosito, fatevi un giro nel vallone di Deserta!
Arrivederci ed a presto con le Storie!




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