Da sempre il ritmo della vita rurale viene scandito dall'orologio delle stagioni e delle condizioni meteorologiche: pioggia, vento, sole, temperature, giornate più o meno lunghe determinano il calendario dei lavori nei boschi, nei campi, nei prati e nei pascoli. Non faceva quindi eccezione la dura vita di chi svolgeva tali attività nelle zone di montagna, quell'eterna lotta per ottenere da un piccolo fazzoletto di terra il necessario per sopravvivere, per sè e per la propria famiglia.
Il tema del "tempo libero" non era dunque, per usare un eufemismo, molto "sentito": eppure un minimo di tempo di riposo e socialità era essenziale riuscire a ritagliarselo anche allora, per rinfrancare il corpo, la mente e lo spirito dalle dure fatiche giornaliere.
In quel di Locana, con le sue numerose frazioni abitate tutto l'anno ed ubicate spesso anche a notevoli distanze dalla "Villa", cioè dal nucleo centrale del paese, i principali momenti di socialità erano sostanzialmente quattro : la sera dopo cena, il mercoledì (giorno di mercato) , il sabato sera ( soprattutto per i giovani) , la domenica mattina con la messa.
In questo post voglio analizzare la prima tipologia di socialità: la sera dopo cena.
La sera dopo cena, nelle modeste abitazioni rurali delle borgate, non erano presenti radio, televisioni, computer, internet: allora una o più famiglie si radunavano davanti al camino o nella stalla, al caldo, e si raccontavano storie e leggende, "le cunte" per l'appunto. Questi racconti, che avevano una spiccata funzione educativa per i bambini, costituivano un passatempo anche per gli adulti: gli argomenti trattati variavano dalla narrazione di vicende ed episodi legati alla vita ed alla storia famigliare a racconti di streghe, folletti, spiriti maligni, che venivano così tramandati, per via orale, di generazione in generazione. Tali racconti, a differenza delle "fiabe" e delle "leggende", non rimandavano a luoghi esotici od immaginari, ma si svolgevano interamente in luoghi reali e conosciuti, più o meno vicini al luogo di abitazione.
Esaurita questa premessa, non credo ci sia nulla di meglio che riportare una cunta "dla val", che spesso raccontava mia nonna paterna, sperando che la memoria mi non tradisca troppo e che la parola scritta riesca a trasmettervi parte delle emozioni che il racconto orale e la comunicazione non verbale, perfezionati da anni e anni di pratica, erano in grado di dare a me da bambino. Nello scriverla cerchrò il più possibile di rimanere fedele alla versione orale, benchè tradotta in italiano, mantendendo fede al suo linguaggio essenziale ma efficace. Un'ultima cosa: a Locana "la val" comprende tutte le frazioni da Fornolosa in poi fino al confine con il comune di Noasca, dove viene parlato anche un dialetto completamente diverso rispetto a quello di Locana e della altre frazioni, più simile alle parlate francoprovenzali ed in particolare alla "parlata" di Noasca. Il racconto che segue è proprio ambientato in quelle frazioni.
"Vivevano una volta a Piada [1] due
fratelli, che d'estate salivano con le bestie ai Giua[2].
Dall'alpeggio scendevano una volta a settimana, a turno, al mercato di Locana
per portare il burro e le tome a vendere e tornavano a sera. Un mercoledì
mattina uno dei due fratelli, a cui toccava scendere al mercato, disse
all'altro: "questo pomeriggio passando da casa a Piada mi fermo a vedere
se tutto è in ordine ed a tagliare un pò d'erba, torno poi su domani mattina
appena fa luce".
"Benissimo"- rispose l'altro - " per un
giorno ce la faccio anche da solo con le bestie".
Quindi i due fratelli ebbero finito di caricare il mulo con le
tome ed il burro, si salutarono e quello che scendeva disse all'altro: "mi
raccomando, siccome sei da solo non rimanere fuori di notte, sai che il prete a
messa ha detto che di notte ci sono gli spiriti maligni, non si sa mai! Appena
scende la sera chiuditi in casa e non aprire a nessuno, per nessun
motivo!"
" Spiriti maligni? Ma va' , sono tutte storie e poi io non ho
mica paura !".
Partito per il mercato il fratello, quello rimasto sull'alpe fece tutti i lavori: munse le vacche, le capre e le pecore, le portò al
pascolo in un pezzo vicino e quindi tornò per pulire la stalla e fare il burro
ed i formaggi. Finiti questi lavori vide che la legna da bruciare era
quasi finita, solo che non era proprio la giornata giusta per mettersi a fare
quel lavoro dato che era da solo e doveva portare le bestie più in alto, visto
che era una bella giornata: avrebbe cercato di tornare un pò prima per scendere
più in baso a tagliare un pò di codre[3].
Si mise quindi un pezzo di pane vecchio ed un pezzo di toma nel sacco,
prese le bestie e si incominciò verso "l'nghiairi" [4]. A
mezzogiorno, come usavano fare lui e suo fratello, immerse il pezzo di pane
secco nel piccolo ruscello e, accompagnandolo con il pezzo di toma, consumò il
proprio pranzo. Non passò molto tempo che, vuoi per il caldo, vuoi per la
stanchezza, si addormentò, svegliandosi soltanto a pomeriggio inoltrato. Dato
uno sguardo al sole capì che se voleva fare un po’ di legna era meglio tornare
giù subito, in fin dei conti oggi le bestie avevano mangiato bene e così
fece più presto che poteva contato che aveva assieme le bestie.
Messe le bestie nella stalla e finito di mungere, prese la roncola
e scese giù di corsa a tagliare un po’ di codre, ne fece un grosso fascio e se
lo mise a spalle: tornò su che era carico peggio di un mulo, quando ormai
cominciava a fare notte. Nonostante la stanchezza e lo stomaco che protestava perché
era poi già ora di mangiare, decise di fare ancora a pezzi i piccoli tronchi: “così
domani ho un lavoro in meno, tanto ormai ho solo più da mangiare qualcosa e
mettermi a dormire che non ce la faccio più”. Così portò fuori dalla casa la
candela ed andò avanti con la roncola per una buona mezz’ora. Finito il lavoro
si chiuse in casa, sprangò la porta e mise a scaldare l’acqua per farsi appena
di minestra, non aveva granchè da metterci dentro ma il burro per condirla non
mancava, e neanche il formaggio per accompagnarla.
Stava ormai per mettersi sul paglione quando sentì un colpo fortissimo,
la porta che veniva scossa con forza sovrumana ed una voce tremenda che urlava:
“Apri la porta, o ti ammazzo. Apri la porta o ti butto giù la casa”.
Il poverino rispose: “chi sei? Cosa vuoi? Mi dispiace ma io non
apro di notte agli sconosciuti!”.
Da fuori continuavano a battere sulla porta, a scuoterla ed ad urlare: “Apri la porta, o ti ammazzo. Apri la porta o ti butto giù la casa”.
Quando vide muoversi anche le lose del tetto, alla fine
terrorizzato aprì la porta e si trovò davanti a sé una specie di diavolo, alto,
enorme e rosso come il fuoco che gli disse: “Perché non credi agli spiriti
maligni?Perchè sei rimasto fuori a lavorare di notte? Non lo sai che è
pericoloso" ? .
Lui rispose a mezza voce, piangendo per la disperazione: “avevo
bisogno di fare legna…si è fatto tardi…”.
A questo punto lo spirito maligno disse: “brucia la legna, se no brucio
te!”
Il povero pastore rimase pietrificato. “Brucia la legna, se no brucio
te!”. Ripresosi dallo spavento cominciò a bruciare tutta la legna rimasta nella
stufa, mentre lo spirito maligno incessante continuava ad urlare: “brucia la
legna, se no brucio te!”. La cosa andò avanti fin quasi all’alba, quando lo
spirito maligno disse: “per questa volta non ti ammazzo. Ma ricordati che gli
spiriti maligni esistono”e scomparve di colpo. L’uomo era talmente sconvolto per la paura e per la
stanchezza che tremava tutto e non riusciva quasi più a muoversi od a parlare. Poco
dopo che era venuta la luce, fece ritorno il fratello andato al mercato che,
vedendolo in quello stato, gli chiese: “ ma che cosa ti è successo”? . L’altro gli raccontò per filo e per segno
tutto quello che era accaduto durante la notte ed il fratello lo rimproverò :”
ecco! Io ti avevo avvertito! La prossima volta che rimani da solo fai più
attenzione!”.
Ed è per questo che, alla fine di ogni messa, il prete dice: “Jesus
defendit spirit maligni”.
Spero che la "cunta" sia stata di vostro gradimento. A presto con le Storie di Montagna.
[1] Borgata sopra a Fey, nel
comune di Locana, posta tra Mesonette e Meinardi.
[2] Importante alpeggio nei
cui pressi si trova il casotto dei
guardaparco del Parco Nazionale del Gran Paradiso delle Fontane Fredde.
[3] Noccioli nella parlata “dla
val”
[4] Zona denominata “Langiosser”
sulle cartine, con omonimo rio affluente del torrente Piantonetto
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