Premessa
Non ero mai stato sul Gran Paradiso prima: vuoi perché sono un semplice escursionista , vuoi perché l'idea di trovarmi in cima assieme a molte altre persone non mi esaltava, vuoi per una sorta di timore reverenziale verso l'unico 4000 completamente in territorio italiano, che sarebbe stato a tutti gli effetti il mio primo 4000.
La mitica guida del Cai-Tci |
Nella storica guida del Cai-Tci il colle del Gran Paradiso viene descritto come "facile e frequentatissimo valico" ma, come avremo modo di raccontare, le condizioni odierne sono molto diverse rispetto a quei tempi e la zona non è esattamente "frequentatissima".
In questo articolo descriverò la traversata, senza dilungarmi eccessivamente sulla descrizione del vallone di Noaschetta, del quale ho già parlato diffusamente qui , per concentrarmi sulla descrizione dell'itinerario ( riportando in corsivo quello già caricato - sempre dal sottoscritto - su Gulliver ) e delle nostre sensazioni. Oltre a me e Luca, alla spedizione ( termine davvero non esagerato ) ha preso parte anche l'amico Michele mentre Stefano, per motivi di lavoro, ci ha raggiunti direttamente al rifugio Vittorio Emanuele II.
L'itinerario
Sono circa le sei e un quarto del mattino quando, raggiunta in auto Balmarossa
superiore ( frazione di Noasca), parcheggiamo l'auto ed indossiamo zaino e pila frontale. Gli zaini sono abbastanza pesanti poiché, oltre alla necessaria quantità di cibo, bevande, vestiario, materiale di primo soccorso per sopravvivere due giorni in montagna, abbiamo con noi anche tutta l'attrezzatura necessaria per la salita al Gran Paradiso prevista per il giorno successivo: casco, imbragatura, piccozza, ramponi, moschettoni, cordino da ghiaccio; Luca ha inoltre con sé una corda da 20 metri ( che non si sa mai), mentre quella da 60 metri, che peserà almeno tre kg, l'abbiamo affidata a Stefano, che ci raggiungerà la sera al Vittorio Emanuele. Anche la corda da 20 metri pesa comunque un bel chilo, ed ogni chilo in più lo senti quando devi camminare per tanti km ( non sappiamo di preciso, ma saranno sicuramente più di 20) con quelli che sulla carta sono 1945 metri di dislivello positivo, ma Luca la trasporterà stoicamente per tutta la giornata senza lamentarsi e rifiutando gentilmente qualunque proposta di cambio.
"Dalla piazzetta alla fine della strada asfaltata scendere a destra
(indicazioni per il rifugio Noaschetta) ed attraversare il torrente
Ciamosseretto su di una passerella in legno; il sentiero sale ora in un bosco
di conifere, fino ad immettersi nel sentiero che da Noasca sale al Gran Piano
(bivio, prendere la diramazione in salita)."
La borgata Sassa di notte |
"Al bivio successivo scendere a
destra per imboccare il sentiero attrezzato "corto" ( facile) per il
rifugio Noaschetta il quale, superando tramite cenge alcune pareti rocciose,
conduce in breve nei pressi di un piccolo bosco di betulle visibile alla vostra
destra; senza raggiungerlo continuare a salire ignorando la diramazione di
destra per il rifugio."
Le Levanne all'alba |
A dirla tutta abbiamo un altro ottimo motivo per dosare le energie, e cioè l'idea di salire, in caso condizioni di visibilità ed orologio lo consentano, dal colle del Gran Paradiso fino alla Tresenta per la cresta NNE, per poi scendere dal versante nord direttamente sul rifugio Vittorio Emanuele . Quando mai ci ricapiterà di averla così a tiro? Questa è anche la ragione per la quale abbiamo scelto di raggiungere il colle non passando dal bivacco Ivrea e dunque dal vallone del Gias della Losa ( itinerario relativamente più frequentato) ma dal vallone di Goui, in quanto percorso più veloce e diretto e ghiotta occasione, almeno per il sottoscritto, di ficcare il naso in un angolo ancora sconosciuto.
Il giorno appare e la notte scompare mentre percorriamo il sentiero attrezzato, reso oggi davvero facile grazie al grande lavoro di manutenzione e miglioria portato avanti negli anni dal Cai di Rivarolo Canavese.
"Dopo aver superato una pietraia,
il sentiero va a congiungersi con la mulattiera per l'alpe Bruna ( indicazioni
per il Bivacco Ivrea) che passa al di sopra del rifugio Noaschetta,
raggiungendo dapprima il casotto Pngp dell'alpe Arculà, poi i pianori dell'alpe
Bruna e dell'alpe Bruna superiore fino ad arrivare ai bordi del lungo pian di
Goi."
Il sole spunta dalla bocchetta di Drosa |
Mentre saliamo verso l'Arculà il sole, come sempre, comincia a fare capolino dalla bocchetta di Drosa e Luca, che ha un pò il "mal della pietra" ( nel senso che è appassionato di arrampicata), non può fare a meno di notare le imponenti pareti del Monte Castello; quando poi dal casotto Pngp, dopo una breve pausa ristoratrice e di rifornimento idrico, proseguiamo verso la Bruna, saranno le rossastre ed imponenti Torri del Blanc Giuir a catturare la sua attenzione. Purtroppo, prima sfortuna di giornata, non facciamo in tempo ad arrivare in vista dei pianori della Bruna, laddove comincia lo spettacolo dello splendido colpo d'occhio offerto dal versante sud del gruppo del Gran Paradiso, che delle nuvole basse lo coprono, privandoci del piacere e del sollievo che ne derivano ( quando c'è un bel panorama si cammina più volentieri e si sente meno la fatica...forse).
Le Torri del Blanc Giuir incombono sui pianori della Bruna inferiore |
"Arrivati a questo punto occorre
abbandonare la traccia per il bivacco Ivrea e costeggiare il lungo pianoro
sulla destra idrografica percorrendo i resti della mulattiera reale di caccia.
Verso la fine del pianoro la
mulattiera comincia a salire verso destra arrivando con alcune svolte nella
conca del piccolo laghetto di Goi.
Senza raggiungere il lago ( che
lascia alla sua destra), la mulattiera attraversa un piccolo torrente e
comincia a risalire la morena frontale del ghiacciaio di Goi, sul versante
destro idrografico del vallone, dove si perde."
Il lungo pian di Goi in versione tardoestiva |
La conca ove si trova il piccolo lago di Goi |
L'ambiente cambia. In primo piano: fioritura di Adenostyles leucophylla |
Il vallone in questo punto si restringe decisamente, chiuso alla nostra sinistra dalle imponenti pareti della cresta divisoria Noaschetta -Ciamousseretto, che origina dalla Tresenta, ed alla nostra destra dalla spartiacque Goui-Gias della Losa. che origina dalla Punta Ceresole.
Man mano che saliamo, ad intermittenza le nubi lasciano intravedere più o meno completamente la forma triangolare della Tresenta, sempre più vicina, mentre ancora non è visibile il colle, decisamente più spostato sulla destra.
La vegetazione scompare, mentre sulla nostra sinistra diventano visibili i resti del ghiacciaio di Goi, oggi ridotto ad una stretta lingua a ridosso dello spartiacque Noaschetta-Ciamosseretto; qua è là sono presenti nevai di varie dimensioni e non è raro constatare la presenza, al di sotto di pietre e massi, di vero e proprio ghiaccio nero, mentre al centro del vallone continua a scorrere impetuoso il torrente principale.
L'assenza di ometti e di qualunque traccia di passaggio, l'aspetto severo e primordiale dell'ambiente circostante, sono la prova inconfutabile che ormai da queste parti raramente l'uomo mette piede ( salvo forse i guardaparco dell'Arculà).
Le nubi basse vanno e vengono e, come in un gioco di prestigio, ci mostrano e ci nascondono l'azzurro intenso del cielo e le cime circostanti, riducendo la visibilità ed aumentando l'alone di mistero e di incognito che sembrano pervadere tutto ciò che ci circonda.
La consapevolezza di procedere in un ambiente dimenticato e profondamente mutato rispetto alle vecchie relazioni alpinistiche che lo descrivevano è particolarmente stimolante e ci fa sentire come degli esploratori di fronte ad un territorio vergine , completamente liberi di scegliere la nostra strada e, onori ed oneri, pienamente responsabili della riuscita della traversata.
La vegetazione scompare e la Tresenta ad intermittenza |
"Continuare a salire sulla sx idrografica del vallone di Goi fino ad una quota di 3050 m circa; arrivati a questo punto occorre attraversare il rio centrale per superare con alcune svolte, prima a destra, poi a sinistra, infine di nuovo verso destra e sempre sulla dx idrografica del vallone un sistema di piccole pareti rocciose che sembra sbarrare il passo (la traccia segnata sulla cartina MU in questo tratto è approssimativa - errata a giudizio di chi scrive). Anche la traccia indicata sulla vecchia cartina 1:25.000 dell'Igm, con ogni probabilità retaggio del tempo in cui queste superfici erano occupate dal ghiacciaio, è poco verosimile nelle condizioni odierne."
Ci siamo solo noi e la montagna, ed ecco che la montagna ci mette per la prima volta seriamente alla prova: arrivati ad una quota di 3050 m circa ci troviamo di fronte ad un bel rebus: a sinistra come a destra pareti di roccia di varia altezza sembrano sbarrare il passo, e l'unica possibilità di salita sembra essere quella di costeggiare ripidamente le pareti della divisoria Noaschetta-Ciamosseretto per poi raggiungere i resti del ghiacciaio di Goi. Si tratta tuttavia di una soluzione che scartiamo subito, e questo per almeno tre motivi: il pericolo di caduta pietre, la ripidezza del percorso e la più che probabile presenza di ghiaccio nero nascosto.
Un bel rebus... |
A questo punto Luca, che come abbiamo detto soffre di "mal della pietra" , propone di andare ad osservare più da vicino le pareti rocciose poste in alto sulla nostra destra, che paiono di roccia migliore e potrebbero essere una via d'uscita nel caso fossero superabili con elementare arrampicata. Arrivati ai piedi delle suddette pareti, mentre studiamo il da farsi, ecco che rivolgendo nuovamente lo sguardo sulla dx idrografica del vallone diventa chiaramente visibile la soluzione del rebus , a dimostrazione del fatto che in montagna è sempre molto utile poter osservare le cose dell'alto.
Ritorniamo così sui nostri passi e intraprendiamo esattamente il percorso appena individuato a distanza con successo...
La soluzione del rebus |
"Giunti al ripiano superiore, continuare a salire per pietre e sfasciumi a modesta pendenza in direzione dell'evidente depressione occupata dal colle, ai piedi della becca di Moncorvè, lasciando in basso a destra il piccolo ghiacciaio occidentale di Noaschetta, al cui bordo meridionale è presente un piccolo lago di fusione."
Il ghiacciaio occidentale di Noaschetta con il piccolo lago di fusione |
Finalmente al colle del Gran Paradiso |
Panorama dal colle verso Valsavarenche e Val di Rhemes |
"Dal colle scendere direttamente
per ripidi sfasciumi lungo una piccola traccia che dopo pochi metri di
dislivello ed alcune svolte si perde in corrispondenza di un marcato cambio di
pendenza, dove inizia la parte più delicata del percorso, circa 40 metri di
dislivello di sfasciumi ripidissimi ed instabili.
Per superare questo tratto
occorre scendere con estrema attenzione, sfruttando gli affioramenti rocciosi
presenti ed i massi stabili; questo tratto è soggetto a continuo
rimaneggiamento a causa della caduta di terra e pietre; valutare la possibilità
di fare una calata."
E così, dopo alcune svolte, eccolo lì servito il "cambio di pendenza": un muro quasi verticale di sfasciumi instabili, che cominciamo a scendere con la massima cautela, procedendo molto lentamente e saggiando attentamente ogni tratto del percorso, ogni masso, spostandoci ora verso destra, ora verso sinistra, in qualche caso anche costretti a tornare sui nostri passi per cambiare il percorso di discesa.
Continuiamo ad essere soli, noi e la montagna: solo una femmina di stambecco ci osserva incuriosita dalla cresta della Tresenta , mentre per la seconda volta le nostre capacità saranno messe a dura prova.
Arrivato agli ultimi metri del muro mi blocco, non riesco a trovare un punto nel quale scendere sentendomi sicuro: provo a sinistra, a destra ed al centro ma ogni volta faccio dietrofront tornando al precedente punto di "sosta". E' davvero sconfortante trovarsi in una simile impasse quando ormai manca poco all'obiettivo!
Per fortuna Luca riesce a trovare una soluzione, una chiave ed arriva al termine del "muro" ma io, ancora un pò suggestionato dai precedenti fallimenti, non riesco immediatamente a seguire le sue orme e lascio passare prima Michele, che scende senza particolari problemi, dopodiché anch'io riesco finalmente a convincermi che quello è il percorso più semplice ed a lasciarmi un pò andare.
Non facciamo in tempo a tirare un sospiro di sollievo che ci ritroviamo di fronte ad una terza prova, sempre soli, noi e la montagna.
"Pochi metri più in basso si raggiungono i resti del ghiacciaio di Moncorvè, che a fine stagione richiedono l'utilizzo di ramponi e piccozza, seppur per un breve tratto."
L'asettica descrizione che ho messo su Gulliver non rende bene l'idea delle particolari condizioni che abbiamo trovato quel giorno: ghiaccio nero durissimo, con tanto di crepaccia terminale impossibile da valutare a distanza.
E così ci tocca calzare i ramponi; io e Michele, a differenza di Luca, per maggior sicurezza decidiamo di usare anche la piccozza, ma sarà una sicurezza più psicologica che altro, visto che il ghiaccio è talmente duro che soltanto i ramponi tengono , mentre la picca non si riesce assolutamente a piantare!
In fondo a destra, in direzione becca di Moncorvè, la crepaccia terminale si restringe fin quasi a scomparire, ragion per cui Luca inizia un traverso in quella direzione sui resti del ghiacciaio e noi lo seguiamo a ruota. Si tratta di un traverso breve ma faticosissimo, con i muscoli delle gambe tesi allo spasmo per mantenere l'equilibrio, legato alla piccola presa che i ramponi riescono ad avere sul durissimo ghiaccio. Procedendo con estrema attenzione ed avendo cura di evitare i punti più ripidi e\o dove il ghiaccio è praticamente vetro , riusciamo infine a portarci nella morena sottostante i resti del ghiacciaio. Ormai è fatta: non ci resta che scendere fino a raccordarci alla traccia che sale dal rifugio Vittorio alla Tresenta lungo la frequentata parete N, la via normale.
"Togliere i ramponi e scendere lungo il vallone fino ad incrociare la traccia della normale della Tresenta e seguirla fino al rifugio Vittorio Emanuele seguendo i numerosi ometti".
E così noi facciamo. Mentre scendiamo, ormai passeggiando, ometto per ometto, io emetto una drastica sentenza per quel che mi riguarda: "In montagna si va per divertirsi, non per patire le pene dell'inferno. L'alpinismo non fa per me: lunedì vendo tutta l'attrezzatura".
Quando ormai manca poco al rifugio si schiude davanti a noi lo spettacolo del Ciarforon e della Becca di Monciair e dei Denti del Broglio, poi finalmente arriviamo, giusto 5 minuti prima di Stefano, salito nel pomeriggio da Pont Valsavarenche: "siete arrivati solo adesso ?" "Si" "Miseria!". Eh si, perché alla fine il gps è chiaro: 23 km e 2300 m di dislivello, di cui almeno 700-800 assolutamente non banali, almeno non a fine stagione.
Così, ancor prima di posare l'attrezzatura e di prendere possesso della stanza, ci gustiamo 4 meritate birre bionde ( medie, naturalmente) nel "dehor" del rifugio. Mentre ricostruiamo a mente fredda gli eventi della giornata, a Stefano sorgono spontanei alcuni interrogativi : "Luca, la rifaresti? " "mmm non so" " Michele? " "mmm ,," "Marco ? " " mmm non so... si... cioè Luca, se me lo chiedi tu torno altre cento volte, è stata davvero una bella esperienza" " Ma Luca non te lo chiederà, quindi..." " E chi lo sa...magari in un'altra stagione, con un pò di neve a scendere dal colle".
E giocoforza mi viene chiesto conto della mia precedente, drastica sentenza: "allora, vendi l'attrezzatura? " " Mmm, mah ,aspettiamo domani al Gran Paradiso a vedere come va" "Aaaah !"
Si è ormai fatta ora di cena, ragion per cui andiamo a posare l'attrezzatura ed a prendere possesso della stanza: domani mattina ci aspetta il Gran Paradiso.
Ma di questo parleremo in una prossima puntata! Arrivederci ed a presto con le Storie!
In questa foto sono ben evidenti il cambio di pendenza ed i resti del ghiacciaio di Moncorvè |
E così, dopo alcune svolte, eccolo lì servito il "cambio di pendenza": un muro quasi verticale di sfasciumi instabili, che cominciamo a scendere con la massima cautela, procedendo molto lentamente e saggiando attentamente ogni tratto del percorso, ogni masso, spostandoci ora verso destra, ora verso sinistra, in qualche caso anche costretti a tornare sui nostri passi per cambiare il percorso di discesa.
Continuiamo ad essere soli, noi e la montagna: solo una femmina di stambecco ci osserva incuriosita dalla cresta della Tresenta , mentre per la seconda volta le nostre capacità saranno messe a dura prova.
Arrivato agli ultimi metri del muro mi blocco, non riesco a trovare un punto nel quale scendere sentendomi sicuro: provo a sinistra, a destra ed al centro ma ogni volta faccio dietrofront tornando al precedente punto di "sosta". E' davvero sconfortante trovarsi in una simile impasse quando ormai manca poco all'obiettivo!
Per fortuna Luca riesce a trovare una soluzione, una chiave ed arriva al termine del "muro" ma io, ancora un pò suggestionato dai precedenti fallimenti, non riesco immediatamente a seguire le sue orme e lascio passare prima Michele, che scende senza particolari problemi, dopodiché anch'io riesco finalmente a convincermi che quello è il percorso più semplice ed a lasciarmi un pò andare.
Non facciamo in tempo a tirare un sospiro di sollievo che ci ritroviamo di fronte ad una terza prova, sempre soli, noi e la montagna.
"Pochi metri più in basso si raggiungono i resti del ghiacciaio di Moncorvè, che a fine stagione richiedono l'utilizzo di ramponi e piccozza, seppur per un breve tratto."
Salve, Ciarforon! |
L'asettica descrizione che ho messo su Gulliver non rende bene l'idea delle particolari condizioni che abbiamo trovato quel giorno: ghiaccio nero durissimo, con tanto di crepaccia terminale impossibile da valutare a distanza.
E così ci tocca calzare i ramponi; io e Michele, a differenza di Luca, per maggior sicurezza decidiamo di usare anche la piccozza, ma sarà una sicurezza più psicologica che altro, visto che il ghiaccio è talmente duro che soltanto i ramponi tengono , mentre la picca non si riesce assolutamente a piantare!
In fondo a destra, in direzione becca di Moncorvè, la crepaccia terminale si restringe fin quasi a scomparire, ragion per cui Luca inizia un traverso in quella direzione sui resti del ghiacciaio e noi lo seguiamo a ruota. Si tratta di un traverso breve ma faticosissimo, con i muscoli delle gambe tesi allo spasmo per mantenere l'equilibrio, legato alla piccola presa che i ramponi riescono ad avere sul durissimo ghiaccio. Procedendo con estrema attenzione ed avendo cura di evitare i punti più ripidi e\o dove il ghiaccio è praticamente vetro , riusciamo infine a portarci nella morena sottostante i resti del ghiacciaio. Ormai è fatta: non ci resta che scendere fino a raccordarci alla traccia che sale dal rifugio Vittorio alla Tresenta lungo la frequentata parete N, la via normale.
"Togliere i ramponi e scendere lungo il vallone fino ad incrociare la traccia della normale della Tresenta e seguirla fino al rifugio Vittorio Emanuele seguendo i numerosi ometti".
Salve, Becca di Monciair! |
Quando ormai manca poco al rifugio si schiude davanti a noi lo spettacolo del Ciarforon e della Becca di Monciair e dei Denti del Broglio, poi finalmente arriviamo, giusto 5 minuti prima di Stefano, salito nel pomeriggio da Pont Valsavarenche: "siete arrivati solo adesso ?" "Si" "Miseria!". Eh si, perché alla fine il gps è chiaro: 23 km e 2300 m di dislivello, di cui almeno 700-800 assolutamente non banali, almeno non a fine stagione.
Finalmente il rifugio Vittorio Emanuele II |
E giocoforza mi viene chiesto conto della mia precedente, drastica sentenza: "allora, vendi l'attrezzatura? " " Mmm, mah ,aspettiamo domani al Gran Paradiso a vedere come va" "Aaaah !"
Si è ormai fatta ora di cena, ragion per cui andiamo a posare l'attrezzatura ed a prendere possesso della stanza: domani mattina ci aspetta il Gran Paradiso.
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