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domenica 2 ottobre 2016

Escursioni d'altri tempi - traversata da Noasca al Rifugio Vittorio Emanuele II per il colle del Gran Paradiso dal vallone di Goui o di Goi

Premessa

Non ero mai stato sul Gran Paradiso prima: vuoi perché sono un semplice escursionista , vuoi perché l'idea di trovarmi in cima assieme a molte altre persone non mi esaltava, vuoi per una sorta di timore reverenziale verso l'unico 4000 completamente in territorio italiano, che sarebbe stato a tutti gli effetti il mio primo 4000.
La mitica guida del Cai-Tci
Tuttavia l'idea dell'amico Luca  ( che sul Grampa c'era già stato) di tornarci passando dalla nostra parte ( valle Orco) a settembre , magari partendo da Noasca, mi ha trovato immediatamente concorde. Ovviamente la sua proposta non era quella di affrontare la mitica via Vaccarone ( decisamente al di sopra delle mie capacità), ma di fare  il primo giorno la traversata al rifugio Vittorio Emanuele per il colle del Gran Paradiso, ed il secondo giorno salire in cima. Era infatti da tempo che avevo nel mirino di salire al colle del Gran Paradiso, se non altro per salire fino in fondo all'amato vallone di Noaschetta: era decisamente un'offerta che non si poteva rifiutare.
Nella storica guida del Cai-Tci il colle del Gran Paradiso viene descritto come "facile e frequentatissimo valico" ma, come avremo modo di raccontare, le condizioni odierne sono molto diverse rispetto a quei tempi e la zona non è esattamente "frequentatissima".
In questo articolo descriverò la traversata, senza dilungarmi eccessivamente sulla descrizione del vallone di Noaschetta, del quale ho già parlato diffusamente qui  , per concentrarmi sulla descrizione dell'itinerario ( riportando in corsivo quello già caricato - sempre dal sottoscritto - su Gulliver ) e delle nostre sensazioni. Oltre a me e Luca, alla spedizione ( termine davvero non esagerato ) ha preso parte anche l'amico Michele mentre Stefano, per motivi di lavoro, ci ha raggiunti direttamente al rifugio Vittorio Emanuele II.


L'itinerario

Sono circa le sei e un quarto del mattino quando, raggiunta  in auto  Balmarossa superiore ( frazione di Noasca),  parcheggiamo l'auto ed indossiamo zaino e pila frontale. Gli zaini sono abbastanza pesanti poiché,  oltre alla necessaria quantità di cibo, bevande, vestiario, materiale di primo soccorso per sopravvivere due giorni in montagna,  abbiamo con noi anche tutta l'attrezzatura  necessaria per la salita al Gran Paradiso prevista per il giorno successivo: casco, imbragatura, piccozza, ramponi, moschettoni, cordino da ghiaccio; Luca ha inoltre con sé una corda da 20 metri ( che non si sa mai), mentre quella da 60 metri, che peserà almeno tre kg, l'abbiamo affidata a Stefano, che ci raggiungerà la sera al Vittorio Emanuele. Anche la corda da 20 metri pesa comunque un bel chilo, ed ogni chilo in più lo senti quando devi camminare per tanti km  ( non sappiamo di preciso, ma saranno sicuramente più di  20) con quelli che sulla carta sono 1945 metri di dislivello positivo, ma Luca la trasporterà stoicamente per tutta la giornata senza lamentarsi e rifiutando gentilmente qualunque proposta di cambio.

"Dalla piazzetta alla fine della strada asfaltata scendere a destra (indicazioni per il rifugio Noaschetta) ed attraversare il torrente Ciamosseretto su di una passerella in legno; il sentiero sale ora in un bosco di conifere, fino ad immettersi nel sentiero che da Noasca sale al Gran Piano (bivio, prendere la diramazione in salita)."

La borgata Sassa di notte
E' sempre emozionante cominciare a camminare anticipando l'alba; questa poi è una notte serena, la temperatura è ottima e siamo tutti molto "presi bene" al pensiero della splendida due giorni che ci aspetta, ragion per cui saliamo in allegria, con intenso chiacchiericcio ma con passo regolare: dobbiamo dosare le energie, perché si, oggi è la giornata più lunga, ma domani c'è la quota, e quella non perdona e sappiamo bene che una stanchezza eccessiva può favorire l'insorgere dei sintomi del mal di montagna anche in soggetti che normalmente non ne soffrono.

"Al bivio successivo scendere a destra per imboccare il sentiero attrezzato "corto" ( facile) per il rifugio Noaschetta il quale, superando tramite cenge alcune pareti rocciose, conduce in breve nei pressi di un piccolo bosco di betulle visibile alla vostra destra; senza raggiungerlo continuare a salire ignorando la diramazione di destra per il rifugio."

Le Levanne all'alba

A dirla tutta abbiamo un altro ottimo motivo per dosare le energie, e cioè l'idea di salire, in caso condizioni di visibilità ed orologio lo consentano, dal colle del Gran Paradiso fino alla Tresenta per la cresta NNE, per poi scendere dal versante nord direttamente sul rifugio Vittorio Emanuele .  Quando mai ci ricapiterà di averla così a tiro? Questa è anche la ragione per la quale abbiamo scelto di raggiungere il colle non passando dal bivacco Ivrea e dunque dal vallone del Gias della Losa ( itinerario relativamente più frequentato)  ma dal vallone di Goui, in quanto percorso più veloce e diretto e ghiotta occasione, almeno per il sottoscritto, di ficcare il naso in un angolo ancora sconosciuto.
Il giorno appare e la notte scompare mentre percorriamo il sentiero attrezzato, reso oggi davvero facile grazie al grande lavoro di manutenzione e miglioria portato avanti negli anni dal Cai di Rivarolo Canavese.

"Dopo aver superato una pietraia, il sentiero va a congiungersi con la mulattiera per l'alpe Bruna ( indicazioni per il Bivacco Ivrea) che passa al di sopra del rifugio Noaschetta, raggiungendo dapprima il casotto Pngp dell'alpe Arculà, poi i pianori dell'alpe Bruna e dell'alpe Bruna superiore fino ad arrivare ai bordi del lungo pian di Goi."

Il sole spunta dalla bocchetta di Drosa

Mentre saliamo verso l'Arculà il sole, come sempre, comincia  a fare capolino dalla bocchetta di Drosa e Luca, che ha un pò il "mal della pietra" ( nel senso che è appassionato di arrampicata), non può fare a meno di notare le imponenti pareti del Monte Castello; quando poi dal casotto Pngp, dopo una breve pausa ristoratrice e di rifornimento idrico, proseguiamo verso la Bruna, saranno le rossastre ed imponenti Torri del Blanc Giuir a catturare la sua attenzione. Purtroppo, prima sfortuna di giornata, non facciamo in tempo ad arrivare in vista dei pianori della Bruna, laddove comincia lo spettacolo dello splendido colpo d'occhio offerto dal versante sud del gruppo del Gran Paradiso,  che delle nuvole basse lo coprono, privandoci del piacere e del sollievo che ne derivano ( quando c'è un bel panorama si cammina più volentieri e si sente meno la fatica...forse).
Le Torri del Blanc Giuir incombono sui pianori della Bruna inferiore

"Arrivati a questo punto occorre abbandonare la traccia per il bivacco Ivrea e costeggiare il lungo pianoro sulla destra idrografica percorrendo i resti della mulattiera reale di caccia.
Verso la fine del pianoro la mulattiera comincia a salire verso destra arrivando con alcune svolte nella conca del piccolo laghetto di Goi.
Senza raggiungere il lago ( che lascia alla sua destra), la mulattiera attraversa un piccolo torrente e comincia a risalire la morena frontale del ghiacciaio di Goi, sul versante destro idrografico del vallone, dove si perde."

Il lungo pian di Goi in versione tardoestiva
Come quando Sam nel Signore degli Anelli si ferma e dice a Frodo, più o meno, " non sono mai stato così lontano da casa", così io dico agli altri : " non sono mai stato oltre il lago di Goi". In me però, a differenza del co-protagonista del celebre romanzo,  non vi è alcuna traccia di tristezza o paura,anzi: mi sento come un bambino che hanno portato al negozio di giocattoli! Va detto però che gli Hobbit avevano alle calcagna i  Nazgul e chissà quali altre oscure creature che li volevano catturare \ uccidere e noi no.
La conca ove  si trova il piccolo lago di Goi
E' proprio nei pressi del piccolo lago di Goi che ci concediamo un'altra breve pausa ristoratrice, consapevoli del fatto che da qui in poi non ci sarà più alcuna traccia da seguire, forse solo qualche raro ometto. Risaliti i resti della mulattiera reale fino al suo termine, salutiamo gli ultimi lembi di "verde" per proseguire fino alla sommità della morena frontale del ghiacciaio di Goi, dove troveremo un ometto, che sarà anche l'ultimo sul versante piemontese. Qui il paesaggio cambia radicalmente: ci troviamo ora in un ambiente prettamente roccioso, punteggiato qua e là dalla massiccia fioritura di Adenostyles leucophylla, volgarmente detta cavolaccio lanoso e dalla presenza di altre specie vegetali del piano nivale, ormai in grado di colonizzare queste superfici  da decenni abbandonate dal ghiacciaio di Goi, che un tempo le occupava completamente ,  risultando di fatto senza soluzioni di continuità rispetto al soprastante ghiacciaio di Noaschetta.
L'ambiente cambia. In primo piano: fioritura di Adenostyles leucophylla
Il vallone in questo punto si restringe decisamente,  chiuso alla nostra sinistra dalle imponenti pareti della cresta divisoria Noaschetta -Ciamousseretto, che origina dalla Tresenta, ed alla nostra destra dalla spartiacque Goui-Gias della Losa. che origina dalla Punta Ceresole
Man mano che saliamo, ad intermittenza le nubi lasciano intravedere più o meno completamente la forma triangolare della Tresenta, sempre più vicina, mentre ancora non è visibile il colle, decisamente più spostato sulla destra. 
La vegetazione scompare, mentre sulla nostra sinistra diventano visibili i resti del ghiacciaio di Goi, oggi ridotto ad una stretta lingua a ridosso dello spartiacque Noaschetta-Ciamosseretto; qua è là sono presenti nevai di varie dimensioni e non è raro constatare la presenza, al di sotto di pietre e massi, di vero e proprio ghiaccio nero, mentre al centro del vallone continua a scorrere impetuoso il torrente principale.
L'assenza di ometti e di qualunque traccia di passaggio,  l'aspetto severo e primordiale dell'ambiente circostante, sono la prova inconfutabile che ormai da queste parti raramente l'uomo mette piede ( salvo forse i guardaparco dell'Arculà). 
Le nubi basse  vanno e vengono   e, come in un gioco di prestigio, ci mostrano e ci nascondono l'azzurro intenso del cielo e le cime circostanti, riducendo la visibilità ed aumentando l'alone di mistero e di incognito che sembrano pervadere tutto ciò che ci circonda.
La consapevolezza di procedere in un ambiente dimenticato e profondamente mutato rispetto alle vecchie relazioni alpinistiche che lo descrivevano è particolarmente stimolante e ci fa sentire come degli esploratori di fronte ad un territorio vergine , completamente liberi di scegliere la nostra strada e, onori ed oneri, pienamente responsabili della riuscita della traversata
La vegetazione scompare e la Tresenta ad intermittenza

"Continuare a salire sulla sx idrografica del vallone di Goi fino ad una quota di 3050 m circa; arrivati a questo punto occorre attraversare il rio centrale per superare con alcune svolte, prima a destra, poi a sinistra, infine di nuovo verso destra e sempre sulla dx idrografica del vallone un sistema di piccole pareti rocciose che sembra sbarrare il passo (la traccia segnata sulla cartina MU in questo tratto è approssimativa - errata a giudizio di chi scrive). Anche la traccia indicata sulla vecchia cartina 1:25.000 dell'Igm, con ogni probabilità retaggio del tempo in cui queste superfici erano occupate dal ghiacciaio, è poco verosimile nelle condizioni odierne."


Ci siamo solo noi e la montagna, ed ecco che la montagna ci mette per la prima volta seriamente alla prova: arrivati ad una quota di 3050 m circa ci troviamo di fronte ad un bel rebus: a sinistra come a destra pareti di roccia di varia altezza sembrano sbarrare il passo, e l'unica possibilità di salita sembra essere quella di costeggiare ripidamente le pareti della divisoria Noaschetta-Ciamosseretto per  poi raggiungere i resti del ghiacciaio di Goi. Si tratta tuttavia di una soluzione che scartiamo subito, e questo per almeno tre motivi: il pericolo di caduta pietre, la ripidezza del percorso e la più che probabile presenza di ghiaccio nero nascosto.
Un bel rebus...

















A questo punto Luca, che come abbiamo detto soffre di "mal della pietra" , propone di andare ad osservare più da vicino le pareti rocciose poste in alto sulla nostra destra, che paiono di roccia migliore e potrebbero essere una via d'uscita nel caso fossero superabili con elementare arrampicata. Arrivati ai piedi delle suddette pareti, mentre studiamo il da farsi, ecco che rivolgendo nuovamente lo sguardo sulla dx idrografica del vallone diventa chiaramente visibile la soluzione del rebus , a dimostrazione del fatto che  in montagna è sempre molto utile poter osservare le cose dell'alto.
Ritorniamo così sui nostri passi e intraprendiamo esattamente il percorso appena individuato a distanza con successo...

La soluzione del rebus

"Giunti al ripiano superiore, continuare a salire per pietre e sfasciumi a modesta pendenza in direzione dell'evidente depressione occupata dal colle, ai piedi della becca di Moncorvè, lasciando in basso a destra il piccolo ghiacciaio occidentale di Noaschetta, al cui bordo meridionale è presente un piccolo lago di fusione."

Il ghiacciaio occidentale di Noaschetta con il piccolo lago di fusione

Finalmente al colle del Gran Paradiso
E così siamo arrivati a metà del lavoro: abbiamo raggiunto il colle del Gran Paradiso, 3345 m , dominato ad ovest dalla Tresenta ed ad est dalle pareti della becca di Moncorvè. Orologio e visibilità non ci consentono di salire  la Tresenta, ragion per cui decidiamo di pranzare con calma sul colle, onde poter meglio affrontare la discesa che sappiamo essere non banale, come ci aveva spiegato la guida alpina Stefano dalla Gasperina. Dal colle si gode davvero di un ottimo panorama ( benché oggi si presenti disturbato dalle nuvole)  sulle montagne circostanti, ed in particolare su quelle della Valsavarenche e della Val di Rhemes; e  riconoscere tra queste il Taou Blanc, il ghiacciaio dell'Aouille la Basei, la cime d'Entrelor  e via discorrendo, a noi così famigliari , è un vero piacere, è quasi come sentirci al Nivolet, a due passi da casa.
Panorama dal colle verso Valsavarenche e Val di Rhemes
Mentre mangiamo cominciamo ad osservare la discesa che ci aspetta ed i primi metri sembrano incoraggianti: ripidi ma solcati dagli stretti tornanti di una traccia ( "incredibile, una traccia! evidentemente dal versante valdostano il colle è più frequentato") . Peccato che appena più in basso il pendio "scompaia": di sicuro ci sarà un cambio di pendenza od un piccolo salto, ma se c'è una traccia siamo a cavallo. In ogni caso è inutile fasciarsi la testa anzitempo, visto che da lì dovremo pur scendere in qualche modo: "non basta guardare, bisogna andare" !

"Dal colle scendere direttamente per ripidi sfasciumi lungo una piccola traccia che dopo pochi metri di dislivello ed alcune svolte si perde in corrispondenza di un marcato cambio di pendenza, dove inizia la parte più delicata del percorso, circa 40 metri di dislivello di sfasciumi ripidissimi ed instabili.
Per superare questo tratto occorre scendere con estrema attenzione, sfruttando gli affioramenti rocciosi presenti ed i massi stabili; questo tratto è soggetto a continuo rimaneggiamento a causa della caduta di terra e pietre; valutare la possibilità di fare una calata."

In questa foto sono ben evidenti il cambio di pendenza ed i resti del ghiacciaio di Moncorvè

E così, dopo alcune svolte, eccolo lì servito il "cambio di pendenza": un muro quasi verticale di sfasciumi instabili, che cominciamo a scendere con la massima cautela, procedendo molto lentamente e saggiando attentamente ogni tratto del percorso, ogni masso, spostandoci ora verso destra, ora verso sinistra, in qualche caso anche costretti a tornare sui nostri passi per cambiare il percorso di discesa.
Continuiamo ad essere soli, noi e la montagna: solo una femmina di stambecco ci osserva incuriosita dalla cresta della Tresenta , mentre per la seconda volta le nostre capacità saranno messe a dura prova.
Arrivato agli ultimi metri del muro mi blocco, non riesco a trovare un punto nel quale scendere sentendomi sicuro: provo a sinistra, a destra ed al centro ma ogni volta faccio dietrofront tornando al precedente punto di "sosta".  E' davvero sconfortante trovarsi in una simile impasse quando ormai manca poco all'obiettivo!
Per fortuna Luca riesce a trovare una soluzione, una chiave ed arriva al termine del "muro" ma io, ancora un pò suggestionato dai precedenti fallimenti, non riesco immediatamente a seguire le sue orme e lascio passare prima Michele, che scende senza particolari problemi, dopodiché anch'io riesco finalmente a convincermi che quello è il percorso più semplice ed a lasciarmi un pò andare.
Non facciamo in tempo a tirare un sospiro di sollievo che ci ritroviamo di fronte ad una terza prova, sempre soli, noi e la montagna.

"Pochi metri più in basso si raggiungono i resti del ghiacciaio di Moncorvè, che a fine stagione richiedono l'utilizzo di ramponi e piccozza, seppur per un breve tratto."
Salve, Ciarforon!

L'asettica descrizione che ho messo su Gulliver non rende bene l'idea delle particolari condizioni che abbiamo trovato quel giorno:  ghiaccio nero durissimo,  con tanto di crepaccia terminale impossibile  da valutare a distanza. 
E così ci tocca calzare i ramponi; io e Michele, a differenza di Luca,  per maggior sicurezza decidiamo di usare anche la piccozza, ma sarà una sicurezza più psicologica che altro, visto che il ghiaccio è talmente duro che soltanto i ramponi tengono , mentre la picca non si riesce assolutamente a piantare!
In fondo a destra, in direzione becca di Moncorvè, la crepaccia terminale si restringe fin quasi a scomparire, ragion per cui Luca inizia un traverso in quella direzione sui resti del ghiacciaio e noi lo seguiamo a ruota. Si tratta di un traverso breve ma faticosissimo, con i muscoli delle gambe tesi allo spasmo per mantenere l'equilibrio, legato alla piccola presa che i ramponi riescono ad avere sul durissimo ghiaccio. Procedendo con estrema attenzione ed avendo cura di evitare i punti più ripidi e\o dove il ghiaccio è praticamente vetro , riusciamo infine a portarci nella morena sottostante i resti del ghiacciaio. Ormai è fatta:  non ci resta che scendere fino a raccordarci alla traccia che sale dal rifugio Vittorio alla Tresenta lungo la frequentata parete N, la via normale.

"Togliere i ramponi e scendere lungo il vallone fino ad incrociare la traccia della normale della Tresenta e seguirla fino al rifugio Vittorio Emanuele seguendo i numerosi ometti".

Salve, Becca di Monciair! 
E così noi facciamo. Mentre scendiamo, ormai passeggiando, ometto per ometto, io emetto una drastica sentenza per quel che  mi riguarda: "In montagna si va per divertirsi, non per patire le pene dell'inferno. L'alpinismo non fa per me: lunedì vendo tutta l'attrezzatura".
Quando ormai manca poco al rifugio si schiude davanti a noi lo spettacolo del Ciarforon e della Becca di Monciair e dei Denti del Broglio, poi finalmente arriviamo, giusto 5 minuti prima di Stefano, salito nel pomeriggio da Pont Valsavarenche: "siete arrivati solo adesso ?" "Si" "Miseria!". Eh si, perché alla fine il gps è chiaro: 23 km e 2300 m di dislivello, di cui almeno 700-800 assolutamente non banali, almeno non a fine stagione.
Finalmente il rifugio Vittorio Emanuele II
Così, ancor prima di posare l'attrezzatura e di prendere possesso della stanza, ci gustiamo 4 meritate birre bionde ( medie, naturalmente) nel "dehor" del rifugio. Mentre ricostruiamo a mente fredda gli eventi della giornata, a Stefano sorgono spontanei alcuni interrogativi : "Luca, la rifaresti? " "mmm non so"  " Michele? " "mmm ,," "Marco ? " " mmm non so... si... cioè Luca, se me lo chiedi tu torno altre cento volte, è stata davvero una bella esperienza" " Ma Luca non te lo chiederà, quindi..." " E chi lo sa...magari in un'altra stagione, con un pò di neve a scendere dal colle".
E giocoforza mi viene chiesto conto della mia precedente, drastica sentenza: "allora, vendi l'attrezzatura? " " Mmm, mah ,aspettiamo domani al Gran Paradiso a vedere come va" "Aaaah !"
Si  è ormai  fatta ora di cena, ragion per cui andiamo a posare l'attrezzatura ed a prendere possesso della stanza: domani mattina ci aspetta il Gran Paradiso.
Ma di questo parleremo  in una prossima puntata! Arrivederci ed a presto con le Storie!






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